U n giovane orangutan di nome Charlie si aggirava lungo il ponte della Kruwing. La piccola imbarcazione si muoveva placida lungo i corsi d’acqua del Borneo, carica di animali esotici, pappagalli e serpenti. A bordo c’era anche un cucciolo di orso, rimasto orfano e adottato dagli umani, di nome Benjamin. Charlie era alla ricerca di quello che aveva scelto come suo migliore amico tra gli umani, un ragazzo inglese che poco per volta aveva conquistato la sua fiducia. Il giovane, nei giorni precedenti, gli aveva offerto del tè, gli aveva permesso di allontanarsi un po’ dalla sua gabbia e di avventurarsi sul ponte. Aveva curato le sue ferite, causate dalla cattura di pochi giorni prima, e aveva giocato con lui, accarezzandolo, facendogli il solletico. L’orango era stato acquistato, in cambio di sale e tabacco, da un agricoltore locale che lo aveva catturato per punirlo di aver cercato cibo nei suoi campi. Ora Charlie stava meglio, aveva ripreso vigore e soprattutto aveva acquisito fiducia negli umani, in particolare in David, quel ragazzo che era stato così premuroso con lui.
I marinai gli si affezionarono molto, anche se lo trattarono sempre con circospezione. Ogni volta che accennava a comportarsi male, ricorrevano al mio aiuto anziché disciplinarlo. Quando finalmente partimmo per Samarinda, Charlie sedeva in timoniera accanto a Pa, quale membro onorario dell’equipaggio.
Correva l’anno 1956, e per Charlie e David si prospettava un destino almeno in parte simile: il giovane orango sarebbe diventato una celebrità del giardino zoologico londinese, mentre David Attenborough sarebbe divenuto, con gli anni, il più famoso narratore di documentari sulla natura in televisione.
Avventure di un giovane naturalista è il racconto autobiografico di David Attenborough sulle sue prime esperienze come documentarista per la BBC. È uscito in questi giorni anche in Italia (traduzione di Alessandro Zabini), per Neri Pozza, ed è la miglior chiave di lettura possibile per comprendere l’incredibile successo riscosso da lì in avanti dal naturalista di Isleworth. Dai vivaci racconti di Attenborough emergono non solo esperienze avventurose, ma anche lo spaccato di un mondo che è radicalmente mutato.
Lo scopo stesso del viaggio che unì Charlie e David Attenborough è segno del periodo storico in cui avvenne. Una spedizione di quel tipo sarebbe oggi inimmaginabile (sebbene gli zoo siano ancora una preziosa risorsa per la conservazione e lo studio delle specie in via di estinzione). Esploratori europei in un paese esotico, alla ricerca di animali rari da acquistare dai locali o da catturare con metodi a dir poco rudimentali, con lo scopo di ampliare le collezioni dei giardini zoologici, per non parlare dell’esportazione di quegli stessi animali, mediata da sbrigative pratiche doganali.
Oggi gli zoo non si servono più di “cacciatori” incaricati di catturare e consegnare animali vivi, e questo è giustissimo. La natura è già abbastanza in pericolo senza che la si derubi dei suoi abitanti più belli, carismatici e rari.
Anche la televisione, che proprio in quegli anni muoveva i suoi primissimi passi in Italia ed era poco più evoluta nel Regno Unito (dove era comparsa a fine anni Trenta ma aveva avuto un lungo periodo di sosta nelle trasmissioni a causa della Seconda guerra mondiale), era completamente diversa. In alcuni pionieristici programmi si poteva sperimentare molto. E così fu per quella spedizione: il progetto era nato da una collaborazione tra lo zoo di Londra e la BBC.
L’interesse per il primo era l’arricchimento del proprio serraglio di animali rari, per la seconda invece c’erano storie avventurose da raccontare al pubblico. Nel programma, chiamato Zoo Quest, vennero mostrati i viaggi, le bellezze dei paesi visitati e le rocambolesche operazioni di cattura degli animali. La prima stagione venne prodotta nel 1954, e nelle sue poche puntate venne narrata la ricerca, attraverso le foreste della Sierra Leone, di un affascinante ed elusivo uccello tropicale che mai era stato conservato in uno zoo europeo, il picatarte collobianco (Picathartes gymnocephalus). Nonostante l’insolito oggetto della ricerca, che costrinse i produttori alla scelta di un nome generico per la serie come Zoo Quest, il programma si rivelò un grande successo. I piani alti della BBC intuirono quanto il pubblico televisivo fosse “affamato” di programmi di questo tipo. Zoo Quest conteneva la narrazione naturalistica e il diario di viaggio delle spedizioni, ma non perdeva l’immediatezza della diretta televisiva grazie alla parte conclusiva del programma in cui animali insoliti venivano mostrati, vivi e vegeti, nello studio londinese.
Alcuni precedenti erano stati di ispirazione per la nascita del programma. I viaggi avventurosi in terre remote erano stati narrati in Below the Sahara e nella serie On safari dai coniugi Armand e Michaela Denis, mentre animali esotici di vario genere erano stati portati per la prima volta negli studi televisivi della BBC dallo zoologo George Cansdale. Zoo Quest era l’unione di questi due tipi di narrazione: la natura selvaggia dei paesi lontani, unita all’imprevedibile spontaneità degli animali filmati in diretta televisiva in un ambiente a loro non familiare. La mente dietro a questo progetto era proprio quella di Attenborough, giovanissimo produttore televisivo con ancora poca esperienza e una gran voglia di parlare di zoologia, campo in cui si era laureato a Cambridge pochi anni prima.
Per Zoo Quest insistette nel voler utilizzare cineprese portatili con negativi a colori da 16 mm, quando ai tempi lo standard tra i professionisti erano i 35 mm. La pellicola da 16 mm, qualitativamente inferiore, era vista come uno strumento per dilettanti, ma le cineprese che utilizzavano quel sistema erano molto più leggere e facili da trasportare nelle fitte foreste tropicali. Attenborough superò le iniziali diffidenze della dirigenza BBC e il risultato su video fu ottimo, anche se spesso la troupe fu costretta a filmare soltanto in condizioni di luce ottimali: spesso dovevano essere aperti veri e propri varchi nelle foreste per avere un’illuminazione sufficiente.
In tutto questo Attenborough, però, non avrebbe dovuto essere il conduttore del programma: la rete non aveva intenzione di far apparire in video il giovane naturalista a causa dei suoi grossi e appariscenti denti frontali. Nei piani Attenborough avrebbe fatto da produttore e supervisore scientifico al programma (oltre a occuparsi delle registrazioni sonore durante le spedizioni), e il volto di Zoo Quest, anche secondo le indicazioni di Attenborough, avrebbe dovuto essere Jack Lester, il curatore del rettilario allo zoo londinese. A Lester l’idea piaceva molto, e i due divennero ottimi amici e formarono una squadra affiatata, ma dopo la prima spedizione in Africa, Lester mostrò i sintomi di una malattia tropicale e fu in grado di presentare una sola puntata prima che le sue condizioni peggiorassero. Venne così sostituito da Attenborough negli episodi successivi, come soluzione di emergenza. I sintomi di Lester si ripresentarono qualche mese più tardi, però, e le sue condizioni sarebbero poi peggiorate, portandolo alla morte, nel 1956, a soli 47 anni). E così, nonostante il dolore per la perdita dell’amico, la produzione di Zoo Quest continuò proprio grazie ad Attenborough.
Oltre all’Indonesia e alla Sierra Leone, le spedizioni condussero Attenborough e il suo talentuoso cameraman cecoslovacco Charles Lagus in Paraguay e Guyana, in Papua Nuova Guinea e in Madagascar. Il pubblico apprezzò sempre più l’entusiasmo e la competenza del giovane conduttore, in grado di raccontare la natura con spontaneità, senza banalizzarla.
Nel 1958 ci recammo in Paraguay a cercare armadilli. Può essere necessario motivare un tale viaggio alla ricerca di un animale il cui fascino è forse poco evidente. Gli animali ci attraggono per molte ragioni. Gli uccelli sono amati da molti per la loro squisita bellezza, i grandi felini per la loro grazia, agilità e forza, […] le scimmie per l’intelligenza dispettosa e quasi umana. Gli armadilli non possiedono alcuna di queste caratteristiche. […] Eppure possiedono una qualità che a mio parere è più affascinante di qualunque altra, ovvero un amalgama di esotico, di fantastico e di antico, che l’aggettivo “strano” può sintetizzare solo in modo inadeguato.
Attenborough scrisse anche, in quegli anni una serie di libri che ripercorrevano le avventurose produzioni televisive: Zoo Quest to Guiana (1956), Zoo Quest for a Dragon (1957), Zoo Quest to Paraguay (1959), Quest in Paradise (1960), Zoo Quest to Madagascar (1961) e Quest Under Capricorn (1963). Tutti registrarono ottime vendite e vennero ristampati negli anni.
Se alle nostre latitudini Attenborough è conosciuto e apprezzato principalmente dagli appassionati di documentari naturalistici, nel Regno Unito è sinonimo di natura in televisione, un’icona intoccabile, un punto di riferimento assoluto, un padre della patria: la BBC Natural History Unit, da lui plasmata e portata al successo nel corso degli anni, è una macchina affinatissima in grado di garantire milioni di telespettatori, con una produzione di 50 ore di programmi radiofonici e oltre 100 di documentari televisivi ogni anno, con standard qualitativi, in termini di contenuti e realizzazione tecnica, mediamente molto alti.
L’epopea di quasi settant’anni di natura in televisione ha avuto un incredibile testimone, in grado di viverla dagli inizi fino ai giorni nostri.
Il grande punto di forza di Attenborough, e non solo nei primi anni della sua carriera e della costruzione del suo impero, fu la sperimentazione e il continuo tentativo di migliorare i documentari sotto ogni aspetto. Forte di anni di esperienza come dirigente televisivo, seppe includere anche nelle sue produzioni successive elementi tecnici all’avanguardia per sfruttarli ai fini della narrazione. The private life of plants del 1995, ad esempio, è un’intera serie di documentari dedicati esclusivamente alle piante che prese vita e si animò grazie alle più avanzate tecniche di time lapse esistenti ai tempi: le piante crescevano, si muovevano e lottavano per il proprio spazio vitale al pari degli animali, sotto gli occhi sbalorditi dei telespettatori. La stessa cosa si può dire per gli aspetti scientifici delle sue produzioni: pur evitando il più possibile i termini tecnici, l’assoluto rigore dei contenuti assicurò degli standard altissimi per tutte le produzioni naturalistiche della BBC e dei loro epigoni. Nelle serie più recenti sono stati presentati con sempre maggior frequenza comportamenti e caratteristiche del mondo animale di recentissima scoperta, per rendere i contenuti sempre aggiornati e all’avanguardia.
L’epopea di quasi settant’anni di natura in televisione ha avuto un incredibile testimone, in grado di viverla dagli inizi fino ai giorni nostri, e la sua eredità è un prezioso regalo per le generazioni future, da conservare con cura accanto alle meraviglie del mondo da lui immortalate. Nelle ultime serie di documentari, Attenborough è scomparso sempre di più dal video per lasciare pieno spazio alle immagini della natura. È rimasta rimasta però la sua carismatica e inconfondibile voce narrante. Oggi Attenborough, classe 1926, non ha intenzione di smettere ed è al lavoro sull’ennesima produzione, che vedrà la luce nel corso del 2020. Si intitolerà Perfect Planet.