V iaggiando per l’Italia degli anni Settanta, Ottanta e Novanta non era insolito imbattersi in enormi scritte ai lati delle autostrade, su cascine abbandonate e sottopassaggi cittadini, fatte con il rullo e la vernice bianca e che dicevano soltanto: “Emoscambio”. Con la “E” tracciata come una specie di sigma, quindi: “ΣMOSCAMBIO”. Erano ovunque, dal Trentino alla Sicilia, e hanno continuato ad apparire qua e là per quasi trent’anni. Nessuno sembrava sapere cosa volessero dire, né perché fossero state tracciate, né che cosa ci fosse dietro. L’aura di mistero e la loro onnipresenza le facevano rimanere ben impresse a chi le vedeva, fino a far acquisire a quella parola lo status di una leggenda urbana. Compare in libri di Mario Rigoni Stern, Edoardo Nesi, Nanni Balestrini, Enrico Deaglio. Ma sempre in due righe, come una citazione di colore parlando dell’Italia di quei tempi.
Talvolta di fianco alle scritte c’era un numero di telefono: 02-7530148. Chi chiamava sentiva – stando alle testimonianze, così vuole la leggenda; ormai è impossibile verificare – un messaggio registrato sulla segreteria telefonica di un appartamento a San Felice, gated community vicino a Segrate, all’estrema periferia est di Milano, tra l’Idroscalo e l’aeroporto di Linate. Il contenuto del messaggio pare che fosse una sommaria presentazione dell’Istituto Italiano di Fisiologia, fantomatica istituzione dedicata alla diffusione di una teoria medica rivoluzionaria che prometteva di guarire da ogni malattia e addirittura di sconfiggere la morte. Si invitava a inviare 10.000 lire a una casella postale presso l’aeroporto di Linate, specificando il proprio indirizzo, per ricevere dei depliant informativi.
Dietro l’Istituto Italiano di Fisiologia – noto anche come Istituto Internazionale di Fisiologia, Centro Studi Emodinamismo o Centro Studi Emopsicogenetici – in realtà c’era una persona sola: un certo Vito Cosmai, classe 1938, che nel 1971 cominciò a dedicarsi a tempo pieno all’agitazione e alla propaganda, consumando nell’impresa tutti i suoi soldi e smettendo solamente in punto di morte. Nel corso dei trent’anni successivi avrebbe scritto e stampato in proprio tre libri, prodotto, distribuito e attacchinato in giro per Milano diversi volantini, organizzato conferenze nel suo garage di Segrate, sconfinato in Svizzera per arringare settimanalmente gli avventori di una trattoria ticinese, e soprattutto girato l’Italia senza sosta a bordo di un furgoncino Bedford bianco per fare quelle gigantesche scritte che, seppur sbiadite, si vedono ancora di tanto in tanto sulle strade italiane e che hanno fissato la sua opera nella memoria collettiva di una generazione.
La pratica a cui Cosmai era così devoto – l’Emoscambio, appunto – e che cercava con ogni mezzo di diffondere era piuttosto semplice: lo scambio periodico di piccole quantità di sangue tra individui dello stesso gruppo sanguigno, di sesso opposto e dalle caratteristiche fisiche (altezza, peso, età) simili. Così facendo gli individui si sarebbero aiutati l’un l’altro: il sangue altrui avrebbe arricchito il proprio di non meglio precisate sostanze di cui esso mancava, le difese immunitarie ne sarebbero uscite rafforzate, l’organismo ne sarebbe stato ringiovanito. La logica conseguenza era che continuando a praticare l’Emoscambio si sarebbero potute sconfiggere in modo naturale tutte le malattie e persino l’invecchiamento. Un’altra conseguenza logica, d’ordine superiore, era che dal rafforzamento dei suoi componenti anche la società stessa sarebbe uscita rafforzata, migliorata.
Queste le idee di Cosmai dal punto di vista medico. Ma sarebbe sbagliato considerare la storia di Emoscambio solo come un capitolo particolarmente eccentrico della lunga storia delle medicine alternative in Italia. Accanto alle pulsioni di immortalità mediate dallo scambio di sangue c’era infatti molto di più: una bizzarra teoria sessuale, tanto per cominciare – aspetto in realtà marginale a cui però è dedicato l’unico volantino dell’Istituto Italiano di Fisiologia che sia arrivato fino a noi, e che per questo motivo è stato ingigantito dalle ricostruzioni che parlano di questa storia. E poi teorie sull’alimentazione legate ai gruppi sanguigni, teorie ecologiche e astronomiche, teorie sul sonno e sull’acqua piovana. Ma c’erano anche lati oscuri: teorie politiche fascistoidi, teorie eugenetiche e razziali. Tutto parte di uno stesso corpus che, come nella migliore tradizione delle teorie del complotto, era in perenne espansione tanto quanto l’ego di colui che lo elaborava: così nel 1971 Cosmai compiva ricerche mediche eterodosse; nel 1980 scriveva un vangelo apocrifo, Il Vangelo Secondo Vito Cosmai; nel 1999 cercava cavie umane per gli esperimenti con cui intendeva salvare l’umanità.
Sarebbe sbagliato considerare la storia di Emoscambio solo come un capitolo particolarmente eccentrico della lunga storia delle medicine alternative in Italia.
Le teorie sanguigne di Cosmai non erano una sua invenzione o una sua esclusiva. Un Vito Cosmai era già comparso a questo mondo per elaborarle, mezzo secolo prima e a migliaia di chilometri di distanza; aveva fondato e diretto un altro Istituto, con ben più successo e migliori disponibilità economiche; aveva anche lui sperimentato su se stesso ed era morto per una trasfusione sbagliata.
Il nome di questa precedente e più fortunata incarnazione di Vito Cosmai è Aleksandr Aleksandrovič Bogdanov (1873-1928). Biologo, filosofo, romanziere di fantascienza e maggiore antagonista politico di Lenin prima della rivoluzione d’Ottobre, negli anni Venti Bogdanov si ritirò dalla vita politica per dedicarsi alla medicina nel campo al tempo ancora sperimentale delle trasfusioni di sangue, fondando e dirigendo coi soldi di Stalin l’Istituto Trasfusionale di Mosca. La summa teorica di quell’esperienza sarebbe stata coagulata nel 1927 in un manifesto intitolato The Struggle For Viability, in cui Bogdanov avrebbe formulato per la prima volta in modo completo – anche se in forma di finzione narrativa esse si possono già ritrovare nel suo romanzo Stella Rossa – le sue teorie sulla trasfusione di sangue come mezzo per ottenere il ringiovanimento dell’organismo e sconfiggere l’invecchiamento, oltre che la sua dottrina del “collettivismo fisiologico.”
Come spiega Nikolai Krementsov, che a Bogdanov e alle sue teorie sul sangue ha dedicato il suo A Martian Stranded on Earth, in quegli anni i metodi per fermare l’invecchiamento e ringiovanire l’organismo erano il tema più caldo della ricerca medica in Russia. Lo scopo dell’opera di Bogdanov era dunque sistematizzare la sua esperienza con le trasfusioni per farne una “teoria generale” dell’invecchiamento e di come combatterlo.
A livello teorico, Bogdanov contestava la validità di nozioni come quella di “vecchiaia” e “giovinezza” preferendo adottare quella di “vitalità”. Egli sosteneva che nella sua lotta costante contro l’ambiente naturale l’organismo accumula e spende energie: la quantità di energia accumulata e il modo in cui questa viene organizzata sarebbero i fattori principali nel determinare la “vitalità” dell’organismo stesso. Per Bogdanov la questione del ringiovanimento dell’organismo era mal formulata: non si trattava di riportarlo a una condizione pre-esistente ma di espandere la sua vitalità ottimizzando sia l’energia accumulata che la sua organizzazione. A suo avviso la vita poteva essere definita come “una forma di equilibrio dinamico”: gli scambi di energia tra l’organismo e l’ambiente erodevano quest’equilibrio facendo accumulare “squilibri” all’organismo, causandogli di conseguenza un “declino di vitalità”; si trattava dunque di riequilibrare questi squilibri.
Lo strumento per fare ciò doveva essere il sangue, che Bogdanov vedeva come un tessuto “universale” in grado di “unificare” tutti gli organi, tessuti e cellule dell’organismo grazie alla sua doppia funzione di rifornimento di sostanze nutritive e smaltimento di rifiuti. A causa di questo doppio ruolo il sangue stesso tendeva a diventare la fonte degli squilibri dell’organismo: in tal caso andava “purificato” o “rinnovato” in modo artificiale – e cioè tramite una trasfusione. Ovviamente c’era da tenere conto delle caratteristiche individuali del donatore e del ricevente, delle quali secondo Bogdanov il sangue era il custode, ma tutto considerato la conclusione era netta: uno scambio di sangue tra due organismi multicellulari portava, come regola generale, a un aumento della loro vitalità. Nel suo manifesto, Bogdanov presentava anche alcune “evidenze sperimentali” a supporto della sua teoria: gli scambi di sangue effettuati dal suo gruppo di ricerca all’Istituto Trasfusionale di Mosca nel 1924-25 tra quattro individui anziani e sette giovani. Secondo Bogdanov i primi avrebbero tutti ottenuto benefici dall’operazione, e anche per cinque dei sette giovani gli scambi di sangue avrebbero avuto “un’influenza positiva” sulla salute.
Nelle intenzioni di Bogdanov lo scambio di sangue non avrebbe portato benefici soltanto ai singoli individui: l’intera società ne avrebbe giovato. Nell’estasi rivoluzionaria che permea il primo decennio di vita dell’Unione Sovietica la salute del singolo e quella della società si confondono, e la scienza medica si intreccia con la scienza dell’organizzazione sociale. Tramite le trasfusioni – affermava Bogdanov – oltre a rafforzarci l’un l’altro compensando a vicenda le nostre debolezze, avremmo perseguito la collettivizzazione biologica, e dunque l’unità del popolo e l’armonia sociale. La costruzione del socialismo in un solo sistema circolatorio.
Bogdanov sarebbe morto nel 1928, dopo essersi scambiato il sangue con uno studente malato di malaria e tubercolosi. Mezzo secolo più tardi Cosmai avrebbe ripreso parzialmente le sue teorie sulla guarigione individuale e sull’armonia della società – in modo forse inconsapevole, visto che le traduzioni italiane delle opere di Bogdanov sono tutte successive all’inizio delle attività dell’Istituto Italiano di Fisiologia.
Una precedente e più fortunata incarnazione di Vito Cosmai e di Emoscambio è Aleksandr Bogdanov, biologo, filosofo, romanziere di fantascienza e antagonista politico di Lenin.
Sebbene le scarne tracce della sua esistenza che si possono ritrovare sulla stampa dell’epoca di volta in volta lo invecchino o lo ringiovaniscano, dalla tomba in un cimitero di Milano sappiamo che Vito Cosmai nacque a Milano nel 1938. Suo padre Franco era emigrato al nord da Bari negli anni Trenta e aveva messo su una piccola azienda che commerciava in cascami tessili, ossia in stracci – ma con discreto successo se nel 1960 poté mandare a studiare la figlia Flavia a Londra e poco dopo comprare a Vito un piccolo appartamento a San Felice; della madre, Lea Luigia, invece sappiamo ben poco, se non che era una devota cattolica. Diplomatosi come perito tessile a Bergamo, probabilmente all’ITIS Paleocapa, Vito Cosmai prese poi a lavorare nell’azienda del padre, la Cosmai Ricerca Tessile Sdf (che sta per società di fatto, un vecchio tipo di azienda ormai quasi scomparso). “Compravo e vendevo intere partite di stracci” avrebbe raccontato in una delle sue pochissime interviste. “Sono perito tessile, perciò in questo mestiere mettevo anche la mia esperienza specifica, ho guadagnato bene”.
Questo negli anni Sessanta. A un certo punto della decade, probabilmente verso la fine, Vito Cosmai rischia di morire per un’ulcera: è questo il trauma che lo spinge ad allontanarsi dal sistema di valori in cui era vissuto fino a quel momento e dedicare il resto della vita all’Emoscambio. Ne parla ancora lui stesso: “Lei pensa che io sia matto, vero? Tutti lo pensano, solo perché voglio salvare l’umanità dalla catastrofe! Perché, che schifo di vita è una vita in cui si muore? Io ho avuto due emorragie da ulcera, so cosa è la morte, e non voglio morire. Nessuno deve morire”.
Tra il 1969 e il 1970 Vito Cosmai si trasferisce al civico 34 della Settima Strada nel nuovo quartiere di San Felice, vicino a Segrate, nell’appartamento che dal settembre 1971 diventerà la sede dell’Istituto Italiano di Fisiologia. È una piccola tavernetta al livello della strada, con un box attiguo dove per quasi trent’anni si terranno conferenze settimanali. Di questo primo periodo di attività in cui cerca di farsi conoscere con pubblicità a pagamento sui quotidiani, volantini e con le prime scritte murali ci restano diverse testimonianze, perché quell’uomo che afferma di aver trovato la via dell’immortalità attira l’attenzione dei tabloid.
Nel 1972 lo intervista Novella 2000 – e lo interrogano i carabinieri, che gli perquisiscono la casa, gli sequestrano dei volantini e lo mandano a processo per vilipendio della religione. Nel 1973 è la volta settimanale ABC – e di un’interrogazione parlamentare sul suo Centro Studi al Ministro dell’Interno, dopo che per pubblicizzare l’Emoscambio aveva scritto lettere a diversi parlamentari chiedendo di comunicargli il loro gruppo sanguigno (Andreotti gli risponderà con cortesia). Nel 1975 una delle sue prime scritte gli fa guadagnare un trafiletto sul Corriere della Sera: “Emoscambio è la parola d’ordine, lo slogan e il credo di Vito Cosmai, trentasei anni, ex dipendente di un’azienda tessile, fondatore e sacerdote dell’emodinamismo: pratica di vita in bilico tra una scienza con riverberi stregoneschi e una filosofia che fa l’occhiolino se non a una supremazia ad una selezione della razza”.
Nella prima di queste interviste, a Cosmai viene dato spazio per spiegare la sua teoria. “L’emodinamismo è uno scambio reciproco e simultaneo di sangue tra un uomo e una donna non consanguinei, aventi lo stesso gruppo e Rh sanguigni con integrazione negativa. Scopo di questo scambio è quello di equilibrare il trofismo dei due soggetti”. Ovvero ai maschi manca un patrimonio di cellule e anticorpi che hanno invece le femmine, e viceversa, per cui “detto in parole poverissime: io do un po’ di sangue a te; tu dai un po’ di sangue a me, ed entrambi viviamo in eterno, felici e contenti”. A differenza di quelle di Bogdanov, le tesi di Cosmai non sono supportate nemmeno da una parvenza di prova empirica. Lo ammette lui stesso: “Io sono sicuro di aver ragione, però non sono riuscito a sperimentare la mia teoria come avrei voluto e dovuto. Mi baso su ricerche che ho fatto, piccoli esperimenti su cavie animali e trasfusioni, cioè emoscambio, con qualche donna”. Ma non è che la sua teoria possa rivelarsi sbagliata: se mai l’unico problema è capire la giusta quantità di sangue da scambiarsi – purtroppo, dice, non ha ancora elaborato “una precisa tecnologia sull’argomento”.
A differenza di quelle di Bogdanov, le tesi di Cosmai non sono supportate nemmeno da una parvenza di prova empirica, come ammise lui stesso.
L’aspetto più famoso di Emoscambio, quello che fa il titolo di tutti gli articoli che ne parlano e che persino Wikipedia considera il nucleo centrale della teoria, è la T.A.F. o Tecnica dell’Amplesso Fisiologico – un estensione della sua teoria alla sfera sessuale, la convinzione che la salute non si ottenga soltanto scambiandosi il sangue ma anche avendo frequenti rapporti sessuali in una specifica posizione “fisiologica”. Si tratta in realtà di un aspetto secondario del sistema di Cosmai, divenuto centrale per un qui pro quo: della T.A.F. parla ampiamente un volantino diffuso dall’Istituto Italiano di Fisiologia nel 1980 che è diventato l’unica opera di Cosmai a essere sopravvissuta in forma integrale.
Finito su internet per puro caso – quando un certo Flavio, che mi ha detto di averlo preso dalle mani di Cosmai durante un volantinaggio in centro a Milano nel 1980, ha deciso di provare a venderlo su eBay – il volantino è di due pagine. La prima ha un frontespizio con il logo dell’Istituto Italiano di Fisiologia e l’esposizione della dottrina della T.A.F.; il retro pubblicizza un “addottorato” ossia una laurea in T.A.F. presso l’I.I.D.F. Sulla seconda pagina due disegni illustrano una posizione sessuale fisiologica e una non fisiologica; dietro c’è un capitolo estratto da Fisiologia Universale, uno dei libri di Cosmai che – a giudicare dall’indice, riprodotto anch’esso nel volantino – doveva rappresentare un’esposizione sommaria del suo sistema di pensiero.
Che Emoscambio non fosse una “setta del sesso” me l’ha confermato anche Elio Servadio, che oggi è sulla cinquantina e sul finire degli anni Novanta ha avuto la fortuna di assistere a una delle conferenze che Cosmai teneva nel suo box di San Felice. Passando insieme a un amico in zona Stazione Centrale aveva visto dei volantini in formato A5 che, a caratteri cubitali, cercavano “cavie umane”: incuriositi, i due avevano voluto scoprire di più. “Ricordo che aveva parlato della trasfusione che aveva subito e che gli aveva salvato la vita: a seguito di una malattia aveva ricevuto questa trasfusione, da lì si era messo a ragionare sul sangue e aveva avuto l’intuizione dell’Emoscambio”, mi ha detto Elio quando gli ho chiesto se si ricordava gli argomenti della conferenza. “Il concetto dell’Emoscambio, così come l’aveva spiegato, era che tra coppie eterosessuali e con lo stesso gruppo sanguigno ci si doveva scambiare 10 o 20 millilitri di sangue al mese, e così facendo si sarebbe ottenuta una specie di vaccinazione ad ampio spettro”. Secondo Elio, in quell’occasione Cosmai non aveva fatto parola delle sue teorie sessuali.
Non è chiaro se Cosmai abbia mai effettivamente praticato l’Emoscambio, su altri o su se stesso. Nell’articolo di Novella 2000 c’è una foto in cui lo si vede maneggiare una siringa piena di un liquido scuro vicino al braccio di una donna; la didascalia dice: il signor Vito Cosmai preleva del sangue a una ragazza che si è prestata volontariamente a sperimentare la sua teoria. Ma può anche darsi sia una foto in posa – perché Elio mi ha detto, riguardo alla conferenza: “Mi sembra avesse raccontato di aver proposto l’Emoscambio a qualche donna, ma che queste erano tutte scappate. Non ricordo se era riuscito a farlo almeno una volta, ma mi sembra di no”.
Sangue e sesso a parte, il resto del corpus teorico di Cosmai è a noi inaccessibile. Delle sue tre opere principali conosciamo appena i titoli, che compaiono in un bollettino del Registro Pubblico Generale delle opere protette dalla legge sul diritto d’autore per gli anni Settanta: Fisiologia Universale (1978), T.A.F. – Tecnologia dell’Amplesso Fisiologico (1980) e Il Vangelo Secondo Vito Cosmaj (1980). Del primo sopravvivono un capitolo e l’evocativo indice, che sembra suggerire un sistema teorico piuttosto ampio di cui l’Emoscambio e la T.A.F. sono solo una parte.
Una conferma implicita di ciò mi è arrivata da Gian Paolo Vanoli, guru no-vax e delle cosiddette “medicine alternative”, anche lui residente a Segrate. Mi ha raccontato che negli anni Novanta, dopo aver visto i volantini di Cosmai, aveva deciso di contattarlo. “Ci siamo incontrati in un bar a Segrate. Ero curioso di conoscerlo perché ci eravamo già sentiti per telefono e via internet e gli avevo già espresso il mio disappunto su quella teoria, mentre su altre ero d’accordo”. Solo che per Cosmai l’Emoscambio era il punto principale. “Non era uno stupido. Con lui si poteva parlare abbastanza di tutto, e condivideva molti miei pensieri sulla salute, sui cibi naturali, sulla medicina naturale. Però lì sbagliava completamente”. All’epoca Cosmai era sulla sessantina, ma secondo Vanoli dimostrava almeno 20 anni di più. Aveva un colorito giallastro, “era molto ‘tinto’, come dico io, probabilmente perché aveva problemi epatici”.
L’aspetto più famoso di Emoscambio, quello che fa il titolo di tutti gli articoli che ne parlano è la Tecnica dell’Amplesso Fisiologico – un estensione della sua teoria alla sfera sessuale.
Sentendo la storia di Emoscambio, vedendo le scritte sui muri e leggendo il famoso volantino dell’IIDF ci si domanda naturalmente che tipo di persona fosse Vito Cosmai. Ci era o ci faceva? Da molte delle cose che scriveva si ha l’impressione che fosse una specie di troll ante litteram, un situazionista, un outsider artist. Non a caso Wikipedia parla di Emoscambio non come una teoria di medicina alternativa o come una di una setta, ma come di un meme. Effettivamente già solo il volantino è pieno di “trollate”: c’è una finta inserzione pubblicitaria di una cintura di castità (modello “Immacolata Scopanda”, prodotta dalla fantomatica ditta “Virgo-Virginis Spa” di Palermo), mentre la parte in cui si spiegano le modalità per conseguire il famoso “addottorato” o laurea in T.A.F. è esilarante, quasi uno shitposting:
I PROFESSORI in TAF per divenire tali devono superare un esame che prevede il compimento dell’amplesso fisiologico in bilico all’intersezione di due corde intrecciate e tese a circa due metri sopra un letamaio puzzolente. L’esaminando (e la sua partner) che riuscirà a portare a termine l’amplesso fisiologico in questa posizione senza cadere nella merda sottostante potrà fregiarsi del titolo di PROFESSORE in TAF.
L’altra faccia di questa medaglia è la dimensione mistica della predicazione di Cosmai, la cui testimonianza più evidente sono le molteplici citazioni – di Napoleone, Leonardo da Vinci, Oscar Wilde e ovviamente Vito Cosmai stesso – riportate sul volantino; da cui si intuisce anche che Il Vangelo Secondo Vito Cosmai doveva essere un fascicolo che raccoglieva tutte queste citazioni, sul modello del libretto rosso di Mao.
Un’altra testimonianza di questi aspetti mistici, più oscura e forse più interessante, è il riferimento a un certo Charvakas, “il primo filosofo ateo della storia, del 5000 avanti Cristo”. A parlarmene è ancora Elio, secondo cui Cosmai nel corso della sua conferenza l’avrebbe citato e si sarebbe definito un suo “discepolo ideale”. Non ho trovato tracce dell’esistenza di questo Charvakas, ma in compenso ho trovato la charvaka: una scuola filosofica pre-induista indiana, materialista e atea, considerata blasfema. Non se ne sa molto, perché nessun testo originale della scuola si è conservato fino a oggi e la conosciamo solo tramite frammenti citati dai suoi oppositori induisti e buddisti – un destino ironicamente simile a quello toccato all’Emoscambio. Né è chiaro come abbia fatto Cosmai a venirne a conoscenza, ma l’aspetto di blasfemia della scuola doveva esser senza dubbio nelle sue corde: anche Cosmai è ricordato come un blasfemo. I suoi ultimi parenti ancora in vita, che sono riuscito a rintracciare e sentire al telefono, non vogliono parlare di lui per un profondo senso di vergogna che continuano a provare ancora a vent’anni dalla sua morte: suo cugino mi ha detto che Vito Cosmai era la “pecora nera” della famiglia; l’idea che mi sono fatto è che ai loro occhi – di borghesi e cattolici praticanti – lui sia sempre stato strano e incomprensibile.
Anche le testimonianze degli abitanti di San Felice – dove Cosmai ha vissuto dall’inizio degli anni Settanta fino a poco prima della sua morte, e dove si è svolta tutta l’attività dell’Istituto Italiano di Fisiologia – restituiscono un’immagine simile. Lo ricordano per il suo pallore e perché era scollegato dalla vita del quartiere: non parlava con nessuno, veniva evitato da tutti e i ragazzini gli facevano gli scherzi suonandogli il campanello e scappando, strappando i suoi manifesti o imbrattandogli il furgone. Stava sempre chiuso nella tavernetta dove abitava e stando a una anziana signora che ho incontrato a San Felice, residente storica del quartiere, “c’erano dicerie, ‘chissà cosa fa, fa esami su persone’… e così andavano a rovistare nella sua spazzatura per vedere se per caso ci fossero robe sospette”. Luigi Parodi, memoria storica del quartiere ed ex direttore di 7 giorni a San Felice, il giornalino parrocchiale, mi ha detto che negli anni Settanta il giornale aveva ricevuto diverse lettere di Cosmai – che non sono state mai pubblicate, perché “finiva le sue a volte giuste lamentele con delle invettive pesantissime” e delle tirate blasfeme.
Ho visto alcune di queste lettere, che Luigi ha conservato per quasi mezzo secolo: leggerle è stato un tassello importante per ricostruire nella mia mente che tipo di persona doveva essere Vito Cosmai. Alcune trattano di beghe di quartiere: del vicino di casa che, vedendo che non gli funzionavano le frecce sul furgone, invece di avvisarlo ha segnalato il fatto alla polizia locale per fargli fare la multa; dell’ignoto che era andato a lamentarsi in modo anonimo con l’amministratore condominiale dei lavori che Cosmai stava facendo nel suo box; di quell’altro vicino che l’aveva accusato di razzismo – accusa respinta con veemenza da Cosmai, ribadendo che “selezione non significa supremazia”. L’immagine che ne esce è quella di un personaggio sì strano, ma anche messo intenzionalmente ai margini.
La più interessante di queste lettere è del 1975 – anche se tutte sono datate con un calendario particolare, che conta gli anni dalla morte di Giordano Bruno – ed è indirizzata ai giovani di Milano San Felice, “in particolare a quei bastardi che sono soliti venire di notte mascherati e di nascosto a bersagliare con le uova marce” il furgone dell’IIDF. Il contenuto è sorprendente: Cosmai chiede scusa ai giovani di San Felice per aver reagito ai loro vandalismi: in realtà la loro reazione alle sue “scoperte scientifiche” era giusta, afferma, perché “la verità offende”; dunque, deciso a espiare il suo errore, annuncia che il sabato successivo si presenterà sulla piazza principale di San Felice per esporsi a una pubblica lapidazione “con le vostre uova marce, escrementi, sputi, insulti, e veleno, SENZA REAGIRE” e impegnandosi a non sporgere denuncia, purché non lo mandino all’ospedale, ma specificando che alla lapidazione potranno partecipare gratuitamente “solo i giovani tra i 16 e i 21 anni”; tutti gli altri dovranno prima versare una quota di 5000 lire. C’è tutto il messianismo di Cosmai, la sua consapevolezza di essere impegnato in una ricerca che avrebbe salvato il mondo, il suo dramma di incompreso e – allo stesso tempo – la sua ironia. Come nel caso della cintura di castità e del volantino, la domanda si ripresenta: Cosmai ci era o ci faceva?
Da molte delle cose che scriveva Cosmai si ha l’impressione che fosse una specie di troll ante litteram, un situazionista, un outsider artist.
Negli ultimi anni di vita di Cosmai, il corpus teorico che predicava sembra divaricarsi e astrarsi sempre di più, mentre la sua prassi si fa sempre più situazionista. Un certo Giorgio mi ha raccontato di averlo incontrato alla fine degli anni Novanta alla Festa dell’Aria di Vergiate, dove Cosmai raccoglieva sottoscrizioni per finanziare un prototipo di aereo di sua invenzione; fondi che cercava anche comprando pubblicità su riviste di aeronautica. Marco Brigliadori, militante storico (poi epurato) della Lega Nord, mi ha invece raccontato di averlo incontrato tra il 1993 e il 1996 “al Circolo della Stampa in corso di Porta Venezia, dove facevamo un evento pubblico”. In quell’occasione lui faceva il servizio d’ordine e si era trovato davanti Cosmai, che voleva a tutti i costi parlare con Bossi perché sosteneva che le enormi scritte murali “Lega Nord Padania” che si vedevano in giro in quel periodo fossero un plagio delle sue. “C’era un’atmosfera di tensione, io per calmarlo mi sono messo a parlarci e lui mi ha spiegato l’Emoscambio”.
Un altro blitz di Cosmai, con ogni probabilità la sua ultima apparizione in pubblico, è registrato da un trafiletto su La Stampa del 1999: lo ritroviamo in piazza Castello a Torino, in compagnia di un trentaquatrenne di Moncalieri e di un ventitreenne rumeno senza fissa dimora che ha ingaggiato alla giornata per volantinare contro l’ostensione della Sindone. “Gesù Cristo è un bugiardo, non era figlio di Dio, e la Madonna non era vergine, anzi faceva un mestiere equivoco” è parte del testo di quei volantini, almeno stando all’articolo, che li fa finire tutti e tre prontamente in questura e denunciati per vilipendio alla religione.
Il pezzo si chiude con una breve e ultima intervista a Cosmai, il quale presenta il suo Istituto come un “organo scientifico per la difesa di tutti gli equilibri dell’Umanità nonché per la lotta civile ai crimini che l’Umanità commette contro se stessa e che non vuole riconoscere”. “Il nostro istituto ha come obiettivo soltanto la divulgazione della verità”, dice al quotidiano. “Gesù, la Madonna, la stessa Sindone sono stati oggetti di studi: sul loro conto ci sono verità diverse da quelle che ci offre la Chiesa. Perché è reato raccontarle?”. Per quanto ne sappiamo, sono le sue ultime parole: poco tempo dopo, nel febbraio 1999, morirà di cancro al fegato alla Casa Vidas per malati terminali di Milano. Aveva 61 anni.
Ma l’Emoscambio gli sopravvive. In quell’ultimo periodo della sua vita – l’ultimo aggiornamento è del marzo 1998 – Cosmai aveva creato un sito ufficiale per l’Istituto Italiano di Fisiologia, oggi salvato su Internet Archive. Sono poche pagine che dovrebbero spiegare i fini e l’opera dell’IIDF, in cui si parla di dolore e sofferenza, delle cause e degli effetti del male, della necessità di “non fuggire” dal male ma di “rispettarlo”. Si cita Apollodoro, Freud e Confucio – a prima vista, insomma, le teorie di Cosmai sembrano quasi aver abbandonato la dimensione pseudo-scientifica delle medicine alternative per diventare una sorta di filosofia. Non fosse che l’ultima pagina del sito torna su questioni pratiche: “CAVIE UMANE” è il titolo, e Cosmai spiega che lo scopo della sperimentazione è “prevenire e guarire ogni malattia umana”. Continuerà la sua ricerca, dice, sapendo di essere nel giusto “e che il mio ‘fallimento’, se non trovo le cavie che cerco, sarà oltre che un’amarezza per me anche un grave ed immenso maleficio per l’intera umanità!”. E conclude con un monito: “VIGLIACCHI SVEGLIATEVI!”
Quello stesso monito, insieme al numero di telefono di Cosmai, campeggia su uno striscione comparso nell’edizione 2000 dell’Inventor Show – un festival di quelli che oggi si chiamerebbero makers che quell’anno ospitava tra le invenzioni “un non meglio identificato rimedio contro la vecchiaia”. Cosmai all’epoca era già morto: dunque qualcuno stava continuando a diffondere le sue teorie. Gli organizzatori del festival mi hanno detto di non ricordare nulla dell’uomo che compare di spalle in una foto in cui appende lo striscione: “fece un po’ di spettacolo, poi è svanito nel nulla”.
Probabilmente si tratta dell’architetto-designer-visionario Salvatore Mocciaro, un personaggio inafferrabile di cui si trovano poche tracce su internet. Dal poco che c’è si capisce che si occupa di informatica e intelligenze artificiali, di arte e di futuro; partecipa a contest artistici, presenta i suoi lavori a forum di design. A suo nome ci sono una serie di brevetti piuttosto strani: una montatura per occhiali fatta in un solo pezzo, un generico “sistema di costruzione universale” e un metodo per proiettare immagini pubblicitarie in spazi altrimenti inutilizzabili o di difficile accesso tramite un sistema di superfici riflettenti. Ma soprattutto, nei primi anni Duemila Mocciaro ha gestito Emoscambio.com, un sito a nome di un certo International Institute of Physiology, con lo stesso logo dell’IIDF e una dedica esplicita in homepage: “Questo Istituto rappresenta la continuazione dell’opera di Vito Cosmai, la cui tenacia e perseveranza avranno sempre la nostra ammirazione”. Il sito non faceva altro che riproporre i contenuti del sito originale dell’IIDF creato da Cosmai.
Questo Mocciaro è solo un “discepolo ideale” di Cosmai – come Cosmai diceva di essere di quel tale Charvakas – oppure hanno avuto contatti diretti? Difficile scoprirlo. Salvatore Mocciaro non ha profili social, non risponde alle email, i suoi siti sono andati offline e – come ho scoperto andando lì di persona – l’indirizzo del suo studio che si trova in rete non è più quello da qualche anno.
Negli ultimi anni di vita di Cosmai, il corpus teorico che predicava sembra divaricarsi e astrarsi sempre di più, mentre la sua prassi si fa sempre più situazionista.
Ma la storia dell’Emoscambio dopo la morte di Cosmai ha esponenti ben più celebri. Nel 2017 qualcosa di simile alle sue teorie compare in una puntata della serie HBO Silicon Valley: si mostra una trasfusione di sangue da un donatore giovane a un vecchio magnate desideroso di ringiovanire. È una scena degna di Cosmai e una rappresentazione della parabiosi – la tecnica che usa trasfusioni di sangue giovane per ringiovanire l’organismo.
Dal punto di vista strettamente medico, i riflettori sulla parabiosi si accendono nel 2005, quando Thomas Rando – direttore del Center for the Biology of Aging alla Stanford University – sperimenta collegando chirurgicamente il sistema cardiocircolatorio di un topo giovane e di uno anziano, e nota che l’organismo del secondo recupera in parte la capacità di rigenerare i tessuti propria delle cellule staminali giovani. Nel 2014 la Dr. Amy Wagers dell’Harvard Department of Stem Cell and Regenerative Biology scopre nel sangue una proteina chiamata GDF11, che ritiene collegata alla velocità di rigenerazione dei tessuti: i topi giovani ne hanno di più dei topi anziani e iniettandola in topi anziani i loro muscoli tornano al tono e alla forza di quando erano giovani. Da allora esprimenti del genere si moltiplicano: nel 2014 il Dr. Saul Villetta della University of California di San Francisco conduce uno studio in cui inietta il plasma sanguigno di un topo di tre mesi in un topo di un anno e mezzo, che a suo dire ne trae benefici considerevoli; il Dr. Gurpreet Baht del Molecular Physiology Institute della Duke University fa esperimenti simili nel 2015 unendo l’apparato circolatorio di topi di età diverse.
Tutto ciò non è molto per dare una solida base scientifica alla pratica ma è abbastanza per catturare la fantasia e far fiorire l’interesse intorno alla parabiosi, da cui nascono diverse startup che offrono trasfusioni di sangue giovane dietro la finzione legale di condurre test clinici a pagamento. Una di queste si chiama Young Blood Institute, ha legami con la controversa Life Extension Foundation e nel 2018 ha annunciato l’inizio di una sperimentazione che prevedeva 30 volontari dai 50 anni in su – senza limite d’età – a cui sarebbe stato tolto del sangue che gli sarebbe stato poi ritrasfuso una volta ripulito e arricchito con plasma giovane, per un totale di sei trasfusioni in cinque settimane (i partecipanti avrebbero dovuto pagare 50.000 dollari a testa).
La più nota azienda del settore è però Ambrosia, fondata nel 2016 dal medico senza licenza Jesse Karmazin, che offriva un solo servizio: la trasfusione di un litro di plasma proveniente da donatori sotto i 35 anni. Le idee di Karmazin vengono dagli studi sui topi di Rando, Wagers, Villetta e Baht: stava ripensando a quelle ricerche quando, osservando una trasfusione di sangue in pronto soccorso, ha avuto l’illuminazione di provare a fare lo stesso sugli esseri umani – nonostante tutti i pionieri della parabiosi si siano detti scettici riguardo alla possibilità di applicare la pratica agli esseri umani. Ma evidentemente Karmazin non li stava ascoltando. Stava invece ascoltando Aleksandr Bogdanov: come racconta alla giornalista Rose George in Nine Pints, un libro sulla storia del sangue, la vera ispirazione di Karmazin è stata la teoria del collettivismo fisiologico (aveva letto anche lui A Martian Stranded on Earth di Krementsov) tanto che aveva anche pensato di chiamare l’azienda “Bogdanov”.
In Nine Pints Karmazin spiega che avrebbe voluto testare il suo metodo nel modo comune, ossia trovando investitori che lo finanziassero, ma che non c’era riuscito perché “non si può brevettare questa cosa, l’uso del sangue giovane per ringiovanire. E se non puoi brevettare qualcosa, gli investitori si spaventano”. Nonostante questo, secondo Karmazin i primi risultati di Ambrosia sono stati straordinari. Alcuni pazienti avevano detto di sentirsi più giovani; uno, malato di Alzheimer, sarebbe persino tornato a essere indipendente. A suo dire, due litri di plasma giovane erano in grado di curare il cancro, le malattie cardiache e il diabete, e i risultati erano visibili già dopo la prima trasfusione. Convinto di aver trovato nel sangue una panacea universale, Karmazin si era deciso per il trial a pagamento, trovando negli ultimi tre anni circa 150 pazienti.
Lo scorso febbraio, poco dopo il ventesimo anniversario della morte di Vito Cosmai, la Food and Drug Administration statunitense ha pubblicato un comunicato di avvertimento sui rischi della parabiosi umana, spiegando che i benefici offerti non sono provati e che la pratica potrebbe essere pericolosa e parlando di “personaggi senza scrupoli che vendono trattamenti a base di plasma da donatori giovani spacciandoli per cure e rimedi”. Poche ore dopo Ambrosia, che pur non veniva direttamente nominata, ha annunciato la sospensione di tutti i trattamenti.