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n un momento storico di catastrofe, le teorie più asimmetriche e scomposte rispetto ai sistemi dati per certi proliferano come in un “movimento pandemico delle idee”. L’accelerazionismo è una di queste teorie, che sta conoscendo in Italia un rinnovato interesse grazie anche al suo carattere multiforme, declinato in diverse correnti. Nel suo libro di introduzione all’accelerazionismo How to accelerate, Tiziano Cancelli scrive: L’accelerazionismo è (…) una modalità di corrispondere alla complessità̀ del tempo presente che, facendo leva sulla propria
intensità virale, predica incessantemente la necessità di proiettarsi oltre la palude della contemporaneità, riattivando la capacità di immaginare ciò che riposa oltre i confini conosciuti.Ma la forza dell’accelerazionismo è dovuta soltanto al suo proiettarsi verso il futuro, o sopravvive in questa filosofia una dissimetria ancora più antica: uno “spettro” che viene dal passato? Questa domanda è alla base della conversazione tra i due autori del Tascabile Giorgiomaria Cornelio e Tiziano Cancelli.
Giorgiomaria Cornelio: L’Accelerazionismo, a partire dai suoi esordi con Sadie Plant, Nick Land e la Cybernetic Culture Research Unit (Ccru), ha espresso la radicale esigenza di superare valori definiti premoderni. Vorrei sin da subito ribaltare con te questa concezione della premodernità, cercando di fare un lavoro sul passato come “archeologia del possibile”. Un lavoro che mi pare necessario, soprattutto se pensiamo alle strategie parassitarie attraverso le quali siamo soliti “colonizzare” quanto è venuto prima di noi. Il serbatoio della Storia è stato prosciugato della sua carica sovversiva: del passato si finisce per recuperare soltanto l’immaginario certo e quasi mai gli interrogativi rimasti aperti. Questi interrogativi sono però “incastrati” non soltanto nel nostro presente, ma anche in quelle teorie che sembrano del tutto futuristiche, come in questo caso. In questo senso, una discussione sull’accelerazionismo potrebbe partire da un passaggio de La croce e il nulla di Sergio Quinzio, che riporto qui:
Il tribunale moderno giudica il passato da un punto di vista che in profondità è quello ebraico-cristiano, il quale non conosce valori eterni ma speranze che si devono realizzare nel tempo. Il mondo che secondo le parole di Paolo geme nell’ansia di una salvezza che consiste nella redenzione dei corpi (Rm 8, 19 24) è già il mondo moderno, il quale mette totalmente in discussione la convinzione antica secondo la quale il “sommo bene” consiste nella contemplazione di ciò che è immobilmente eterno.Ho l’impressione che un certo modo di intendere l’accelerazionismo, soprattutto nella sua corrente di sinistra vicina al marxismo (definita L/Acc), appartenga proprio a questo mondo che “geme nell’ansia di una salvezza”…
Tiziano Cancelli: Innanzitutto mi sento di dire che quando parliamo della temporalità espressa dall’accelerazionismo parliamo nello specifico di una forma di temporalità che potremmo definire “aliena”, o per usare un termine più chiaro, estranea, che mira a liberarsi dalle catene di una modernità (mai pienamente dispiegata) percepita anch’essa come ostacolo da oltrepassare: le istanze di superamento, la volontà di accelerare il tempo presente e il bisogno (in questo gemere dall’ansia) di attrarre la dimensione futura potrebbero essere letti alla luce del discorso di Quinzio come un’invocazione vera e propria dell’eschaton, talmente estrema e talmente veloce da lasciarsi alle spalle anche le parole di Paolo. Il gemere dell’accelerazionismo può forse essere letto come un rifiuto dell’immobilismo e come tentativo di accelerare il dispiegamento degli eventi, tuttavia rimane il dubbio riguardo al valore che assume in quest’ottica la “redenzione dei corpi” di cui parla Paolo. Nell’accelerazionismo ci troviamo di fronte a un bivio, dove la salvezza può coincidere con l’annientamento: un Eschaton reso immanente con il quale liberarsi dell’umano; un Nemico, l’Intelligenza Artificiale, che fa le veci del soffio di Dio.
Sono ipotesi suggestive, che per quanto infinitamente lontane dal pensiero accelerazionista per come lo conosciamo, possono forse essere feconde se usate per scavare a fondo nel cuore di quelle possibilità inespresse di cui parlavi in apertura. Il discorso da tenere a mente è che l’accelerazione non è mai un movimento dell’Umano e per l’Umano: la volontà che esprime l’accelerazionismo nella sua forma più pura è quella di un superamento che confina e spesso eccede nell’annientamento dell’Umano in quanto tale. Anche se non vogliamo intendere questo annientamento nel senso puramente biologico del termine, l’accelerazionismo mira comunque ad andare oltre quell’umanesimo che, nonostante tutto, sembra ancora dominare il pensiero occidentale. Anche nell’accelerazionismo di sinistra troviamo questa volontà di superare la vecchia umanità per entrare nella nuova comunità libera, in grado di nascere e crescere come deviante all’interno della logica implacabile del capitalismo. C’è una carica tutta utopica, un gemere verso la salvezza che, per quanto si ammanti di necessità scientifica, non riesce a nascondere una qualità escatologica.
GC: Su questo annientamento mi sembra però che abbia ragione Fisher quando afferma che nonostante tutto il potenziale sovversivo il capitalismo non ha fatto altro che rafforzare una dimensione ancora più limitata dell’Umano. Anche in questo caso, vorrei riprendere il nostro discorso attorno alla premodernità, che certamente non è estranea ad alcuni dei punti toccati dall’accelerazionismo. Se ci rivolgiamo a Nick Land, è impossibile non pensare ad una radicalizzazione delle sopravvivenze gnostiche: un modo cioè di guardare al mondo come ad un ammasso di materia cicatrizzata. Per quanto riguarda l’accelerazionismo di sinistra, potrebbe essere più affine a una parte del pensiero magico rinascimentale. Penso ad esempio a un passaggio di un testo di Giordano Bruno, De vinculis in genere, dove scrive: “deve essere chiaro come in tutta la materia o in una parte della materia, in ogni individuo o nell’individuo singolo, vivono allo stato latente tutti i semi delle cose e di conseguenza, con accorto artificio, si possono attivare le applicazioni di tutti i vincoli”. Sono tanti gli argomenti che ritornano: il superamento delle separazioni ontologiche, l’immagine di un mondo come insieme di connessioni infinitamente rinnovabili (da manipolare), e dunque l’artificio come generazione di nuovi vincoli, parentele e virtualità. Naturalmente i punti di contatto tra le varie correnti di pensiero mutano continuamente: mentre l’immaginario degli anni Novanta sembra aver oramai esaurito gran parte della sua potenza, non sarebbe forse l’ora di riattivare la carica rivoluzionaria di questi testi “antichi”? Di fare uno sforzo di repurposing, come dice lo xenofemminismo (e come in parte aveva iniziato a fare la Cybernetic Culture Reseacrh Unit)?
TC: Mi trovi assolutamente d’accordo. Come dico spesso, la prospettiva che secondo me va recuperata riguardo al discorso accelerazionista, essendo anche la più spendibile in un orizzonte di pratica politica, è assolutamente quella che si propone di creare nuove forme di relazionalità, sia fra le persone che con gli oggetti e di conseguenza anche con i saperi. In quest’ottica magia, filosofia, storia delle religioni, antropologia e in generale tutta la sapienza esoterica possono (e forse devono) essere reinterpretate alla luce di nuove e inesplorate forme di azione e di pensiero. Ricollegandomi ancora al discorso che facevi in apertura: credo che l’accelerazionismo, con i dovuti distinguo, possa essere una modalità feconda per favorire, in un certo modo, l’emersione delle possibilità perdute, dei futuri mai nati e dei mondi nascosti all’interno della storia del pensiero, in particolare di quello “antico”, troppo spesso considerato morto o -peggio ancora- inutile. Al di là dei pregiudizi, il pensiero magico (nella sua forma più rigorosa e lontana dalla banalizzazione della New Age) può diventare veramente uno strumento potente. Certamente restano grosse differenze, alcune probabilmente insanabili, ma credo che almeno una parte della strada si possa percorrere insieme. Penso ad esempio al lavoro del Collettivo di Nun e alla forma di sperimentazione teorica messa in campo all’interno della cosiddetta “Insurrezione Gotica”.
GC: Parli di carica utopica, di futuri mai nati… Torniamo allora al discorso escatologico, che l’accelerazionismo di sinistra sembra voler porre nuovamente all’interno della storia come concreta insurrezione verso l’inerzia capitalistica. In molti avevano già individuato nell’orizzonte marxista il proliferare di una forma secolarizzata di messianismo. Il filosofo Jacob Taubes scrisse però che ogni tentativo “di realizzare la redenzione sulla scena della storia senza una trasfigurazione dell’idea messianica” avrebbe portato all’abisso. L’accelerazionismo che si pensa ancora nella storia è una forma di scadimento della “redenzione finale”?
TC: Non è facile dare una risposta univoca. Credo che l’accelerazionismo di sinistra, come del resto il marxismo in generale, abbia sviluppato (giustamente) un rapporto molto conflittuale con il discorso messianico e che da esso derivino grossi problemi nel riconoscere la sua vena, passami la forzatura, “soteriologica”. Chiaramente su questo pesano sia le parole dello stesso Marx, sia il ruolo assunto nella storia occidentale dalla Chiesa Cattolica, ma dall’altro lato ti direi anche la distinzione agostiniana tra Civitas Dei e Civitas Terrena. Tuttavia, come negare la risonanza di rivoluzione e rivelazione? È facile notare come gli scenari utopici descritti dall’accelerazionismo di sinistra (su tutti penso all’abolizione del lavoro e del genere) conducano alla creazione di quello che almeno sul piano materiale suona a tutti gli effetti come un “paradiso” terrestre, spogliato chiaramente da ogni dimensione spirituale nel senso stretto. Fiumi di parole, alcune molto importanti, sono state spese sull’argomento; Taubes ma anche Benjamin, Badiou e soprattutto Simone Weil, che si auto-definì “comunista senza partito” e “cristiana senza chiesa”. Dal lato teologico penso alla Teologia della Liberazione (scuola in cui si è formato l’attuale Papa Bergoglio) e in generale all’esperienza rivoluzionaria Sudamericana, contraddistinta da una forte influenza utopico/messianica. Come dicevamo sopra, credo che il punto della questione abbia a che fare, più che con una conciliazione (forse impossibile da raggiungere) fra escatologia e rivoluzione, con la ricerca di una modalità in grado di “riattivare” le possibilità emancipatorie, e quindi rivoluzionarie, di entrambe. Un discorso valido sia nella sfera del pensiero che nella prassi politica. Chi si è affrettato in questi anni a proclamare la morte dell’Idea e dell’Utopia ha dovuto, purtroppo, assistere a un loro ritorno violento e deviato nelle nuove forme assunte e cavalcate dal populismo di destra. Personalmente, credo che ci siano degli ottimi punti di contatto che vadano approfonditi fra dimensioni apparentemente inconciliabili. Penso allo stupendo lavoro portato avanti in questi anni dal Comitato Invisibile e alla forte influenza su di esso di pensatori non proprio materialisti anticlericali come Giorgio Agamben…
GC: Se l’accelerazionismo di sinistra insegue l’idea di un paradiso, il carattere terrestre di questo paradiso dovrà per forza essere interpretato come l’annuncio di un “dissesto permanente”. Una volta esclusa la “dimensione spirituale” di cui parlavi prima, la quiete definitiva si rovescia. In questo paradiso terrestre rimarrà sempre qualcosa che eccede il progetto: un’improvvisa effrazione, oppure una sopravvivenza del passato che torna a scompigliare l’ordine presente. La finitudine “soffrirebbe” di mancamenti… Questa considerazione non deve però immobilizzare: presenta anzi la possibilità di ripensare il differimento non tanto come la debolezza della messianicità, ma come la sua carica primaria. Una spinta da “tradurre” in tutte le cose affinché non smettano di produrre aperture. Ci avviciniamo così a quello che Derrida in Spettri di Marx chiamava il “messianico senza messianismo”: una completa accoglienza del pensiero dell’altro, una messianicità liberata da ogni determinazione, e un’attesa che si spinge oltre l’orizzonte dell’attesa. La rilettura accelerazionista del marxismo viene spesso bollata come progetto impossibile, ma la sua promessa non potrebbe consistere proprio in questo impegno nel differire ogni “completa realizzazione”? Un voler tenere spalancato l’avvenire (incluso il suo deserto), in un’epoca che reclama soltanto previsioni certe…
TC: Assolutamente si. A mio parere, quella che hai appena descritto è la risorsa più importante di cui dispone l’accelerazionismo in chiave marxista. Un mondo mai completo, finito, che rifiuti quella completezza che in cuor suo sa non appartenergli. Quella totalità autosufficiente, quella pienezza esistenziale che ha caratterizzato (forse) il mondo antico non può più costituire un orizzonte adeguato nel quale situarsi. Quelle dinamiche, quelle potenze, e oserei dire anche quelle bellezze, non sono ripetibili. Ma questo non vuol dire, d’altro canto, abbandonare il sogno, l’idea e la speranza di un mondo non solo migliore ma ricco di nuove aperture e di nuovi, e indubbiamente più giusti, legami. L’unica nota a margine che mi sento di aggiungere prende spunto dalle parole di Hölderlin “dove c’è pericolo, cresce anche ciò che salva”: l’accelerazionismo (o per lo meno alcune sue varianti), e più in generale qualsiasi idea che voglia farsi interprete di una “nuova vita”, deve sempre fare i conti con l’altra faccia della medaglia del progresso, quell’illusione teleologica dove l’assenza di limiti incontra l’assenza di autenticità. Una nuova vita non può nascere dalle premesse mortifere del vecchio mondo, ed è necessario tenere a mente che l’accelerazionismo nasce e cresce a cavallo di tendenze che vivono a pieno questa contraddizione. Accelerare verso un mondo più giusto è diverso dall’accelerare unicamente per il gusto della velocità e per l’illusione di libertà che ne consegue. In ultimo, ci tengo a specificare una cosa: questa ricostruzione delle idee e delle tendenze accelerazioniste è frutto di una mia parziale, personalissima ed eretica visione dell’argomento. Forse quasi niente di ciò che abbiamo detto combacia con la versione “canonica”, tanto per rimanere in tema, che il dibattito accelerazionista ha prodotto negli ultimi anni. Tuttavia, credo che questa plasticità, questa capacità di prestarsi al dialogo e alla sperimentazione in campi così distanti del sapere, sia precisamente la testimonianza del valore che questa “eresia” può assumere nel nostro tentativo di riprenderci il futuro.