T oyin Ojih Odutola è un’artista nigeriano-americana che lavora su temi centrali della contemporaneità legati alla sua esperienza personale: dal colonialismo alle grandi migrazioni, dalle questioni di genere all’ingiustizia sociale. La sua pratica è caratterizzata dalla rappresentazione della figura umana – molte delle sue opere sono ritratti – e dalla frequente presenza di una forma narrativa. Non fa eccezione la sua ultima serie di lavori, A Countervailing Theory, in mostra alla Curve del Barbican fino al 24 gennaio 2021.
La narrazione di A Countervailing Theory parte dal ritrovamento, nel marzo del 2009, di un deposito di scisto nero durante un test minerario sullo Jos Plateau nigeriano. In virtù delle proprie conoscenze archeologiche, Ojih Odutola ci racconta l’indagine scientifica a cui ha preso parte: le lastre di scisto si sono rivelate coperte di segni pittografici la cui qualità sembrerebbe testimoniare l’esistenza di una civiltà indigena preesistente rispetto alla già conosciuta popolazione Nok. Le lastre, troppo fragili per essere trasportate e mostrate al pubblico internazionale, sono state scansionate a grandezza naturale ed esposte al Barbican.
Il ritrovamento, ovviamente, non è mai avvenuto. Ojih Odutola non cerca nemmeno per un istante di ingannare il visitatore: le opere sono evidentemente contemporanee. La dislocazione in un passato remoto, in questo caso, sembra un tentativo dell’artista di evitare l’incasellamento dell’opera in categorie come la fiction speculativa di stampo distopico e utopico, tra cui l’afrofuturismo: modelli spesso connotati da una proiezione nel futuro di elementi della realtà contemporanea, e da interpretazioni in chiave manichea. Al contrario, A Countervailing Theory si propone di raccontare una morale sfumata e complessa.
Questo espediente permette inoltre all’artista di contestare l’approccio coloniale, primitivista e banalizzante alla storia culturale africana: proponendo una mitologia, Ojih Odutola allude al fatto che il passato remoto non occidentale non è uno spazio vuoto.
I quaranta grandi pannelli di A Countervailing Theory sono disposti lungo i novanta metri della parete concava della Curve del Barbican, il cui sfondo digrada dal bianco inziale, al grigio, al nero, poi di nuovo al bianco. La storia, completamente raffigurata in bianco su nero, si srotola davanti agli occhi riquadro dopo riquadro, mescolando l’effetto della pergamena e della graphic novel. Ne deriva un ritmo cadenzato, in cui la drammaticità è affidata all’espressionismo di ogni singolo quadro. Continui zoom in e zoom out ci avvicinano ai protagonisti e ci guidano alla scoperta del mondo, alla cui costruzione contribuiscono i dettagli, tutti significativi, delle scene.
Ojih Odutola non usa mai strumenti specificamente pittorici. I disegni di A Countervailing Theory sono a carboncino e pastello su tavola, ma la sua mano è influenzata dalla tecnica prediletta della penna a sfera: l’inchiostro lucido dà al chiaroscuro dei corpi una consistenza vibrante e ipertrofica. Al tempo stesso, la pressione della penna incide le superfici a tratti sottili, con un effetto simile a quello della gradina sul marmo. È un disegno che dona alle superfici una texture quasi rilevata, e che in questo caso è capace di richiamare la struttura lamellare dello scisto e la scabrosità del granito dello Jos Plateau.
La predilezione per la penna non risponde unicamente a un’esigenza estetica: Ojih Odutola ne apprezza la natura di strumento per la scrittura. Nelle sue opere, infatti, la penna non subisce una mistificazione ma un’ibridazione. “Un ritratto diventa un paesaggio, le diverse consistenze diventano un testo alfabetico. (…) Puoi leggere il dipinto invece di semplicemente osservarlo (…) È così che lavoro a ogni mia serie. Sono documentazioni di esperimenti immaginativi che formulo in narrazioni con stili differenti – non si tratta semplicemente dei singoli segni, ma della collettività di segni che costruiscono la narrazione”.
Le tavole raccontano la favola di Akanke e Aldo. Akanke fa parte delle Eshu, la classe dominante di donne guerriere. Aldo è invece membro dei Koba, uomini creati dalle Eshu e schiavizzati per il lavoro nei campi e l’estrazione mineraria. Per tutti vige il divieto di avere relazioni affettive o sessuali con persone di genere o classe diversi dai propri. Ojih Odutola crea una società rigida e immobile: gli sfondi dei disegni, a sottili righe parallele, alludono alla inevitabilità e alla pervasività delle norme sociali implicite.
I primi sette pannelli sono dedicati al punto di vista di Aldo e ai suoi primi ricordi: la sua creazione, la vita nella tribù, l’addestramento, l’incontro con il suo compagno, la condivisione acritica della condizione di subalternità e fatica.
Si passa poi ai ricordi di Akanke: l’infanzia segnata dalla vita comunitaria con le altre bambine, l’esperienza inconsapevole del proprio privilegio di classe, la scelta della propria partner.
Il parallelismo tra le due vite è una cronaca priva di giudizio: “L’idea di cominciare la narrazione dal punto di vista di Aldo è intenzionale: per dimostrare quanto sia facile essere indottrinati all’interno di uno svantaggio sistemico. Tra Aldo e Akanke non c’è una demarcazione chiara tra buono e cattivo rispetto a chi sono. (…) Il sistema è un fatto; esiste nel paesaggio che li circonda, nel processo che rende ciascuno di loro chi è e ciò che è”, racconta l’artista alla curatrice Lotte Johnson.
Nella tavola Routine Inspection, Akanke e Aldo si incontrano. Akanke sta controllando i lavori della miniera quando nota un uomo che trasporta un enorme masso di pietra: Aldo. L’opera To Be Chosen and not Known raffigura la decisione di Akanke di portarlo con sé nel viaggio verso le altre miniere.
Il viaggio è la prima occasione per Aldo di esplorare il proprio mondo, di osservarlo da un punto di vista diverso: cresce in lui la consapevolezza della condizione dei Koba. Siamo nel punto di massimo nero della parete, quando Aldo decide di condividere i propri pensieri con Akanke. Ci aspetteremmo che nasca un dialogo, ma Akanke ascolta senza parlare, si copre la bocca, accogliendo la verità di Aldo. Aldo la lecca, si abbracciano, giungono le mani.
L’opera The Ruling Class interrompe l’idillio, spostando lo sguardo da Akanke e Aldo a un’altra vicenda che si sta svolgendo nello stesso momento. Una Eshu svetta sul paesaggio, con una gamba a terra e l’altra rialzata, appoggiata sulle rocce. Tiene in mano un bastone, in una posizione tra guardia e riposo. Nell’articolo Who Is to Be Master? The Radical Vision of Toyin Ojih Odutola Zadie Smith ne paragona l’iconografia al Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich, di cui però Ojih Odutola sovverte ogni elemento: l’uomo diventa donna, il bianco diventa nero, il sublime inglese diventa sublime nigeriano, la figura non ci dà le spalle ma è rivolta verso di noi. È la chiave di volta della “countervailing theory” che dà il titolo al progetto.
Il verbo to countervail significa letteralmente compensare, controbilanciare, portare a un equilibrio opponendo una forza uguale e contraria. Sempre secondo Smith, “Siamo in un momento di controbilanciamento radicale, forse potente quanto le esperienze degli anni Sessanta, quando, per contrastarne il potere, ad esempio, si metteva una margherita nella canna di un’arma da fuoco. Un periodo di ribaltamento gerarchico, o di sostituzione di questo con quello”. Un’operazione che Ojih Odutola porta avanti minuziosamente in ogni elemento del progetto.
Sorpresa nella sua veglia solitaria davanti all’orizzonte, la maestosa guardia Eshu viene uccisa da un Kobe. La morte, nei disegni che raffigurano il delitto, è descritta come il distaccamento dell’ombra dal corpo. L’ombra è una presenza ricorrente nella serie ed è più o meno marcata: rappresenta l’energia, la coscienza, l’esistenza, che è propria sia delle Eshu che dei Koba, sia degli oppressori che degli oppressi. L’ombra della vittima rimane incollata al paesaggio, che si scompone.
Due quadri verticali ci mostrano gli attimi precedenti la rappresaglia: le Eshu in tenuta da combattimento – gli stivali allineati, gli elmi calati, gli sguardi ansiosi – e i Koba – nudi, terrorizzati, osservati dall’alto.
Nella ricerca del colpevole dell’omicidio, la giustizia sommaria delle Eshu finisce per accusare anche Aldo. Akanke è sofferente e combattuta, ne parla con la propria compagna e, infine, fa la sua Considered Choice: decide di non intervenire. Aldo, lasciato solo, viene ucciso.
L’esperienza trasformativa di Akanke e Aldo ha avuto il limite di aver riguardato solo due individui – il sistema è più forte di così. Il loro fallimento però è più che personale e rispecchia il fallimento della compensazione, del countervailing: l’inversione dei ruoli di oppressore e oppresso riproduce di fatto gli stessi rapporti di forza, le stesse dinamiche e gerarchie. Sempre in conversazione con Lotte Johnson, Ojih Odutola racconta il processo speculativo da cui è nato A Countervailing Theory: “Mentre lavoravo, c’erano delle domande che mi ossessionavano. Domande che mi facevano paura. Quando ti batti per l’equità e la giustizia contro l’oppressione, credi nella tua missione e nella tua causa così profondamente perché sei stata soggiogata, storicamente parlando. L’orrore, la lotta e il dolore attraversano tutta la tua genealogia, la tua comunità – è una realtà innegabile, è la verità. Ci fai i conti ogni giorno, non importa ciò che senti o che sai. Però – e qui devo fare attenzione alle parole che uso – credi nel profondo del tuo cuore che se fossi stata nella posizione dell’oppressore non avresti fatto lo stesso? Date la stessa inversione di circostanze permessa da questo esperimento immaginativo, rifiuteresti il potere se ne beneficiassero le persone come te? Combatteresti per perpetuare il potere? Vorresti segretamente occupare la posizione dell’oppressore mentre combatti contro quella stessa posizione?”
È una domanda che sorge osservando il portamento solenne delle Eshu, i corpi statuari esaltati dall’abbigliamento guerriero – ispirato alle forme geometriche e ai materiali lucidi della designer Iris van Herpen – contrapposto alla nudità dei Koba. Il dominio che esercitano è seducente.
Aldo è morto, niente è cambiato. Il tragico epilogo della favola viene però ribaltato quando Akanke si scopre incinta di due gemelli: un maschio e una femmina, mezzosangue Eshu e Koba, sintesi delle due classi e dei due generi, frutto magico del loro amore. L’atto di comunicazione ideale, simboleggiato dall’ascolto silenzioso di Akanke e dalla gratuità del sesso orale di Aldo, ha piantato il seme che fa germinare la terra, rompendo la gabbia arida di linee perpendicolari del mondo Eshu e Koba: l’ultimo quadro della serie rappresenta un paesaggio finalmente mosso, roccioso, cui sono fusi i corpi dei due gemelli. La teoria compensativa è un mito rifondativo.