L a cattiva reputazione si intuisce già dall’etimologia del termine: dal lat. sedŭcere, comp. di se- “a parte, via” e ducĕre “condurre, trarre” (Treccani). Sedurre significa dunque “condurre in disparte”; chi viene sedotto è sviato dal proprio cammino, trascinato in un imprecisato e imprevedibile “altrove”. L’origine del termine suggerisce che la seduzione opera come una forza che scardina una situazione iniziale di equilibrio, e fa dubitare che gli individui che ne vengono toccati possano mai tornare identici a se stessi.
La prima grande esperienza di seduzione con cui l’umanità ha dovuto fare i conti, secondo la visione cristiana, è quella di Satana nei confronti di Eva, e poi di Eva nei confronti di Adamo, che ha provocato “la caduta dell’uomo” e l’esclusione dal giardino dell’Eden. La seduzione è un’esperienza perturbante, che ci attrae sul confine dell’altro e del mistero che incarna e ci destabilizza, apre ferite, mette a rischio la nostra identità, generando trasformazioni anche profonde. Scrive Aldo Carotenuto, in Riti e miti della seduzione:
Ciò che nell’altro ci incanta è la sua capacità di disorientarci, di distoglierci cioè dal nostro presente per immetterci con violenza in un altrove raro e inquietante, come ogni esperienza che solleciti l’emergere di vissuti complessuali profondi.
Giustamente Baudrillard ha sostenuto che la seduzione sfugge al sistema di accumulazione, ponendosi in radicale antitesi all’universo della produzione. In questo ambito, infatti, “non si tratta di creare le cose, di fabbricarle, di produrle per il mondo del valore, ma di sedurle, cioè di deviarle da questo valore, quindi dalla loro identità, dalla loro realtà, per volgerle verso il gioco delle apparenze” (da Parole chiave).
La seduzione agisce come un sovvertimento dell’ordine, della possibilità di uno svolgimento lineare e produttivo delle cose, allontanando i soggetti coinvolti dalla realtà materiale del mondo e proiettandoli in quella astratta e arbitraria del simbolo. Non stupisce di conseguenza che in ogni tempo si sia cercato di controllare, delimitare, circoscrivere, regolamentare questo impulso che avvicina, turba e trasforma gli esseri umani. L’operazione è avvenuta non senza qualche ambiguità. “Dalla notte dei tempi” – nota il filosofo francese Gilles Lipovetsky in Piacere e colpire– “le società sono state macchine amplificatrici del potere di attrazione e al tempo stesso sistemi contro l’impero della seduzione. Nessuna società del passato ha eluso questa contraddizione di principio fra il processo dell’aumento della forza di attrazione degli esseri umani e il processo di esclusione sociale di essa”. In ogni epoca, in altre parole, le società umane hanno cercato di accendere il desiderio e al tempo stesso annullarne la potenza, “hanno soffiato sul fuoco e hanno fatto qualunque cosa per padroneggiarlo, si sono applicate al tempo stesso a intensificare e imbavagliare, decuplicare e ridurre, aumentare e annullare la potenza dell’attrazione sessuale”.
Questo processo doppio e contraddittorio è particolarmente evidente per il genere femminile. Da un lato, l’incessante invito a abbellirsi, a decorare e enfatizzare le attrattive del corpo e la costruzione di “tipi ideali” in grado di incarnare il potere seduttivo, “dee viventi dell’amore e della bellezza” come le cortigiane, le geishe e le dive del cinema. Dall’altra il controllo e la repressione dei comportamenti sessuali, l’armatura di concetti come “modestia”, “pudore” e “onore”, l’imperativo di nascondere caviglie, capelli, sguardi, fino a rendere i corpi femminili sconosciuti persino alle loro stesse proprietarie; tutte operazione di de-sessualizzazione che sono state imposte nel corso della storia a ogni latitudine.
Una lunga e illustre tradizione mette in guardia sui rischi insiti nella seduzione e nelle passioni che può accendere. Nell’Iliade troviamo la lunga descrizione del piano architettato da Era per sedurre e rendere così disattento e inoffensivo Zeus, il sovrano dell’Olimpo.
Allora si mise a pensare Era veneranda dall’occhio bovino,
come potesse ingannare la mente di Zeus portatore dell’egida:
questo dunque le parve, a pensarci, il partito migliore,
recarsi sull’Ida, dopo essersi bene agghindata,
se mai lo prendesse la voglia di congiungersi in amore
con il corpo di lei, e il sonno dolce che toglie i pensieri
così gli potesse versare sulle ciglia e sulla mente infallibile.
L’opera di seduzione passa prima di tutto per il corpo e gli ornamenti:
Per prima cosa lavò con linfa divina
il suo corpo attraente, e lo unse tutto d’un olio
profumato eterno, da lei distillato […]
Ma si realizza grazie ai poteri detenuti da Afrodite:
[Afrodite] si sfilò dal petto un reggiseno ricamato
multicolore, nel quale aveva raccolto tutti gli incanti:
c’era l’amore, e il desiderio, e il colloquio segreto,
la persuasione, che ruba il cervello a chi pure ha saldo pensiero.
Lo mise nelle sue mani, articolò la voce e disse:
“Su, prendi, mettiti al seno questa fascia
multicolore, in cui tutto è raccolto; e non penso davvero
che tornerai a mani vuote, qualsiasi cosa desideri nella tua mente”.
Tra gli strumenti messi a disposizione dalla dea della bellezza e dell’amore c’è la persuasione, definita capace di “rubare il cervello”, di distrarre, di indebolire nel ragionamento anche “chi pure ha saldo il pensiero”; se il progetto seduttivo va a buon fine, infatti, l’altro è lasciato disarmato, vulnerabile, nelle mani del seduttore, esposto alla sua volontà. Non sarà un caso se il vocabolario del sedotto trabocca di espressioni come “schiavo”, “stregato”, “rapito”, “in balia”.
Se nel caso di Era la seduzione era un mezzo per proteggere i Greci, e siamo indotti a fare il tifo per lei, nei secoli abbiamo assistito a forme di vera e propria manipolazione, come dimostra il carteggio tra i due libertini protagonisti de Le Relazioni Pericolose di Choderlos de Laclos (1782). Qui, le strategie architettate per sedurre sono mirate a influenzare l’identità dei malcapitati oggetti delle loro attenzioni, al punto di poter esercitare il controllo delle loro azioni e dei loro desideri.
La mostrerò, vi dico, immemore dei propri doveri e della propria virtù, decisa a sacrificare la propria reputazione e due anni di onestà e prudenza per correre dietro alla felicità di piacermi […] Insomma, non sarà esistita che per me, e, sia breve o lunga la sua carriera, io solo l’avrò aperta e la chiuderò. Una volta raggiunto questo trionfo, dirò ai miei rivali ‘Guardate la mia opera e cercate un altro esempio nel secolo’.”
Laclos mette in scena un potere seduttivo che non ha nulla di solare, di giocoso o di spontaneo ma è frutto del calcolo e di un profondo dominio di se stessi, grazie al quale i seduttori si proteggono dalla possibilità di esporsi realmente all’altro e rendersi vulnerabili.
… Se in mezzo a questi frequenti capovolgimenti, la mia reputazione è rimasta intatta, avrete dovuto per forza concludere che, nata per vendicare il mio sesso e dominare il vostro, dovevo aver saputo inventare dei metodi sconosciuti prima! Ah, tenete i vostri consigli e i vostri timori per quelle donne deliranti che si definiscono sentimentali
Così rimprovera la Marchesa di Marteuil al Visconte di Valmont, prima di raccontare nella lunga lettera l’auto-addestramento a cui si è sottoposta sin da giovanissima per ispirare e fingere amore.
In questa galleria di seduttori che non vedono l’altro nella propria soggettività, è impossibile non menzionare il Don Giovanni del mito, che ha dato il nome a innumerevoli epigoni che a lui si ispirano incarnando un maschilismo seduttivo che seduce reificando l’amante, riducendola a oggetto. Un solitario, il loro, più che una schermaglia erotica. Se l’archetipo di Don Giovanni ha sedotto ma anche agitato i sogni del genere femminile, non si può dire che l’altro sesso abbia dormito sonni più tranquilli se si pensa a un altro archetipo, nato in contrapposizione al femminile domestico e rassicurante, quello della femme fatale.
La figura di questa seduttrice, che tenta e ammalia, che è in grado di condurre alla pazzia o alla disfatta e alla morte gli uomini attraversa la nostra tradizione culturale sin dai tempi di Circe, che “‘avvelena’ l’uomo di piacere offuscandone le capacità di pianificazione e di autocontrollo e lo destina perciò a una vita animalesca, preda di istinti e di pulsioni irrazionali” (C. Franco, Circe, La seduzione e la magia, 2018). Come nel caso di Era, la bellezza di queste fatali seduttrici è solo un ingrediente; ciò che le rende estremamente desiderabili e pericolose è la capacità di creare un artificio, un incanto grazie a un mix di carisma e cattiveria che le distingue dalle altre donne.
Essere sedotti, insomma, è un bel rischio per entrambi i sessi; ognuno ha qualcosa da perdere.
Pur non descrivendo l’ordinaria amministrazione delle nostre vite sentimentali, queste narrazioni ci hanno abituati a pensare alla seduzione come a un processo lineare, qualcosa che A fa a B, dove tutto il controllo e la responsabilità del processo sta nelle mani di chi seduce, mentre il sedotto può solo cadere nella rete, esserne vittima, o girar le spalle. Così intesa, anche quando non ci troviamo davanti alla contessa di Marteuil, sorgono diversi problemi.
Lo studioso canadese Alain Beauclair, in un saggio intitolato “The Power of Seduction”, analizza la seduzione come un tipo di discorso finalizzato alla produzione di desiderio nell’altro e elenca alcune criticità. In primo luogo, dal momento che il desiderio ha una funzione antropogena, sedurre e perciò influenzare il desiderio di qualcuno significa in qualche modo inserirsi, alterare il suo processo di auto-formazione. Non una responsabilità da poco. Ne abbiamo il diritto?
Inoltre, dal momento che la seduzione è una forma di comunicazione finalizzata alla persuasione e non si serve di argomentazioni logiche, ma di giochi, di allusioni, di forme astratte, può essere facilmente associata alla lusinga e all’inganno: “Mentre altre forme di creazione del consenso tendono ad avere almeno una qualche serie di norme più o meno definite per stabilire un accordo (per esempio la scienza ricorre al metodo sperimentale, mentre il discorso economico si basa su un modello contrattuale), la seduzione come forma di discorso è molto più aperta e giocosa, e non sembra essere legata a un set di criteri prestabiliti o definibili a priori”.
Nel suo Perché l’amore fa soffrire la sociologa Eva Illouz aveva scritto qualche anno prima che “la seduzione spesso utilizza codici ambigui, che rendono i primi seduttori della cultura occidentale modelli di una certa libertà dalla moralità” precisando che i “seduttori utilizzano discorsi ambigui perché non sentono di doversi conformare alle norme di sincerità e simmetria”.
Come facciamo, quindi, a sapere se il consenso ottenuto, il desiderio che viene stimolato in questo modo sia genuino e quindi moralmente valido?
Infine, dobbiamo considerare l’influenza esercitata dalle disuguaglianze di genere. I codici di seduzione, infatti, sono strutturati dalle costruzioni di genere che indicano le aspettative sociali in termini di ruoli e norme di comportamento. Nel caso delle donne, ad esempio, ancora molto spesso ci si aspetta che seducano sfoderando le armi della bellezza e della passività. Questa “costruzione”, tuttavia, le rende particolarmente vulnerabili, perché non permette loro di imparare ad articolare il proprio desiderio e crea gli estremi per una nevrosi nella quale da un lato c’è la completa de-responsabilizzazione, in quanto prede, e dall’altro l’eccessiva responsabilizzazione che si traduce nella convinzione di dovere arrivare fino in fondo alla schermaglia seduttiva anche quando da un certo momento se ne perda la voglia.
Polo, questo, a cui ha dato voce Kristen Roupenian nel racconto “Cat Person”, percorso dal dubbio della protagonista se, come donna, avesse il diritto di rifiutarsi di fare sesso con un uomo con cui aveva flirtato, una volta resasi conto che in fin dei conti non le piaceva abbastanza. La seduzione intesa in maniera lineare come l’azione persuasiva di un agente seduttore nei confronti di uno sedotto, come si vede, è sempre problematica dal punto di vista del consenso anche quando non assistiamo a un tentativo esplicito di manipolazione e plagio. Questo modo di intendere la seduzione, oltretutto, si dimostra incapace di tenere conto e valorizzare la dimensione produttiva – di desiderio, di soggettività, di identità sessuali – di questa esperienza umana che ha bisogno della piena reciprocità dei soggetti coinvolti.
Apparentemente la nostra società, piuttosto che mettere in discussione questo modello, sta correndo al riparo dalle criticità e dai rischi della seduzione stessa.
Sebbene Lipovetsky sostenga che la nostra epoca di ipermodernità “segna la fine del regno della seduzione ostacolata, posta sotto tutela”, quella che esce di prigione non ha l’aria di essere una seduzione liberata. Il costante invito a mettersi in mostra, descritto in Piacere e colpire, più che alla seduzione fa pensare all’esposizione e – il passo è breve – alla mercificazione.
Il filosofo Byung-Chul Han, in un saggio dedicato alla tirannia della visibilità (La società della trasparenza), sostiene che la società della trasparenza in cui viviamo è “estranea” all’economia libidica e nemica della seduzione. Quest’ultima, infatti, si avvale di maschere, di illusioni, gioca con l’ambiguità e l’ambivalenza, con il segreto e con il mistero e non può conciliarsi in nessun modo con l’imperativo della trasparenza, dell’esposizione. “La trasparenza o l’univocità sarebbero la fine dell’eros, ovvero la pornografia. Non è un caso, quindi, che l’odierna società della trasparenza sia anche una società pornografica […] L’evidenza priva del segreto del ‘non c’è altro che questo’ è pornografica. All’erotico manca l’univocità del deittico”.
Al contrario, l’erotismo si nutre proprio della distanza tra i soggetti coinvolti, distanza dell’impenetrabilità che produce tensione e attiva il desiderio. Tornando a Carotenuto:
La qualità perturbante dell’oggetto desiderato è data proprio dal fatto che non ci è possibile vederlo nella sua realtà obiettiva, perché il suo volto, come accade per i personaggi del sogno, è formato dalla sovrapposizione di nostre immagini interne, dalla condensazione di più volti. Un viso che, come tale, non riusciamo mai a focalizzare perfettamente, e che subisce continue metamorfosi a seconda dei nostri movimenti transferali.
Immunizzare il gioco seduttivo rendendolo trasparente e innocuo, o schiacciarlo nella bidimensionalità del modello lineare, tuttavia, non sono le uniche opzioni disponibili. L’alternativa è rendere giustizia alla circolarità di un processo in cui non c’è un soggetto che crea un’illusione per attrarre a sé un altro, ma ci sono due soggetti coinvolti in un’operazione simbolica di costruzione di una nuova realtà, quella del desiderio.
Si tratta di considerare la seduzione non come un processo lineare finalizzato a suscitare il desiderio dell’altro e a possederlo, ma come un processo reciproco di costruzione di significati, di esplorazione di se stessi; una dinamica aperta in cui il sesso non rappresenta il traguardo, e quindi la conclusione del gioco seduttivo.
In quest’ottica la seduzione perde quell’aspetto destabilizzante che le è attribuito tradizionalmente, perché non si configura più come minaccia a uno stato di equilibrio ma come l’apertura di un ordine nuovo, altro rispetto a quello della realtà materiale, in cui le soggettività coinvolte giocano con le proprie identità, le esplorano una attraverso l’altra, evolvono come soggetti di desiderio.
Raccontare la seduzione in modalità circolare è complesso, ma è una possibilità che abbiamo per non cadere nel tranello di considerare la semplicità o la trasparenza una forma di protezione, ma imparare a accogliere e attraversare quella zona opaca che è il desiderio umano.