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l femminismo del Novecento ha prodotto un cambiamento irreversibile, ma nel nuovo millennio le lotte delle donne non sono finite. La libertà femminile si scontra con resistenze e paternalismi di ogni sorta. Come riconoscere, difendere e promuovere l’autodeterminazione in un tempo in cui l’avanzata di forze conservatrici e integraliste mira a controllare la sessualità delle donne e la riproduzione, mentre il mercato cerca di trarne profitto? Questa domanda è alla base di Libere Tutte. Dall’aborto al velo, donne nel nuovo millennio, uscito originariamente nel 2017 per minimum fax, ripubblicato in una nuova edizione in questi giorni. Pubblichiamo la nuova prefazione delle autrici in occasione dello sciopero transfemminista dell’8 marzo.
Sono passati quattro anni dall’uscita di questo libro, e da allora molte cose sono accadute. Mentre chiudevamo la prima edizione, Donald Trump si insediava alla presidenza degli Stati Uniti, aprendo una stagione di attacchi ai diritti delle donne, delle minoranze, delle persone Lgbt. Ora, mentre scriviamo queste righe, alla vicepresidenza degli Stati Uniti è salita una donna nera, la prima, Kamala Harris, mentre il presidente Biden ha cominciato a rovesciare i provvedimenti del suo predecessore contro la parità di genere e i diritti riproduttivi.
È uno scenario nuovo. Nuovo anche sotto altri importanti punti di vista. Siamo nel mezzo di un tornante della storia in cui tutto sta cambiando a causa della pandemia da COVID-19. Mai l’umanità aveva fatto esperienza di una crisi sanitaria, economica e sociale di tale dimensione planetaria. Nell’ultimo anno abbiamo dovuto imparare a vivere a distanza, a privarci del piacere di un incontro, di un abbraccio, del rapporto con altri corpi che è così prezioso per la vita, e per la politica. Siamo in lutto per le migliaia di persone vicine e lontane che ogni giorno muoiono a causa del virus. E al tempo stesso siamo di fronte alla peggiore crisi economica e sociale dalla seconda guerra mondiale.
Le donne stanno pagando il prezzo più elevato, perché la crisi colpisce le nostre società nell’ambito della preservazione e riproduzione della vita, cioè delle attività legate alla cura, dove sono più marcate le ingiustizie nella divisione sessuale del lavoro. Tornano in mente le parole attribuite a Simone de Beauvoir, l’autrice che ha ispirato tante pagine di questo libro: “Non dimenticate mai che sarà sufficiente una crisi politica, economica o religiosa perché i diritti delle donne siano rimessi in discussione. Questi diritti non sono mai acquisiti. Dovrete restare vigili durante tutto il corso della vostra vita”.
E allora, anche se tutto è cambiato, le idee che abbiamo espresso qui continuano a sembrarci attuali. Siamo anzi convinte che proprio l’emergenza che stiamo vivendo abbia riproposto l’efficacia interpretativa, la capacità di visione e anche l’urgenza dell’elaborazione femminista a cui noi abbiamo fatto riferimento, e il valore, l’idea di soggettività e di libertà che ci ha guidato.
Backlash e rivoluzioni
Avevamo scelto di aprire questo libro con il riferimento a un romanzo di Margaret Atwood del 1985, Il racconto dell’ancella. La sua distopia ci sembrava cogliere al meglio la posta in gioco del conflitto attorno al corpo delle donne e alle loro autonome scelte procreative, del lungo backlash che ha seguito la seconda ondata del femminismo. Non avremmo immaginato, però, che al principio di questi anni Venti le ancelle di Atwood sarebbero diventate ovunque il simbolo della resistenza agli attacchi politici contro i diritti e le libertà delle donne.
L’emergenza che stiamo vivendo ha riproposto l’efficacia interpretativa, la capacità di visione e anche l’urgenza dell’elaborazione femminista.
Autocrati di lungo corso e nuovi leader populisti minacciano in tutto il mondo la cittadinanza femminile, e quella delle minoranze sessuali ed etnico-razziali. Sulle rovine del neoliberalismo cresce la forza della destra identitaria, che ha il suo cuore ideologico nel nativismo, nelle gerarchie della famiglia tradizionale e nell’ordine sociale autoritario.
Di fronte a questa torsione illiberale, però, il femminismo e il protagonismo delle donne hanno acquistato ovunque nuova forza. Dall’Argentina alla Polonia, dalla Bielorussia alla Turchia, dall’Italia all’Ungheria, agli Stati Uniti, le donne rappresentano la principale resistenza al contrattacco oscurantista, svolgendo un ruolo che va oltre la difesa dei propri diritti. La lotta per la giustizia ha sempre più spesso il volto di leader coraggiose, e la deriva autoritaria delle democrazie ha quello del mito degli uomini forti.
Abbiamo assistito negli ultimi anni a gigantesche manifestazioni di piazza, anche in Italia. Pensiamo ai giorni del 2019 quando a Verona si è tenuto il World Congress of Families, ovvero l’internazionale dell’integralismo e dell’omofobia, che riunisce i paladini dell’”ordine naturale” dei generi. Un immenso corteo di protesta, promosso dalle femministe di Non Una di Meno e partecipato da tanti movimenti italiani e internazionali, ha occupato la città, rendendo plasticamente visibile la realtà e la bellezza delle nostre vite plurali. Grandi mobilitazioni sono nate e cresciute anche in rete. Le esperienze di #MeToo nel mondo e di #Quellavoltache in Italia hanno messo a nudo la pervasività del potere maschile che in tutti gli ambiti e a tutti i livelli condiziona l’accesso delle donne al lavoro e alle carriere.
Alcune battaglie femministe stanno incontrando resistenze durissime. In Polonia, dopo anni di tentativi falliti, il partito di Jarosław Kaczyn ́ski è riuscito a ottenere che la restrizione della libertà d’abortire passasse attraverso una decisione della Corte costituzionale, sotto la forte influenza del governo. Altre rivoluzioni, però, sono state vittoriose, come in Argentina, dove anni di mobilitazioni femministe hanno ottenuto la legalizzazione dell’aborto. E ancora, l’elezione di Joe Biden alle presidenziali americane porta inequivocabilmente il segno delle donne, mentre dice al mondo che la destra populista, nazionalista e autoritaria può essere sconfitta grazie a una grande alleanza di movimenti, soggetti, culture.
I femminismi e la sfida del presente
Di fronte alle sfide enormi del nostro tempo, anche le componenti plurali del femminismo trovano occasioni per compattarsi. Non per questo, però, sono venuti meno i conflitti che abbiamo raccontato in questo libro. Su questioni come la prostituzione o la gestazione per altri, le divisioni si sono anzi approfondite. Mentre nuovi fronti si sono aperti, come il posto delle identità trans e «non binarie» nel movimento.
Di fronte alle sfide enormi del nostro tempo, anche le componenti plurali del femminismo trovano occasioni per compattarsi. Non per questo, però, sono venuti meno i conflitti.
Continuando a impegnarci nei dibattiti intorno a questi temi, ci siamo convinte dell’importanza del “metodo” che abbiamo proposto nel nostro lavoro. Anna Maria Crispino, su Letterate Magazine, («Agire in soggettiva, pensare in relazione», 4 giugno 2017), ha definito Libere tutte
un libro di domande, che apre uno spazio di interlocuzione tra opposti schieramenti. (…) Interrogarsi significa esattamente non arroccarsi su “verità” spesso astratte e/o ideologiche, aggiornare continuamente le mappe dei nostri saperi, scandagliare anche le nostre ragioni e i nostri sentimenti evitando con cura consapevole l’autoreferenzialità. Non a caso, un termine ricorrente nel testo è “ascoltare”: un’arte assai difficile da praticare, che implica a volte l’esercizio del tacere e quello dell’attesa paziente della parola dell’altra. E che soprattutto comporta una piena assunzione delle implicazioni politiche del “partire dall’esperienza” e della coscienza di “essere in relazione”.
Abbiamo voluto seguire il filo rosso della libertà, ben sapendo che la parola stessa è oggetto di un conflitto. Siamo partite dalla consapevolezza di trovarci nella stretta di due forze: da una parte, la resistenza di una cultura patriarcale che, da secoli, tratta le donne come minorenni, dotate di una razionalità e volontà manchevoli e imperfette; dall’altro, l’ideologia neoliberale che pensa l’autonomia sul modello dell’individuo autosufficiente, libero da legami, condizionamenti ed emozioni. Una forza spinge per sottoporre le donne al controllo altrui, specie quando appartengono a gruppi sociali “subalterni”; l’altra, pensa il corpo come una proprietà di cui regolare l’uso nel mercato attraverso il contratto.
Cercando di uscire da questa stretta, che prende spesso la forma dell’alternativa tra proibizionismo e ultraliberismo, abbiamo cercato tracce di contestazione, di agency delle donne, anche dove sembra non essere possibile. E, allo stesso tempo, abbiamo anche voluto riallacciarci alla critica femminista dell’individualismo moderno. Pensiamo, infatti, che l’agire libero debba essere sempre collocato in un contesto di relazioni dense. Il contesto condiziona i modi di pensare e i comportamenti, che dunque non sono mai solo il prodotto della volontà astratta dell’individuo. Ma le relazioni da cui dipendiamo rappresentano anche ciò che ci permette una vita autonoma, e la possibilità di ogni resistenza allo status quo.
Tanto più oggi, nel tempo della pandemia, è divenuto evidente che non possiamo pensare e agire come monadi autosufficienti. L’interdipendenza che ci lega come essere umani è all’origine della nostra vulnerabilità – al contagio, alla morte. Ma è anche la condizione di possibilità per la “cura”. Questo è dunque un tempo in cui riscoprire la vitalità del pensiero femminista sulla vulnerabilità e la dipendenza, e sulla cura come nuovo paradigma per il rapporto degli esseri umani tra loro, con il pianeta, con le generazioni future.
Abbiamo voluto riallacciarci alla critica femminista dell’individualismo moderno. L’agire libero deve essere sempre collocato in un contesto di relazioni dense.
È un tempo in cui servono menti vigili, capacità di resilienza e spirito di iniziativa, per dare un segno trasformativo profondo al presente che viviamo. L’emergenza pandemica ha illuminato la sfera privata nelle sue contraddizioni, ha fatto risaltare il rimosso del lavoro domestico e riproduttivo, ha mostrato quanto lungo sia ancora il cammino della “rivoluzione antropologica” che il femminismo ha innescato. Siamo di fronte al rischio che la crisi apra le porte a involuzioni autoritarie, ma anche all’opportunità di costruire nuovi modelli di solidarietà, inclusione e libertà. Nessun esito è scontato. Il futuro è nelle nostre mani.
Estratto da Libere Tutte. Dall’aborto al velo, donne nel nuovo millennio, di Cecilia D’Elia e Giorgia Serughetti, minimum fax, 2021.