D opo dieci anni di attività sotterranea con un seguito di devoti ai video di “Una vita stupenda” e “Io centro con i missili”, nel 2016 Pop X pubblicano Lesbianitj, che contiene singoli relativamente più morbidi come “Secchio” e “Froci della Nike”: fa le stesse cose delle autoproduzioni precedenti ma con la mediazione mediatica e in parte anche estetica di Bomba Dischi, l’etichetta che ha lanciato Calcutta e Carl Brave nel mainstream, e quindi ci si aspetta che, come per esempio Calcutta, il progetto Pop X passi da culto esoterico di calcolati pasticci italodisco molto cosmici, tossici e volgari, a prodotto arrotondato, col design di Bomba Dischi, da portare in giro ovunque.
A quel punto Pop X fa un passo indietro e pur rimanendo con Bomba ritorna nei soliti territori inafferrabili, nelle luride valli e nei parchi giochi: escono il delirio reggae di Notihng Hill e la microhouse baracconata di Musica per noi (il titolo giusto per uscire dopo che Rolling Stone li ha dichiarati next big thing italiana dopo i Cani e Calcutta).
In questo viaggio a ritroso scappando dalle possibilità aperte da Bomba Dischi, che però è consenziente (dice l’uomo che li accompagna all’intervista: “Se un progetto è così, vanno mantenute le peculiarità”), pubblicano un disco il cui compositore principale sarebbe Walter Biondiani, uno dei due fondatori del progetto, che però negli anni per motivi personali era rimasto defilato e si era perso tutta l’ascesa del gruppo. Davide Panizza, che sarebbe il punto focale del progetto, e che è uno dei più interessanti artisti italiani di quest’epoca, lascia tornare l’amico, gira per interviste solo con lui e gli lascia praticamente l’impostazione del disco. Antille è un disco ispirato ai viaggi di Walter e contiene la prima canzone scritta dal gruppo, “D’Annunzio”, anche singolo.
Antille è leggermente più quadrato dei due precedenti. Secondo Biondani, sono canzoni “più facili forse… non ho la profondità compositiva musicale di Davide, i testi son più terra terra, lineari, richiamano immagini più immediate, i testi di Davide richiamano delle atmosfere molto rarefatte, che uno può interpretare come gli pare. Qui ci sono immagini più chiare, più nitide”.
Davide Panizza: “Che però era anche l’origine del progetto, che era quello di unire un po’ il suo lato più avventuriero…”
Walter Biondani: “Io mi ispiro ai viaggi, alla fine son dei racconti i miei”.
Davide Panizza: “Magari io parto più da impressioni più istintive, più intime, non so come dire”.
Il modo in cui Pop X è tornato indietro dopo aver assaggiato il mondo del mainstream mi ha fatto venire voglia di ricostruire il viaggio di andata, dalle autoproduzioni a Lesbianitj. Dopo quel disco è come se non avessero visto nessuna prospettiva interessante in quella che in epoca hipster si chiamava “scalabilità” della musica indipendente, l’ascesa imprenditoriale dei musicisti di nicchia, un problema di conti e dimensioni, ma anche di immaginario: cosa poteva voler diventare un Pop X di massa? Un gruppo demenziale? Un gruppo colto?
Non c’era forse nessun posto dove andare, e non mi stupisce che in tutta la ricapitolazione che gli ho richiesto durante l’intervista non abbiano menzionato il concerto dei Phoenix a Parigi nel 2018, quando sono stati invitati ad aprire da una band che condivide con loro l’ossessione per i suoni levigati – con sensibilità diverse, naturalmente. Non aver citato quel passaggio dice molto, mi pare, della loro forma di concentrazione e della loro indifferenza per il curriculum.
Quella di Pop X è la musica pop più interessante in Italia e i testi hanno delle qualità inafferrabili:
Quei poveri vestiti che portava addosso
Li prese e li gettò bruciati giù in un fosso
E se ne andava in giro come un accattone
Vagando tutto nudo per il meridione
o:
Un fulmine raggiunge il corpo del guardiano
Le tue parole sono lentamente piano
Se non ti muovi il suo sorriso sfumerà
Fracassagli le ossa e il tempo tornerà
Sotto forma di palestre artificiali nere
Che tempi erano quelli in cui dovevo bere
Li ho incontrati un pomeriggio prima della quarantena.
Ska
“[DP] Ci siam conosciuti facendo le comparse in teatro a Trento. 2005. Quell’estate raccoglievano comparse per mettere in scena il Don Giovanni di Mozart. Niente, io mi sono presentato e là c’era anche Walter. L’anno dopo abbiamo cominciato a suonare un po’ insieme. Lui c’aveva un gruppo ska, si chiamava Jengyskà. [WB] Gli ho chiesto di farmi sentire le cose che faceva allora, che erano cose elettroniche, mi son piaciute molto e allora gli ho chiesto di venire a suonare con noi in saletta. [DP] Io ero intrippato con la musica elettronica, cercavo di fare le prime canzoni col computer, provavo a registrare la mia voce. Quindi volevamo cercare un modo per suonare queste canzoni che avevamo messo su da soli io e Walter”, che nel gruppo ska suonava la chitarra elettrica. “[DP] Lui mi fa: per iniziare, visto che noi due soli non abbiamo niente da proporre dal vivo, vieni a suonare con noi un po’ synth, un po’ di effetti… Quindi sono andato nel gruppo ska e facevo dei suoni tipo quaquaquaquaqua!, un po’ di rumoristica… Suonavo il Microkorg, è abbastanza famoso: una tastierina su cui avevo degli effettini tipo zwieuuu huahuahuahua”. Non aveva mai suonato in un gruppo, gli piaceva più l’idea di “performare dal vivo, fare un po’ di bordello, creare una situazione un po’ di festa, così… [WB] Era una situazione ideale, perché essendo concerti ska la gente ballava, non erano i concerti pacco con la gente così bvaaa…” fa il gesto della schitarrata, “c’era hardcore, i Grandine, [DP] c’era roba putuputu impegnativa per le orecchie. Invece la ska era ballabile. A me piaceva più una musica che si potesse ballare. Quindi la ska, in quel momento ero abbastanza giovane, mi sembrava una musica per ballare. [WB] All’epoca ci stavano i cosiddetti sbirri della musica, che stavano lì davanti al palco a guardare”, fa la faccia torva.
A un certo punto decidono di provare a fare un disco fuori dallo ska. “[WB] Provare a fare una cosa originale da zero. [DP] Abbiamo preso i membri del gruppo ska e gli abbiamo chiesto di provare a cambiare i ritmi… All’epoca c’erano i Subsonica, i Bluvertigo… quella musica là girava, almeno nella mia camera, e io ero appassionato di Morgan, in quarta e quinta liceo andavo a vedermi Morgan, i Subsonica”. Panizza è dell’85, Biondani dell’81. “[DB] Abbiamo provato a far suonare la roba più pop ma non c’è stato successo, [WB] non ha funzionato. [DP] Ho cominciato a guardare oltre i nostri orizzonti, a parlare con altra gente; è entrato un ragazzo che aveva pro tools e abbiamo registrato i nuovi brani. Dopo sta prima situazione abbiamo registrato un disco, estate 2005, in cui c’era dentro la canzone che è uscita ora come singolo del nuovo disco. D’Annunzio, [WB] è stata la nostra prima canzone del progetto. [DP] Avevamo conosciuto un tizio che si chiamava Telonio. Avevamo iniziato a far girare un po’ il disco e abbiamo conosciuto sto tizio che aveva prodotto una canzone o un disco di Irene Grandi, che aveva uno studio a Cesena, e lui voleva produrre le canzoni, voleva renderle più radiofoniche, allora andavam giù con lo Scudo Combinato, che era la macchina dei miei, andavam giù da sto Telonio che era un signore che avrà avuto la tua età… Si piazzava davanti al computer del suo studio, fumava come un pazzo, noi stavamo là, [WB] delle session allucinanti, [DP] lui metteva sotto queste casse dritte… [WB] Inconcludente. [DP] Le aveva rese più elettroniche. È stata un po’ una sbandata rispetto all’idea di sound che avevamo noi. Siamo stati tipo manipolati da sto tizio”.
Il sound che cercavano era “sullo stile delle musiche da film italiano… Usuelli, Umiliani, Romagnoli… un sound che prendesse dagli anni sessanta settanta italiani e renderlo un po’ elettronico. Che è un po’ il sound di D’Annunzio”.
Un po’ commedia all’italiana.
“Esatto. C’era l’idea di partire da queste sonorità anni Sessanta Settanta elettroniche italiane e aggiungere un livello un po’ più spacey, più etereo, con delle melodie con dei riverberi più lunghi, quindi c’era sotto un ritmo incalzante però con sopra delle melodie un po’ più ueeeaaaa, più sognanti diciamo”.
8bit
“Poi siamo venuti in contatto con l’8bit. Io ho iniziato un po’ a suonare fuori Trento grazie ai contatti che mi sono fatto nel triennio che ho fatto a Milano a Tecnologie del suono al conservatorio, e in quegli anni lì ho conosciuto sto Tony Light. E lui mi ha iniziato a proporre serate dove suonavano per Game Boy, e siccome le sonorità erano simili… tututututu… allora io ho iniziato a girare un po’ fuori città, io sono di Trento, portando i nostri pezzi. E portavo anche Walter. Era una scena molto fica, underground, attiva. I concerti al Crack a Roma. Qualche centro sociale a Bergamo, Milano”.
Micropupazzo?
“Sì. Arottenbit. Poi Stefano di Trapani”.
Che era Micropupazzo. Con Alessandro Onori.
“Esatto. L’abbiamo incrociato al Crack. Era fico, c’erano persone che organizzavano serate in Italia (con dei budget veramente irrisori) e lì abbiamo iniziato a immaginarci un live possibile. Abbiamo detto, eliminiamo gli strumenti, la band pensiamo a una roba più teatrale. Lasciam perdere la band tanto non ha senso. [WB] Per un periodo avevamo avuto altri due al basso e alla drum machine. [DP] Ci siamo resi conto che era inutile mettersi sul palco a suonare”.
Il basso tipo “Cattolica” quando entra?
“Nella fase 8bit”.
Interviene l’uomo dell’etichetta: “Fase di transizione, concerti anche con gruppi metal…”
“Ci mancava l’aspetto scenico, ognuno era impegnato a suonare le sue parti. Poi abbiamo cominciato a costruirci l’elmetto con le luci, gli occhialini con i led interattivi. L’Elettrozolla, Ancona 2009, il primo live così. [WB] Quello delle 5 di mattina… [DP] No, quello prima ancora, ero andato da solo. Con l’iPod e il caschetto della Roces: caschetto cromato, d’argento, e lì ho iniziato a costruire il personaggio di Pop X, che era un po’ cartonato, mi mettevo le etichette con i pallini rossi sugli occhi un po’ per la vergogna un po’ per rendermi un po’ più robotico, e facevo sto personaggio… Alcuni dicevano che assomigliavo un po’ a Camerini… E poi ho iniziato a introdurre il personaggio di Walter, che invece faceva il Re, [WB] con la corona, le etichette: lì era proprio improvvisazione pura: [DP] mettevo le basi, cantavo e facevamo bordello sul palco”.
Già con l’autotune?
“Avevo difficoltà nel trovare un pedale che facesse bene il proprio lavoro, quindi ho iniziato a usare una roba della Boss, il voice transformer; poi pian pianino sono arrivati i pedalini della TC Helicon. Disperato io cercavo sempre: appena è uscito il tone 1, che è un pedalino blu che fa autotune… [WB] e usavamo il Micro Synthesizer dell’Electro-Harmonix, che è un pedale per chitarra… simola un sintetizzatore analogico, e lo usavamo sulla voce, faceva uu uu uu, aveva una distorsione, un’onda quadra pazzesca. Per un periodo usavamo quello. [WB] Io cantavo con sto autotune e lui faceva uuuuuu. [DP] Lì è iniziato il periodo che iniziavamo a tirar su un po’ di gente, di seguaci. Quella è stata la fase che ci ha fatto credere un po’ in noi stessi, portiamo avanti questo progetto”.
“Puntavamo un po’ sul teatro. Una scenografia scarna fatta di pochi oggetti. Raccoglievamo oggetti anche in giro. Caschetto luci interattive, occhialini che si illuminavano a tempo: per l’epoca era una roba strana da vedere. Comunque non suonavamo un cazzo. All’epoca tutti cercavano di suonare. Noi arrivavam lì, su, col microfono, iPod, zac e via, strobo, solo buio strobo buio strobo buio, ci portavamo lo zaino in scena, io con lo zaino portavo su la strobo, pedalino, distorsore per la sua voce, la sua corona, il caschetto, gli occhialini, e via… Arrivavamo lì con l’iPod, attaccavamo, due minuti il soundcheck, uaaaaaaaa. Boccia di vodka, così”.
“Perché poi è iniziato anche l’alcol. Io mona per dieci anni sono andato avanti nei live grazie al fatto che bevevo. [WB] Una performance del genere, tirare avanti due ore così non lo fai da sobrio. [DP] Io prima ero un ragazzo sciallo non fumavo non bevevo. Poi ho scoperto: se mi bevo un goccetto di qualcosa rendo molto di più. Quindi era una bomba, andare a suonare per me era stupendo, andar là… entrare in un mondo parallelo, [WB] era una festa, [DP] lo vivevamo come una festa, non è che andavo su e pensavo alla musica in sé: [WB] l’idea era far casino”.
Erasmus a Helsinki 2011/12
“[DP] Poi sono stato su in Erasmus. Studiavo sempre musica elettronica. Avevo trovato una ragazza che aveva studiato danza contemporanea, siamo diventati amici, e lì ogni qualvolta si creava la possibilità, c’era il festival del mio dipartimento, Music Technology, dove abbiamo partecipato come Pop X. È stato un anno veramente figo dove ho avuto modo di vedere cose veramente interessanti che in Italia non c’erano, insomma. Quindi là ho sviluppato ancora di più quell’aspetto lì performativo”.
Lì hai iniziato a provare l’inglese improvvisato che usi ogni tanto?
“Mah sì, sì, ma forse già un po’ prima, lì ho iniziato a essere un po’ più fluent e magari ci cacciavo dentro un paio di frasi in inglese eheh, così”.
Da Helsinki si arriva a Bomba Dischi o c’è altro?
Pacchetto di plastica
“C’è di mezzo l’esperienza con i Camillas. Dopo esser tornato dalla Finlandia ho iniziato a venire in contatto con sto Mirko dei Camillas che organizzava concerti nella zona di Adriatica, Rimini, Pesaro… quella zona là, e ho iniziato quell’estate di ritorno dall’Erasmus a fare concerti da quelle parti. E lì ho conosciuto Calcutta – Edoardo – e ho conosciuto Gioacchino Turù. Siamo nel 2013-12. Quindi abbiamo iniziato un po’ st’avventura lì nelle Marche e abbiamo inserito Niccolò [Di Gregorio], che è questo ragazzo di Pesaro che è un po’ più giovane di me, aveva diciannove anni, è del Novanta…”, è quello che nei live suona la batteria, “e lì abbiamo iniziato a suonare un po’ tutti insieme: si chiamava “Pacchetto di plastica”, proponevamo delle serate in cui suonavamo io, Calcutta Mirko e i Camillas e Gioacchino Turù. E abbiamo fatto tante date insieme, anche a Lugano siam stati. E lì in quella fase Walter era impegnato in affari famigliari, altre cose, quindi ha un po’ abbandonato. Non abbandonato, si dedicava ad altre cose, quindi ho portato avanti io il progetto, da solo. Poi pian pianino siamo andati avanti io e Niccolò. Niccolò insomma ha sostituito un po’ la figura di Walter”.
Bomba Dischi
“Bomba li abbiamo conosciuti quando Calcutta è entrato in contatto con loro, diciamo è stato lui il tramite”. Mainstream, il primo disco di Calcutta con l’etichetta è del 2015, Lesbianitj del 2016. “Mi ricordo che Calcutta è arrivato con [Niccolò] Contessa e [Davide] Caucci [il fondatore di Bomba Dischi] una sera, quando abbiamo suonato alla Sapienza, è stato lui alla fine il nostro talent scout”.
Interviene misteriosamente l’uomo dell’etichetta: “Ma noi già pensavamo a voi. Ricordo una volta… Edoardo, che era considerato un dropout all’epoca… gnam gnam… diciamo vabbè a questo punto so boni tutti… è divertente, male che vada se divertimo”.
“Eh, io mi ricordo questa scena di Calcutta con Contessa col berrettino che venivano al concerto alla Sapienza. Con Caucci che chiedeva informazioni: ma voi cosa fate? Non aveva ben chiaro, no?, perché eravamo lì sul palco facevamo bordello eravamo una band… che cazzo fate?”
Appena arriviamo a parlare di una delle etichette migliori d’Italia ovviamente Panizza cambia discorso facendo notare che nella conversazione “abbiam dimenticato l’aspetto un po’ dei video. [WB] Sì, nel frattempo c’era tutta questa avventura, [DP] avevamo iniziato un’attività di videomaker. [WM] Per un periodo la nostra attività consisteva nel prendere, partire per qualche montagna, stare lì e riprenderci. Ci filmavamo a vicenda, ci portavamo i costumi. [DP] Andavamo sulle montagne con dei vestiti, con delle cazzate, ci riprendevamo poi io andavo a casa, rielaboravo un po’ il tutto, ci piazzavo sotto la canzone, a volte neanche: [WM] a volte i video erano fine a se stessi, [WM] mi interessava più l’aspetto audiovisivo, [WM] andando a fare questi video si creava quest’atmosfera, servivano anche in qualche modo per creare un immaginario, per creare un’atmosfera che poi confluiva dentro quel che facevamo – e secondo me esce. [DP] Nasceva tutto insieme, non è che chiamavamo un esterno. Era tutto il mio computer la mia telecamera. [WM] In quel periodo ho finito di studiare – archeologia – poi ho cominciato a lavorare in sovrintendenza. [DP] Io lo andavo a prendere, lo disturbavo: andiamo a fare due video? C’era lui che metteva a posto il cd in questo ufficio alienato. [WM] Ho sempre cercato di tenerle il più possibile separate le due vite… In realtà adesso, dopo che il nostro progetto ha ricevuto un minimo di notorietà, anche ai miei colleghi capita di sentire leggere qualcosa – comunque sono entusiasti. [DP] Cioè adesso che io ho fatto la sbatta di renderlo un po’ più… Walter ha deciso di tornare, di approfittare del mio lavoro sporco”.
E quando è tornato?
“[DP] Adesso ahahah. Negli ultimi anni ha partecipato da… [WM] Anche negli anni in cui non c’ero a qualche concerto ho cercato di andare”.
I testi
Siccome ero in imbarazzo all’idea di incontrarli di persona, ho chiesto al mio amico M. di venire a sentire l’intervista, che era prevista nel giardino di un bar dietro il mio studio, con Panizza, Biondani, l’uomo dell’etichetta. M. ha portato con sé la sua fidanzata, E., che non parla italiano, e ci siamo seduti in tre ad aspettarli per fare numero. A un certo punto dell’intervista, discutevamo dei loro testi, M. ha fatto un esempio della loro poetica: “Quanta miseria nei quartieri di Lugano. Una canzone napoletana in cui a un certo punto parlate di Lugano…”
Panizza ha chiesto a E.: “Do you understand?”
E: “I was zoning out…”
DP: “I’m sorry”.
E: “What’s going on?”
Io: “No, we’re discussing the lyrics”.
DP: “We can speak English”.
Io: “Ok. Maybe there’s something I can say in English that I wouldn’t be able to say in Italian. The lyrics are occasionally very sexist and racist… But only jokingly so…”
“Nooo…” protesta Panizza, “come on…” e ridiamo tutti.
DP: “Not a good introduction”.
Io: “Go ahead. State your case”.
DP: “It’s more like psychology, personal feelings about my intimacy”.
E: “So it’s not political statements”.
DP: “Personal. Not to judge. It’s not to tell you how to do. It’s just my personal expression of something you have inside that doesn’t want to affect you in an ideological way. More like, I’m feeling this and I want to share it with you”.
Io: “Their lyrics are the freest lyrics in Italy. Everything they say is like… they’ve been drugged and interrogated by some interesting secret police. They are the best lyricists…”
E: “An example?”
DP: “They say they are nonsense songs”.
Io e Matteo protestiamo.
DP: “But in the nonsense there’s some connections that let you feel that there is something deeper, maybe”.
M: “There’s this song i really like. Negli anni Novanta, una mattina, un bimbo italiano si pentiva / perché era andato in comitiva a fare quel gioco in cui soffriva”. I think it’s a good example of what you’re talking about. It’s personal, but also social in many ways, because nobody thinks of Italy as a place of torture. Italy in the Nineties was a place of torture. So to me that was spot on. People said it was nonsense but for me it was real”.
Io: “Boy Scouts are torture. I cani’s first album cover is a scene of torture in the Boy Scouts”.
DP: “‘I have to do with missiles’. He talks about these missiles that fly many times in the atmosphere without managing to get anywhere. There’s a sense of impotence”.
E: “And it’s in this kind of setting that the sexism and the racism might…”
Io: “No, I was just joking. but it’s true that they mention all the registers of social life without feeling the need to explain what they’re saying. They’re not shy, they’re not coy. When they want to talk about stuff that’s in their mind they don’t want to make it so it sounds acceptable”.
DP: “Just because it’s a primitive expression of something…”
M: “Another one. Ti abbraccerei e ti direi che sei da amare, non mi vuoi perché ho un tumore. That’s very dark”.
E: “Wow. It’s plausible”.
M: “And even if it’s not, there’s something dark about it”.
Io: “The problem is everybody else is a poser. So Pop X have no scene. Because nobody else can pull this shit off. So they’re alone”.
DP: “Yes”.
Io: “In the dark”.
DP: “We have some support”.