C’ è una catastrofe in atto. Veicolata da piccoli esseri viventi che non conoscono confini, ha già raggiunto una ventina di paesi e sta minacciando la sopravvivenza di non meno di 25 milioni di persone. Il suo arrivo è stato previsto la prima volta già più di dieci anni fa, e poi molte altre volte, e purtroppo gli scenari più nefasti si sono avverati quasi alla lettera. A cominciare dal fatto che, risalendo la catena degli eventi, non ci sono dubbi: le sue origini sono da ricercare nel cambiamento climatico. Se non vi si porrà rimedio, le sue conseguenze saranno peggiori di quelle della COVID-19.
Perché stiamo parlando di un’altra catastrofe: se non si troverà una soluzione alla nuova grande invasione di locuste in atto, l’umanità dovrà fare i conti con le conseguenze di una crisi globale scatenata dalla mancanza di cibo, in un sistema che rischia già di essere messo in ginocchio dalla sola COVID-19, come ha scritto nei giorni scorsi un preoccupatissimo editoriale di Nature. Benvenuti nell’era delle locuste del deserto (Schistocerca gregaria), grosse cavallette presenti sulla terra da millenni, di norma solitarie abitanti delle aree più aride, ma occasionalmente, quando aggregate in sciami, causa inarrestabile di disastrose invasioni contro le quali, oggi come all’epoca di Mosè, le armi sono poche, e non sempre utilizzate a dovere. Iniziata nel 2019 ed estesa dall’Africa alla penisola Arabica fino al Pakistan, all’India e all’Iran, la devastante proliferazione di questi insetti sta per conoscere una nuova ondata, che potrebbe moltiplicare per un fattore 400 i miliardi di locuste che già oggi ricoprono migliaia di chilometri quadrati nei due continenti, lasciando dietro di sé solo panorami desertici.
Sarebbe necessario un intervento urgentissimo, capillare e potente, perché la schiusa delle uova è prevista per fine maggio, ma in tempi di COVID-19 tutto è più complicato: scarseggiano fondi, mezzi, uomini, e anche quando sarebbe possibile agire ci si mettono di mezzo i blocchi navali, le quarantene, la paralisi da coronavirus. Il Tascabile ne ha parlato con uno dei massimi esperti mondiali, Keith Cressman, senior Locust Forecaster della FAO, che ricorda i molti e non di rado paradossali aspetti della crisi attuale.
Le cause
È il 2009 quando un articolo, pubblicato sul Journal of Geophysical Research, ricostruisce le periodiche invasioni verificatesi nella storia della Cina (colpita anche oggi da nuovi sciami, anche se si tratta di animali diversi e non direttamente riconducibili a quelli arabici) e conclude associando il riscaldamento globale a un più che probabile aumento della frequenza di queste crisi, a causa del cosiddetto “dipolo dell’Oceano Indiano”. Il dipolo è un gradiente di temperatura tra i diversi strati dell’acqua, e può essere positivo, neutro o negativo; a seconda di come e di quanto velocemente si inverte, determina il clima di un’area vastissima, che va dall’Africa orientale all’India, fino all’Australia. Se l’acqua del mare è più calda, le inversioni sono più rapide e fanno tendere il dipolo verso la positività, fatto che, a sua volta, provoca molte più piogge violente nella zona del Golfo Persico e del Corno d’Africa, e siccità in quella australe. Nel 2013 è la volta di uno studio di Cressman, che presenta stime molto simili. Pochi anni dopo, la previsione si avvera.
Tutto ha poi inizio nel 2018, anno in cui l’elevata temperatura delle acque orienta il dipolo verso il segno più e provoca, in rapida successione, due cicloni nella Penisola Arabica, a distanza di pochi mesi. Il primo, chiamato Mekunu, si abbatte in maggio nel cosiddetto Quarto Vuoto o Rub’ Al-Khali, il deserto di sabbia più grande del mondo, situato nel sud della penisola Arabica, ed è talmente intenso da riempire la zona di laghi temporanei e da iniziare a creare le condizioni ideali per un’ottima annata – per le locuste.
Iniziata nel 2019 ed estesa dall’Africa alla penisola Arabica fino al Pakistan, all’India e all’Iran, la proliferazione di questi insetti sta per conoscere una nuova ondata che potrebbe lasciare dietro di sé solo panorami desertici.
Pochi mesi dopo, in ottobre, è la volta di Luban, che porta l’acqua fino ai confini con Oman e Yemen. Queste condizioni eccezionali lasciano nelle sabbie del deserto un tasso di umidità assolutamente ideale per lo sviluppo di tre nuove generazioni di locuste, ognuna delle quali può essere fino a 20 volte più grande della precedente. “Nel giro di nove mesi”, spiega Cressman, “le locuste della Penisola Arabica sono aumentate di 8.000 volte rispetto alla densità media, e a quel punto hanno iniziato a migrare, in due direzioni diverse: verso il Mar Rosso e il Golfo di Aden fino all’Etiopia e alla Somalia, e poi verso l’Iran, il Pakistan e l’India”.
È l’inizio del 2019, e tutto va benissimo – sempre per le locuste, che continuano a riprodursi. Le cose migliorano ulteriormente in autunno, quando piogge ancora una volta del tutto inusuali colpiscono la Somalia, l’Eritrea e tutta la zona del Corno d’Africa. Una regione dove di solito passano molti anni senza che si presentino piogge degne di questo nome, e che ora invece affronta, in due stagioni consecutive, un quantitativo di acqua mai visto (la stessa acqua che, mancando all’Australia, sarebbe all’origine della devastante siccità seguita dagli incendi degli scorsi mesi). Tanta abbondanza stimola i contadini a seminare a più non posso, e a preparare così inconsapevolmente una pastura ideale per le giovani larve di locusta, che adorano i germogli. Risultato: in dicembre le locuste sono già in Kenya, paese che non vedeva un’invasione di quelle proporzioni da più di 70 anni, e in febbraio, oltre all’Eritrea, raggiungono l’Uganda e la Tanzania, mentre sull’altro fronte flagellano soprattutto lo Yemen e l’Iran e costringono il Pakistan a dichiarare l’emergenza nazionale, e a sedersi al tavolo con l’odiata India per predisporre programmi sui due fronti. “Se non ci saranno interventi radicali”, commenta Cressman, “tutto potrebbe riproporsi, amplificato, tra poche settimane, tra fine maggio e inizio giugno, quando la nuova generazione potrebbe portare a un numero di locuste 400 volte più grande di quello attuale”.
Il climatologo australiano Wenju Cai, capo dell’agenzia governativa CSIRO, nel 2018 ha pubblicato uno studio secondo il quale a un aumento di temperatura di 1,5°C corrisponde una frequenza di dipoli positivi doppia rispetto a quella attuale, e ci sarebbero già tutte le prove del fatto che il fenomeno sia in atto. In altri termini, oltre a quella di oggi, l’umanità dovrà probabilmente fronteggiare numerose e continue invasioni di locuste. Ma è, la sua, una voce che grida nel deserto, insieme a tante altre che da anni spiegano che cosa sta per succedere, e in parte già succede.
Le locuste, Zelig dell’evoluzione
Insetti giramondo, quindi, le locuste, e parecchio trasformisti. Ma solo in condizioni eccezionali. Di solito, infatti, vivono un’esistenza solitaria, che dura in tutto circa tre mesi, e durante la quale passano dallo stadio di larve a quella di giovani individui senza arrecare troppi danni, mangiando quello che trovano e passando da un colore verde brillante a uno più scuro, marrone.
Oltre a quella di oggi e alla prossima, l’umanità dovrà probabilmente fronteggiare numerose e continue invasioni di locuste.
Le femmine cercano la sabbia per deporre ognuna circa 300 uova, e questo salva i paesi dove il clima è più umido, o dove la vegetazione boschiva è rigogliosa: sono scenari poco graditi alle gravide, che vogliono un po’ di umidità ma non troppa, e sabbia per vedere bene dove riposano gli eredi. Di norma nove uova su dieci muoiono, ma da una madre nascono comunque una ventina di larve, fattore che permette di sapere oggi che tra poche settimane gli sciami saranno 400 volte più numerosi di quelli esistenti, come minimo.
Se però una locusta incontra un suo simile, la situazione può cambiare radicalmente in pochissime ore. Perché in fondo le locuste sono tutt’altro che asociali. Accade infatti che un incontro ravvicinato scateni la secrezione di serotonina (evidentemente l’ormone della felicità anche per loro, come per gli umani), e che questo dia il via a una profonda riorganizzazione prima del corpo, che diventa più corto e tozzo e con ali più robuste, e cambia colore virando decisamente al giallo brillante chiazzato di scuro, e poi del cervello, che si ingrossa, forse per elaborare meglio i tanti stimoli che arrivano dai compagni in una trasformazione ben rappresentata in visual come quello della BBC e quello di National Geographic.
Così rinata nella sua nuova livrea, e più forte e resistente, la locusta diventa gregaria, e parte di quel superorganismo che è lo sciame: un essere quasi invincibile, che riesce a compiere imprese titaniche. “Uno sciame” spiega Cressman “può avere un fronte che si estende per migliaia di chilometri e ne percorre fino a 150 al giorno, mangiando tutto quello che incontra sul suo percorso e distruggendo anche il 100% dei raccolti”. Anche se ogni locusta si ingozza più o meno per un quantitativo di vegetali pari al suo peso, e cioè due soli grammi, tutte insieme devastano aree gigantesche: uno sciame che ricopra un chilometro quadrato mangia quanto 35.000 persone. In un solo giorno. E gli sciami contengono decine di miliardi di membri. E non è tutto.
Quando la brezza pare loro favorevole, si lasciano trasportare dal vento, e questo spiega perché da un punto di origine riescano poi a colonizzare paesi molto lontani, a volte improbabili, come accaduto alla fine degli anni ottanta, con la peggiore crisi del secolo scorso, verificatasi tra il 1986 e il 1989. Non contente di aver invaso più o meno le stesse zone di oggi, le locuste si erano infatti imbarcate per l’America, attraversando l’Oceano Atlantico in una decina di giorni. E alcune erano arrivate ai Caraibi, in effetti. C’erano riuscite perché possono stare senza mangiare anche per giorni, se fanno incetta di cibo prima.
Ciò che occorre loro è solo un po’ di riposo, ma per i sonnellini non c’è problema: quando non trovano navi adatte, un primo strato riposa a pelo d’acqua, e un secondo sul primo. Le generose eroine dei piani inferiori annegano, certo, ma le altre ripartono, e la cosa funziona. In quel caso, ciò che ha funzionato di meno è stato il clima tropicale – troppa vegetazione e troppa umidità – e, soprattutto, l’incontro con microrganismi mai incontrati prima, e letali. Le locuste arrivate ai Caraibi sono morte in pochissimo tempo, sterminate dai funghi del nuovo mondo come gli Aztechi dalla salmonella degli spagnoli. “Un altro caso, altrettanto clamoroso” racconta poi l’esperto “è avvenuto negli anni Cinquanta, quando uno sciame giunse fino a Londra: anche in quel caso la loro ardimentosa migrazione non fu fortunata. Va detto che si tratta di eventi finora molto rari, determinati da particolarissime condizioni di vento. Purtroppo, però, non possiamo avere la certezza che i mutamenti climatici in corso non li rendano più frequenti. Possiamo solo confidare nel fatto che, per ora, le locuste del deserto mal sopportano i climi freddi e umidi”.
Come se ne esce
La FAO ha chiesto alla comunità internazionale una cifra significativa, ma insignificante se confrontata con i fiumi di denaro messi in campo contro la COVID-19: 150 milioni di dollari, da reperire quanto prima, per agire prima della schiusa di fine maggio. Questo denaro serve per l’unica cosa che è possibile fare in questa situazione: sommergerle con una pioggia di insetticidi. Spiega in proposito Cressman: “I pesticidi usati devono essere spruzzati direttamente sulle locuste e non sul terreno. Una volta caduti a terra si disattivano entro poche ore, al massimo 24, e poi evaporano, e per questo non sono pericolosi per l’uomo. Esistono poi biopesticidi basati sui funghi letali per le locuste, molto specifici ed efficaci. Ma per averne nelle quantità necessarie è urgente procurarne a sufficienza, e poi farli arrivare a destinazione, e lì poter contare su mezzi soprattutto aerei (droni compresi): tutti passaggi per i quali servono fondi, mezzi e personale formato. In più, uno degli ostacoli principali è il fatto che molte delle zone interessate sono impervie, desertiche, difficilissime da raggiungere. Il problema non è quindi tanto quello degli strumenti, che oggi abbiamo, ma della possibilità di agire molto in fretta su un fronte lungo migliaia di chilometri e continuamente mobile”.
In tempi di crisi e di blocco aereo e navale sono state proposte soluzioni alternative, per esempio dalla Cina che, terrorizzata dall’eventualità che le locuste arrivassero dal Pakistan, voleva mandare 100.000 anatre come arma biologica. “Anche se le anatre sono ghiotte di locuste e ognuna ne mangia centinaia ogni giorno, non sarebbero sufficienti con sciami di queste dimensioni” chiarisce Cressman “e in ogni caso hanno bisogno di ambienti umidi per sopravvivere, il contrario delle zone amate dalle locuste”. I cinesi hanno desistito, e finora non ci sono soluzioni altrettanto bizzarre in vista.
Uno sciame di locuste è capace di devastare aree gigantesche: in un chilometro quadrato mangia quanto 35.000 persone. In un solo giorno.
La più logica, e non a caso attuata da molte popolazioni tra le quali le locuste sono endemiche, sarebbe quella di mangiarle, perché questi come altri insetti sono fenomenali fonti proteiche. Ma in questo caso è assolutamente sconsigliato. Recita un monito della FAO: “Le locuste uccise con i pesticidi non devono essere mangiate in nessuna circostanza perché possono contenere tracce degli stessi. Nelle aree dove è in corso la crisi e dove sono in atto campagne di disinfestazione nessuno deve mangiare locuste né vive né morte. I pesticidi non sempre uccidono gli insetti all’istante”.
Non ci sono dunque alternative al monitoraggio e ai pesticidi, e in molti sembrano averlo capito. “La richiesta della FAO” spiega ancora il ricercatore “ha già ottenuto finanziamenti dalla fondazione di Bill Gates (dieci milioni) e da molte altre fonti e numerose aziende, nonché da diversi governi anche di paesi lontanissimi dalle zone di crisi. Siamo a circa il 75% dei fondi necessari, ma bisogna fare in fretta”. Va detto che la crisi ha almeno una conseguenza positiva: obbliga tutti i paesi a superare tensioni, crisi politiche e guerre perché le locuste, come la COVID-19, non aspettano, e non si sottopongono a controlli doganali. È successo più volte tra India e Pakistan, sta succedendo tra Arabia Saudita e Yemen ed è successo molte volte negli ultimi 50 anni, da quando cioè esiste il sistema di allerta globale gestito dalla FAO, cui partecipano molti paesi oltre alla ventina di quelli direttamente interessati. Secondo Cressman, le locuste possono vivere nel 20% delle terre emerse, ovvero in 60 paesi: nessuno può sentirsi al sicuro. Secondo la Banca Mondiale, che a sua volta sta finanziando specifici programmi in collaborazione con la FAO, in assenza di interventi adeguati i danni potrebbero arrivare, per il 2020, a 8,5 miliardi di dollari, che si aggiungono a quelli persi a causa della COVID-19.