P alermo. La sera del 12 maggio un piccolo manipolo di persone, saranno una dozzina, esce dall’Hotel Garibaldi con l’aria con cui si esce da un’accesa discussione. Alcuni sorridono nervosi, altri si congedano, i più semplicemente si disperdono. Sono i pochi superstiti di un convegno terrapiattista nazionale, iniziato quella mattina e andato avanti per tutta la giornata gettando benzina su un incendio che già altrove bruciava di incomunicabilità, posizioni contrapposte, sarcasmo, obiezioni e tanta solitudine.
La teoria della Terra piatta, i cui seguaci fanno capo globalmente alla Flat Earth Society, si basa molto sinteticamente sull’idea che la forma sferica del nostro pianeta sia una bufala orchestrata e tenuta in piedi da una serie di “poteri forti” in maniera attenta e capillare. Secondo i terrapiattisti la forma della Terra è inequivocabilmente circolare e piana, una sorta di pizza sospesa in un universo anch’esso diverso da come lo conosciamo, e fondamentalmente ignoto. Il Polo Nord è al centro di questa pizza, mentre l’Antartide ne costituisce la circonferenza esterna, il limite invalicabile fatto di ghiaccio, il cornicione dopo il quale la pizza finisce e non sappiamo ancora cosa c’è. Una delle ipotesi è che ci siano ulteriori terre emerse, tenute segrete per motivi che potrebbero aver a che fare con presenze aliene, o basi militari, o enormi risorse sconosciute. A sovrastare tutto questo una cupola che, oltre a tenerci saldi sul piatto, ha anche la funzione di planetario: su di essa viene infatti proiettato il firmamento, le stelle e tutti i movimenti dei corpi celesti. Ogni prova che abbiamo per dimostrare il contrario è sbagliata o è un falso.
Quando quella mattina una sessantina di convenuti si ritrovano nella hall dell’albergo a guardarsi l’un l’altro con i rispettivi taccuini e microfoni tenuti a mezza altezza, capiscono quasi subito di essere praticamente tutti giornalisti. Nonostante le premesse siano in qualche modo ambiziose – ribaltare la Scienza e riscrivere la Storia – di terrapiattisti autentici ce ne sono davvero pochi, mischiati a qualche ricercatore scientifico in cerca di intrattenimento e a qualche curioso generico. Dopotutto il convegno è a pagamento e la cosa scoraggia molti: 20 euro per tutti. Che tu sia un seguace, un giornalista, uno studente o un rivoluzionario, per partecipare all’evento e riscrivere la Storia devi pagare il biglietto.
La conferenza comincia in un contesto così informale che in qualche modo anticipa i contenuti. Entro in una piccola sala con il soffitto basso, fitta di sedie e con uno striscione su una parete laterale che dice “La Terra è piatta” (scritto in maiuscolo con una bomboletta nera). All’interno, seduti ai propri posti, due dei tre relatori, Calogero Russo e Albino Galuppini, anticipano una serie di nozioni e dimostrazioni incalzati dalle curiosità dei giornalisti che proprio non ce la facevano ad aspettare l’inizio della conferenza. Si tratta ancora di informazioni frammentarie, soprattutto incomplete, supportate da qualche immagine proiettata e da alcune rappresentazioni stampate del mondo piatto. Le prime domande sono istintive, e generalmente tutte sulle motivazioni del complotto. Perchè crediamo che la Terra sia sferica quando in realtà è piatta? Qual è il vantaggio di manipolare la quasi totalità delle conoscenze scientifiche e storiche per nascondere la vera forma della terra? Chi ci guadagna da questa cospirazione? Le risposte sono accennate ed elusive, però provando a ricostruirne una che ne riassuma i diversi tratti dovrebbe essere pressapoco così: sono i cosiddetti Illuminati gli artefici di tutto, spinti da scopi luciferini: ci inducono a credere che la nostra esistenza è casuale, insignificante nell’universo, quando in realtà siamo controllati e illusi.
Il convegno è fatto di incomunicabilità, posizioni contrapposte, sarcasmo, obiezioni e tanta solitudine.
Questi piccoli assaggi iniziano ad accendere i primi interessi verso quello che potrebbe succedere di lì a poco, lasciando immaginare delle tesi più succose e creando delle aspettative che finiranno con l’infrangersi rovinosamente dopo non più di tre o quattro minuti. Quando arriva anche Agostino Favari, terzo relatore e promotore della giornata, si dà il via ufficiale al convegno e ci si rende immediatamente conto che la parzialità e le imprecisioni viste un attimo prima non erano legate solo all’anteprima estemporanea, ma rappresentavano proprio il metodo espositivo delle successive otto ore di chiacchiere.
Le dimostrazioni sulla forma della Terra sono in effetti più delle costruzioni, una serie di ipotesi e aneddoti messi in fila, e quasi mai a sistema con altre informazioni o teorie. La maggior parte delle affermazioni si basano su esperimenti empirici – e soltanto su quelli, perchè tutto ciò che non possiamo vedere con i nostri occhi potrebbe essere una menzogna – come ad esempio osservare l’acqua in un contenitore: per quanto lo si possa inclinare la superficie dell’acqua resta sempre orizzontale, e si deduce che è impossibile che possa aderire curva attorno ad una sfera. Ripenso a testa bassa al titolo del convegno: “Terra Piatta, tutta la verità”.
L’approssimazione generale è altissima e i vari interventi sembrano piuttosto improvvisati. Sono deluso. Al di là dei contenuti, era lecito immaginarsi che nel preparare un’occasione del genere i relatori avessero lavorato almeno un po’ sulla loro credibilità. Sapevano fin dall’inizio di stare esponendosi al lancio di pomodori, e di conseguenza mi illudevo di assistere ad un intervento organico, un discorso qualunque che potesse andare non dico dalla A alla Z, ma almeno alla D, o anche C.
Quello che succede in effetti è che si parte dalla Z (la Terra è piatta) e a ritroso si cerca qualunque evidenza o congettura che, per quanto bizzarra, convalidi la tesi. Chiaramente con un approccio di questo tipo si creano delle teorie infalsificabili: più una persona crede ai complotti, più penserà che ogni obiezione scientifica fa parte del complotto stesso. Come riassume bene Andrea Ferrero, ingegnere spaziale e divulgatore scientifico, si tratta di “un circolo vizioso quasi impossibile da spezzare, [in cui] ogni prova contro la teoria del complotto viene reinterpretata come una prova a suo favore”.
In sala ogni qual volta qualcuno mette in crisi in maniera decisa un’ipotesi, un dato, una deduzione buttata lì, viene immediatamente tacciato dai tre relatori di essere un troll pagato per confondere e affossare la verità. L’apice si raggiunge quasi subito, a metà mattina, quando Favari risponde alle obiezioni di un partecipante: “Guardate tutti, questo è quello che fanno i troll! Se fossimo sulla mia pagina Facebook lo avrei già bannato!” E in effetti non siamo per niente lontani dal trovarci su quella pagina. Più volte i tre relatori terrapiattisti hanno dovuto rispondere relativamente alle fonti a cui attingevano, e nella quasi totalità dei casi l’unica risposta comprensibile è stata sempre e solo “internet”. Il carattere pretenzioso e del tutto approssimativo innervosisce molti partecipanti, e innesca subito il dibattito. A parte qualche momento più lineare si può dire che un convegno, così per come lo si può comunemente intendere, non ha mai veramente luogo.
L’approccio terrapiattista crea una teoria infalsificabile: più una persona crede ai complotti, più penserà che ogni obiezione scientifica fa parte del complotto stesso.
Quello a cui invece partecipiamo tutti – e che credo sia di gran lunga l’aspetto più interessante tra gli altri – è il gioco di ruoli che inevitabilmente si mette in scena. Ai miei occhi i contenuti passano quasi subito in secondo piano, sostituiti da un interesse sulla natura del movimento, sul tipo di relazioni e comportamenti che genera, prima online e poi nel mondo fuori. Più che in una sala conferenze sembra di essere davvero all’interno di una pagina social: si comincia con la pubblicazione di immagini dal sapore scientifico (o, a seconda della pagina, direttamente di meme) che illustrano una teoria un po’ stravagante ma al tempo stesso diretta, attraente, e la si lascia lì, a generare interazioni. Immediatamente una serie di commenti eterogenei, pacati o furiosi, scientifici o denigratori, si avvicendano a cascata senza riuscire mai, tutto sommato, a permeare nelle posizioni reciproche. Si assiste alla messa in scena di quelle dinamiche che crediamo esistere solo online, e che invece ci accorgiamo di vivere anche al di qua dei display. Nel complesso, non essendoci davvero alcun tipo di scambio, tutto sembra essere una grande perdita di tempo. E generalmente, quando è così, vuol dire che c’è un problema serio.
Negli ultimi anni un numero crescente di studi accademici e di articoli hanno cercato di mettere a fuoco il fenomeno delle teorie cospirazioniste. I rami di ricerca più interessanti sono due: perchè nascono queste teorie, e se e come trovano sempre più carburante nel modo in cui oggi circolano le informazioni.
Tracciare un profilo del cospirazionista oggi è piuttosto complesso: bisogna considerare una moltitudine di variabili individuali, e sicuramente non possiamo semplificare attribuendo la propensione per queste teorie solo allo scarso livello di istruzione. Nel caso del convegno di Palermo, ad esempio, Agostino Favari e Albino Galuppini sono rispettivamente ingegnere elettronico e paleobiologo (“tipo Alberto Angela”, come lui stesso ama sottolineare).
Il problema non è l’esistenza di cospirazioni, ma l’esistenza delle teorie cospirative, che producono una “mitologia” che rende inerti e distratti.
Un’argomentazione che torna spesso è che non siano tanto le competenze acquisite o meno, quanto la ridotta capacità di pensiero analitico a dare spazio a credenze cospirazioniste, che proprio per questa ragione non ce la fanno mai a superare il limite di panzane. Creare una conoscenza condivisa vuol dire mettere a sistema le informazioni con tutte le correlazioni che le legano, moltiplicando una serie di esperienze validate, e senza ripartire ogni volta da zero. È vero, la conoscenza è un processo aperto e in quanto tale, soprattutto in un sistema complesso come il nostro, si basa anche sulla fiducia di chi quei conti li fa, di chi produce esperimenti e li mette in relazione con altri. La mancanza di fiducia e il bisogno di certezze tangibili è infatti il più profondo e il più interessante degli aspetti di questa vicenda.
Romolo G. Capuano, sociologo e criminologo, attribuisce gran parte dell’attrattività di certe teorie al bisogno di senso delle persone. “La mente umana ritiene impossibile che gli eventi siano casuali: deve esserci uno schema che razionalizzi tutto quello che ci succede”, anche se questo schema fa paura. E la paura è sempre preferibile all’angoscia, perché si riferisce a qualcosa che la genera, mentre l’angoscia è indefinita, e difficilmente riusciamo ad attribuirle un significato. In una piccola intervista Noam Chomsky riflette su quanto da un lato sia giusto e comprensibile porsi domande sul nostro ruolo nel mondo. Generalmente partiamo da una condizione di impotenza, di incertezza, e cercandone un significato quello che troviamo è il normale (e non necessariamente giusto) funzionamento delle istituzioni e delle strutture sociali.
Le cospirazioni esistono, soprattutto in ambito economico. Sono esistiti sempre nella storia dei gruppi di individui che per avvantaggiare spregiudicatamente un determinato interesse hanno agito in maniera illecita, o comunque contro gli interessi legittimi dei più. La corruzione, le mafie, alcune attività di corporation e multinazionali sono alcune delle manifestazioni più evidenti. Ma si tratta di fatti che possono essere – come lo sono stati – comprovati da indagini, inchieste, processi o studi storici, in un processo evidente e analitico. Il problema quindi non è l’esistenza di cospirazioni, ma l’esistenza delle teorie cospirative, le quali si muovono con tutte altre dinamiche, producendo soprattutto una “mitologia” che rende inerti e distratti.
Nel frattempo in sala i convenuti palleggiano con un grande planisfero gonfiabile lanciato in mezzo al pubblico da Galuppini. A furia di contrapporsi evidentemente ci si stanca, e c’è bisogno di un momento di distensione. Nessuno, nemmeno i relatori, sanno spiegarsi quello che davvero stanno vivendo.
Uno degli elementi paradossali che alimenta l’entusiasmo dei cospirazionisti e in qualche modo fa la fortuna delle loro teorie, non è tanto il consenso che generano, quanto il dissenso. È un punto ben chiarito dagli studi sperimentali di Roland Imhoff, dell’Università Gutenberg di Mainz, secondo cui “una teoria cospirativa qualunque riceve più sostegno da parte di persone (con un alto livello di mentalità cospirazionista) quando apprendono che questa teoria è supportata solo da una minoranza degli intervistati, rispetto a quelle supportate da una maggioranza”.
Insomma, più una teoria del complotto prende piede, meno è attraente per i cospirazionisti, perché in qualche modo si avvicina gradualmente ad essere mainstream. Se per assurdo un bel giorno, dopo anni di lotte intellettuali, i telegiornali dicessero che effettivamente la Terra è una pizza, tutta l’attrattività di una teoria del genere forse collasserebbe agli occhi di chi l’ha sempre sostenuta, tradita dal successo di un pensiero che è diventato dominante. Il problema è che questa necessità di sentirsi diversi, di emergere dal “gregge” attraverso all’appropriazione di un’improbabile verità, di smarcarsi da una manipolazione di massa, nei fatti produce segmenti sociali altamente condizionabili.
Alla luce di questo ci si potrebbe chiedere se argomenti come la Terra piatta, le scie chimiche, i rettiliani, vadano in qualche modo tutelati, così come in genere si tutelano giustamente i pensieri minoritari. Il punto è uno, e ritorna: lo spirito critico e le competenze analitiche, che poi sono la più sana arma di difesa delle idee. Le teorie dei complotti, essendone prive, sono facile preda di un condizionamento più o meno deliberato, e hanno conseguenze sociali e politiche serie e tangibili (allontanamento dalla partecipazione politica, movimenti no-vax, negazione del riscaldamento globale, la generale sfiducia del sistema, per citarne alcuni). Se è vero che il potere spesso ha a che fare con gli interessi di pochi e il rischio di molti – e che delle ingiustizie è bene avere coscienza – le teorie del complotto, di qualunque tipo siano, sono un modo per farsi le domande sbagliate, trovando risposte ancora peggiori.
Foto dal convegno di Palermo dell’autore.