B lack Jaguar dice che vuole farti un regalo.”
“In che senso, un regalo?”
Juno, curatore d’arte contemporanea di base a Seul, e Black Jaguar si sorridono cospiratori e mi fanno cenno di salire sul taxi. Lui fa da interprete, ma buona parte della conversazione si svolge in coreano. Non si vedono da un po’, percepisco l’urgenza di aggiornarsi, scambiarsi opinioni su faccende che riguardano la scena artistica, le novità, la loro posizione. Siamo appena usciti da un ristorante di cucina tipica del sud: una cena di pesce servita in una ventina di piatti, piattini e ciotole piene di brodo e riso.
Black Jaguar è un’attivista femminista, che orbita principalmente nel mondo dell’arte per portare avanti la sua azione politica per la costruzione di una comunità in grado di riconoscere le dinamiche patriarcali e sovvertirle. “In questo periodo porto avanti la mia ricerca sugli immaginari della cultura popolare che hanno condannato o temuto donne che sono sfuggite al patriarcato, come i mostri femminili della tradizione coreana, e sto lavorando per trovare delle linee di collegamento tra queste figure e quelle persone che appartengono alle minoranze del presente. In particolare sto preparando l’ultimo progetto della serie Sunyoung, Miyoung, Mi Young (2017), che sarà esposto a inizio a dicembre alla SomoS Art House a Berlino, all’interno di una residenza per artisti a cui partecipo,” mi spiega.
La capitale della Repubblica di Corea è una metropoli che si estende tra le montagne ed è piena di colline, curve e saliscendi. Il taxi si arrampica lungo delle stradine in mezzo a case di due o tre piani, è pieno di piccoli bar e caffetterie illuminati da luci fievoli e calde. C’è un’aria di segretezza. Questa zona era abitata dai coreani originari del nord che, dopo la scissione del 1945 e l’armistizio tra il nord e il sud del 1953, credevano sarebbero tornati verso le terre natie in breve tempo. Solo la terza generazione ha accettato che questo non sarebbe accaduto, perché i paesi non si sarebbero riuniti e attraverso il confine non ci sarebbe stato nessuno spostamento umano legittimo e pacifico.
Il quartiere è rimasto abbastanza intatto, mi dicono, non ha subito la trasformazione radicale del resto della città. Ripenso a quando Juno, passeggiando per le strade dissestate e la povertà esposta di Yangon, dove ci eravamo conosciuti, mi spiegava che il suo legame con il Myanmar era molto emotivo: uno dei paesi più poveri di tutta l’Asia gli ricordava la sua infanzia in Corea, un tempo che gli provocava una fortissima nostalgia perché la Corea del Sud di oggi, mi diceva, non aveva più nulla in comune con quella in cui era cresciuto.
Le conseguenze dell’industrializzazione sono arrivate tutte insieme, amplificando il senso di inadeguatezza e ansia delle fasce di popolazione più deboli e spesso marginalizzate.
Gli scenari mi sembravano incompatibili: l’ipermoderna Corea – che conosciamo per i grattacieli svettanti, una vita che si svolge sugli schermi, il k-pop patinato, la cosmesi sofisticata, le università competitive oltre ogni ragionevolezza, il culto dell’apparenza, della bellezza, in sintesi del successo – mi sembrava troppo distante dalla vita birmana basata sulla sopravvivenza quotidiana.
Sotto l’influenza degli Stati Uniti, la Corea del Sud ha vissuto una lunga fase caratterizzata da governi autoritari, seppure eletti, sovvertiti ciclicamente da colpi di stato militari fino al 1987, quando è stata istituita la Sesta Repubblica, tutt’ora vigente. Lo sviluppo economico straordinariamente accelerato, non a caso chiamato “il miracolo del fiume Han”, ha visto il PIL pro capite della Corea del Sud aumentare del 242 % dal 1960 al 1980 e ancora del 229 % dal 1980 al 2000. Per rendere l’idea, in Italia l’aumento nei periodi corrispondenti è stato del 126% e del 43% (dati del Center for Economic and Policy Research).
Il paese è arrivato a essere tra i quindici più ricchi del mondo a una velocità pressoché unica, e la trasformazione delle richieste che la società fa ai suoi membri e delle aspettative che questi hanno riguardo alla loro posizione all’interno di essa sono diventate difficili da gestire. Le conseguenze dell’industrializzazione, che la maggior parte delle nazioni ha affrontato in molti più decenni, si sono attivate tutte insieme, contribuendo ad amplificare il senso di inadeguatezza e ansia delle fasce di popolazione più deboli e spesso marginalizzate.
Se consideriamo la nostra difficoltà ad affrontare l’impatto del capitalismo sulla salute mentale dei cittadini, avendo avuto a disposizione molto più tempo, non stupisce che la Corea del Sud sia tra i paesi del mondo con il più alto tasso di suicidi in tutta l’Asia. Il tempo dell’anima, il tempo della mente, il tempo delle relazioni umane familiari, amicali, amorose e di lavoro non hanno avuto il tempo di evolversi in maniera organica. Non c’è stato tempo per processare ed elaborare strategie di risposta a certi cambiamenti.
Il tema della morte e della solitudine del dolore, in particolare di quello delle donne, attraversa l’opera di Black Jaguar.
Nel suo libro Heroes, Franco “Bifo” Berardi definisce la Corea “il laboratorio del mondo connettivo neo umano. È il ground zero del mondo, un canovaccio del futuro del pianeta”. Fa riferimento al cinema coreano per indicare due caratteristiche ricorrenti della rappresentazione della vita in Corea, “la fragilità e la violenza”. E prosegue dicendo che “non dovremmo sorprenderci: la giovane generazione sudcoreana può essere considerata come l’epitome della condizione di solitudine affollata, di isolamento condiviso”.
Il tema della morte e della solitudine del dolore, in particolare di quello delle donne, attraversa l’opera di Black Jaguar: “Con VEGA (2016) ho costruito una performance costruita per ascoltare la voce di tre madri di bambini morti nella tragedia del Sewol (il traghetto affondato nel 2014 in cui morirono 300 persone, la maggior parte di questi ragazzi in gita scolastica). Il pubblico era seduto dietro una vetrina e da lì ciascuno si poteva collegare a un’applicazione sul telefono e ascoltare attraverso i propri auricolari i ricordi delle madri di Yoon Man Lee, Sean Chan Lee e Ye Jin Lee. Io ero dall’altra parte della strada, seduta in un altro edificio, e potevo parlare con loro.”
Il tragico aumento dei suicidi è iniziato con la crisi finanziaria asiatica del 1997: con l’aumento della disoccupazione e dei divorzi molte persone hanno sofferto di gravi stati depressivi. Ma il numero di suicidi è molto alto anche tra gli anziani: si sacrificano per non essere di peso ai loro figli. Infatti, secondo la tradizione confuciana, nel tempo i figli diventano responsabili del mantenimento dei genitori, ma nel mercato del lavoro specializzato tipico del capitalismo questa condizione è di difficile realizzazione.
Il fortissimo conflitto sociale in Corea è in gran parte dovuto alla competizione. Il costo della vita, soprattutto a Seul, è letteralmente doloroso. E la cosa ha conseguenze pesanti anche sul genere. C’è molto astio da parte degli uomini nei confronti delle donne che fanno carriera a causa di un concreto problema di scarsità di posti di lavoro, a cui si aggiunge un welfare molto debole. Così crescere un figlio è fonte di enorme stress, sia per il suo mantenimento, sia perché la competizione scolastica – e la responsabilità di ogni genitore nel tenere il passo insieme ai propri figli – è fortissima.
C’è molto astio da parte degli uomini nei confronti delle donne che fanno carriera a causa di un concreto problema di scarsità di posti di lavoro, a cui si aggiunge un welfare molto debole.
In questo contesto le donne non hanno avuto vita facile. Ne è un esempio l’esplosione di un fenomeno a metà tra il revenge porn e lo stalking. In questi ultimi anni hanno fatto scandalo i video pornografici pubblicati online e registrati da migliaia di uomini con i loro telefoni e da videocamere nascoste in bagni pubblici e stanze di hotel, un fenomeno che ha portato il governo a bonificare a più riprese certi luoghi pubblici e perfino a imporre che si lasciasse attivo il suono emesso dal telefono allo scatto di una fotografia.
“Con la serie Sunyoung, Miyoung, Mi Young (2017) ho voluto proprio sottolineare la sopportazione e resistenza che quotidianamente le donne devono mettere in atto. Questa serie rappresenta donne coreane contemporanee che portano nomi comuni come Sunyoung e Miyoung e i loro sogni. Anche qui sono stata ispirata da quella tragedia in mare e dall’osservazione delle madri in lutto che digiunavano, manifestavano, suonavano, cantavano, discutevano e si impegnavano in ogni tipo di attività. Erano come super esseri umani, come delle dee. In questo progetto uso il disegno come tecnica a partire dalle fotografie che varie donne mi hanno mandato via facebook. Le ho trasformate in mostri, figure mitologiche, che distorcono l’immagine stereotipata della donna nello sguardo patriarcale. Successivamente ho rielaborato questa ricerca in un progetto di moda, si possono vedere un po’ di immagini su Instagram, dove ho reinterpretato la gonna del personaggio del fantasma donna tipico del cinema horror coreano rendendola uno scudo, come uno scudo socioculturale per proteggere chi lo indossa dagli stereotipi di genere.”
Oggi in Corea si ha a che fare con una diffusa misoginia, che in passato si è manifestata nelle stesse iniziative statali. Seguendo le indicazioni dei consiglieri occidentali, i tecnocrati del regime di Park Chung-hee hanno perseguito con ogni mezzo l’obiettivo di ridurre il tasso di natalità in modo da accelerare ulteriormente la crescita economica. Oltre all’introduzione dei contraccettivi orali nel 1968 e a campagne di “pianificazione familiare” tra il 1966 e il 1974, negli anni Ottanta si arrivò a una campagna di sterilizzazione femminile. Per l’inizio degli anni Novanta il risultato era raggiunto.
Intanto fuori dal finestrino ha iniziato a piovigginare. “La campagna #metoo qui ha avuto un forte impatto e dal 2016 sono nate molte organizzazioni, alcune con approcci molto distanti tra loro. Le più note per i toni aggressivi sono Womad e Megalia, che nel frattempo si è sciolta. Era nata nel 2015 e rifletteva la misoginia maschile ribaltandola contro gli uomini, al punto che alcune donne che ne facevano parte suggerivano di abortire nel caso ci si scoprisse incinta di un bambino maschio. Alcuni gruppi si possono considerare proprio TERF (trans-exclusionary radical feminist), sono più aggressivi della stessa Megalia”, racconta Black Jaguar.
“Ma non mancano storie positive di donne che si sono unite ovunque in Corea, anche in provincia. Ad esempio vari gruppi seguono un approccio Ssukafemi, particolarmente attento ai diritti gay e trans. La parola Ssuka arriva dal dialetto di Busan, una città di mare nel sud della Corea, e significa ‘misto’, nel senso che è un femminismo che non si preoccupa solo dei diritti delle donne, ma di chiunque subisca discriminazioni basate sul genere o l’orientamento sessuale. E poi c’è quella di cui ho fatto parte io, l’AWA – Association of Women Artists.”
Questo movimento femminista peculiare, formato da approcci molto contrastanti tra loro, è correlato alla specificità dello sviluppo storico del paese, che ha creato una moltitudine di condizioni compresenti per cui si sono attivate allo stesso tempo le diverse ondate in cui identifichiamo le varie fasi del femminismo occidentale. “Il problema della struttura fortemente gerarchica della società si combina con la violenza sessuale ed è un problema comune vissuto da praticamente ogni donna.”
Chiedo a Black Jaguar di spiegarmi quanto il background culturale del Paese incida anche su ambiti più propensi a rompere le regole, come quello dell’arte. “Prima che il movimento #metoo si scatenasse così massicciamente nel 2017, nel mondo dell’arte c’era già stato un episodio di denuncia di molestie sui social media, a partire da ottobre del 2016. Molte artiste donne hanno appoggiato e rilanciato la chiamata. Nell’arte in ogni ambito, quello più propriamente visivo, quello letterario, cinematografico e teatrale, i problemi di violenza sessuale legati all’abuso di potere e alla rigida gerarchia sono molti seri. In quel caso l’uomo accusato era un artista riconosciuto, che lavorava anche come professore e responsabile della programmazione culturale, aveva molto potere. Le vittime erano giovani artiste, studentesse e aspiranti artiste. Anche io quando avevo poco più di vent’anni e avevo appena iniziato a lavorare come artista ho vissuto l’esperienza di venire invitata in un luogo privato da un curatore della Biennale.”
“Con l’AWA – Association of Women Artists hanno pubblicato una dichiarazione, raccogliendo oltre 2000 firme, che sollecita la risoluzione della questione della violenza sessuale nel mondo dell’arte e l’hanno inviata a istituzioni come i musei d’arte nazionali e pubblici, le gallerie d’arte private e le scuole. Da allora, abbiamo continuamente posto domande alle agenzie governative e proposto politiche che richiedono la creazione di un’agenzia dedicata alla violenza sessuale nel mondo dell’arte. Gli sforzi di organizzazioni come l’AWA e la WACA – Women’s Association of Arts and Culture hanno creato disposizioni sui diritti di autodeterminazione sessuale e fisica dell’artista alla fine dello scorso anno. I destinatari stanno apportando cambiamenti istituzionali, come l’inserimento dell’obbligo di ricevere un’educazione sessuale all’interno della formazione scolastica.”
Vari gruppi seguono un approccio Ssukafemi. La parola Ssuka significa ‘misto’: è un femminismo che non si preoccupa solo dei diritti delle donne, ma di chiunque subisca discriminazioni basate sul genere o l’orientamento sessuale.
Sono anche stati organizzati dei seminari di sensibilizzazione e dibattito. In uno di questi, chiamato여성이미지생산자 (womenimagecreators) e curato dalla WACA insieme al Women’s Human Rights Institute of Korea, è stata invitata Kaori, una delle modelle che ha lavorato più a lungo con il fotografo giapponese Araki. “Lei è stata una delle poche a esprimersi pubblicamente in Giappone ed è rimasta un caso pressoché isolato. Abbiamo voluto mostrarle supporto invitandola in Corea, dove invece si è scatenata una fortissima solidarietà.”
Ad aprile di quest’anno una sentenza della Corte Costituzionale ha decretato incostituzionali le attuali leggi sul diritto all’aborto – istituite sessant’anni fa e che prevedono, tra le altre cose, che le donne sposate debbano avere il consenso del marito per poter abortire – e ordinato che questo venga decriminalizzato e le leggi di riferimento riformate entro dicembre 2020.
La nostra corsa è finita e la macchina si ferma davanti a un locale. Attraverso la porta e capisco cosa c’era in serbo per me, mi ritrovo su una terrazza che si spalanca su tutta la città. I panorami notturni urbani in Asia sono sempre molto eloquenti. Le luci elettriche nel buio fanno da sfondo alle nostre ultime domande, ci chiediamo che strada prenderà il movimento, come userà o subirà la velocità del cambiamento che abbiamo contemplato dubbiosi finora.