P roprio negli anni della sesta estinzione al comprimersi della biodiversità sembra accompagnarsi un rinato interesse dell’editoria per il mondo animale: noi e loro, umani e no, cominciamo a conoscerci nella fase più critica di una lunga coesistenza.
Ecco allora i nuovi bestiari di Marsilio e Nottetempo, o la collana di Adelphi dedicata all’intelligenza animale, di cui è uscito da poco il terzo volume. Questa volta, dopo elefanti lupi e orche (Carl Safina), dopo seppie e polpi (Peter Godfrey–Smith), al centro della ricerca c’è il corvo imperiale, o Corvus corax.
L’autore della Mente del corvo è Bernd Heinrich, biologo dell’Università del Vermont, ma soprattutto maratoneta, scrittore, uomo dei boschi nato in Germania nel 1940. Com’era già successo per Carl Safina e altri, apro questi libri per scoprire le assurdità di cetacei e volatili e finisco per affezionarmi a scienziati che dei fatti loro parlano poco o niente, a meno di squarci improvvisi. Non mancano mai le escursioni nelle bufere, i vitelli squartati e i rapimenti, le arrampicate insensate alla ricerca di nidi; spuntano poi passioni inaspettate, inclinazioni artistiche, atletismi, deliri.
Per capire l’allegria del libro bisogna immaginarsi un biologo settantenne che in mezzo alla neve si avvicina ai suoi corvi indossando una maschera di Halloween, o un vestito da orso, camminando a gattoni. Tutto per capire come funzioni il meccanismo di riconoscimento di questi uccelli, se attraverso le sembianze, l’olfatto, la gestualità.
Poi, qualche pagina più in là, il biologo settantenne si toglie la maschera da serial killer e scrive: “un miracolo è un evento che non trova spiegazione nelle leggi naturali. Per alcuni, me compreso, questo significa che ci sono miracoli ovunque. […] Per me il comportamento dei corvi in generale è un miracolo”.
Il libro è infatti una lunga preghiera rivolta all’intelligenza corvide, fascio di luce che si rivela solo a tratti, inaspettato, per forza ambiguo. Un mandala disegnato nei milioni di anni della vita dell’uccello, pronto a crollare e ricrollare felice a ogni nostra indagine.
Heinrich si dedica ai corvi come una suora alle anime. Si ammucchiano nei millenni le parole appese al filo tra pratica religiosa e alienità animale, le peregrinazioni, le omelie e i dottorati, un incesto fertile in ogni civiltà e commedia umana, al punto che nemmeno il freddo Heinrich, le piume incollate alle mani dal grasso viscerale dei bovini, si astiene dall’avventura:
Odino, padre degli dèi e degli uomini, aveva assunto sembianze umane ma da solo era un essere imperfetto. Non vedeva bene (aveva un occhio solo), era poco attento e smemorato. Le sue debolezze erano compensate da una coppia di corvi: Hugin («il Pensiero») e Munin («la Memoria»). I due stavano appollaiati sulle sue spalle e ogni giorno volavano fino agli estremi della terra per fare ritorno la sera e comunicargli le novità. […] Il mito potrebbe essere il riflesso di un passato che abbiamo da tempo dimenticato e il cui significato si è a poco a poco logorato e perso man mano che abbandonavamo la caccia per diventare pastori e agricoltori, costringendo i corvi al ruolo di concorrenti.
Di nuovo, ci si smarrisce nel campo magico notturno delle altre menti, attraverso la catalogazione di gesti suoni e relazioni animali che prendono a morsi intere biblioteche di pensiero filosofico. “Molti uccelli sono in grado di percepire il campo magnetico terrestre, la luce polarizzata e gli altri suoni”: partendo da queste e altre premesse, la presunzione di confrontare la nostra intelligenza alla loro si fa ridicola, anzi buffa, pietosa. Si entra in un altro mondo. Il “reale” viene proiettato, letteralmente, su un’altra frequenza.
A proposito di frequenze: così come l’uccello lira comune raccontato in un nostro articolo da Francesca Buoninconti, capace di riprodurre arie flautate, detonazioni, motoseghe, anche i corvi riescono a imitare suoni artificiali. Ci sono corvi che imitano le interferenze radiofoniche o l’avviamento delle motociclette, e tanto altro, come racconta David Barash, un ricercatore del parco nazionale di Olympic, Seattle:
Durante l’estate sentii spesso il suono frusciante, gorgogliante, dello scarico d’acqua di un orinatoio. Ancora una volta erano i corvi, in questo caso almeno due individui diversi. A mezzo chilometro di distanza c’era un’area picnic con delle toilette i cui orinatoi erano programmati per scaricare acqua circa ogni trenta secondi.
Questa mimesi, come le complesse gerarchie sociali, la simbiosi con i lupi, la vigilanza massima e continua, sembrano confermare il credo di Heinrich rispetto alla mente del corvo: “più è complessa più la si può definire mente, così come più sono gli alberi, più si può parlare di foresta”. Lo dice un vecchio bambino che per tanti anni ha cercato di capirci qualcosa, e che su questi alberi ci si è arrampicato, centinaia e migliaia di volte, per la scienza certo ma, ancora di più – com’è ovvio –, per amore:
“Ho visto moltissimi nidi di corvo, ma trovarmi lassù è sempre un’esperienza emozionante, soprattutto dopo un’arrampicata difficile e pericolosa. Erano le uova più belle che avessi mai visto. Il colore di fondo era un verdino simile a quello delle foglie ancora chiuse delle betulle misto all’azzurro di un cielo limpido di primavera o della celastrina, una farfalla che in quel periodo vola rasente al bosco. Erano coperte di macchie di una tonalità scura di verde oliva, il colore degli abeti, e di un marrone grigiastro simile a quello della corteccia dei pini. […] Le uova erano poggiate su una spessa fodera di pelo bianco probabilmente prelevato dalla coda di un cervo, filamenti di corteccia di cedro e frassino, zolle di muschio color verde pisello e ciuffi di peli neri di orso”.
Ci si trova a chiudere il libro negli odori del bosco, al vento e al sole, stravolti dalle radiazioni colorate che la nostra mente ci permette di raccogliere.