I n un trittico sul profilo Instagram a promozione del podcast The Shadows, Kaitlin Prest compare mascherata da sirena: è un costume casalingo, la coda è una sola gamba di un collant di lurex, reggiseno di conchiglie di plastica, parrucca verde acqua. Con il gomito appoggiato sopra una pentola rovesciata, Prest impersona “Heartbreak Mermaid”, una sirena che, spiaggiata a lato della scala mobile di una stazione della metropolitana, suona la fisarmonica e accetta gli spiccioli dai passanti. Un uso “illustrativo” di Instagram – tre post visualizzano una scena, ognuno è accompagnato da una citazione dal podcast – è una novità di The Shadows, il più recente progetto della radio producer canadese Kaitlin Prest. Sembra un paradosso che un supporto visivo aiuti a colorare un’opera acustica, un podcast di autofiction sul concetto di amore romantico, creato da una produttrice che ha sempre sfruttato la forma sonora per temperare oscenità e pudore delle scene di sesso con una carica di intimità ed empatia. Prest ha costruito la propria carriera radiofonica sull’agio con cui, almeno in apparenza, crea pezzi confessionali di arte sonora condividendo storie private, sue e dei suoi ospiti, dal grande potenziale imbarazzante (per l’ascoltatore pudico più che per chi le racconta).
Nell’intervista-monologo concessa al podcast Tape nel 2015, Prest si descrive come “solo una persona che si trova a suo agio facendosi vedere vulnerabile in pubblico, e [vuole] usare questa cosa per portare un po’ di cambiamento nel mondo”. Quando le chiedo se ancora si rispecchia in questa definizione, Prest mi risponde: “sono cresciuta nell’epoca in cui uno dei principali modelli di femminismo era ‘il personale è politico’, e io ci credo davvero, davvero tanto. Per esempio credo che ingrandire, fare luce sulle cose che tu stessa affronti, gli errori che tu stessa commetti, raccontare la tua storia in quanto donna, guardare le relazioni nella tua comunità non sia solipsistico. Non si tratta di essere autoindulgenti, ma di usare la tua vita come un caso di studio per la condizione umana. Raccontando le storie che conosci intimamente – che stai osservando intimamente – racconti la storia di cosa significa essere umani, e di tutti quei grossi problemi sociali contro cui stiamo tutti lottando”.
Al cuore degli esperimenti sonori di Prest è la necessità di parlare allo scoperto di sesso, in un modo che non sia pornografico, ma positivo e celebrativo soprattutto del sesso marginale delle comunità minoritarie, senza che ciò risulti oscuro al pubblico generale: “normalizzare conversazioni sul sesso che suonino sexy, non analitiche o scientifiche”. Negli anni, la collezione crescente di segmenti di audio sperimentale che costruiscono narrazioni non convenzionali dell’esperienza amorosa è confluita nel podcast The Heart, lavoro di un collettivo di produttrici di cui Prest resta, di fatto, il nome e la voce di spicco. The Heart ha interrotto i lavori, dopo una novantina di episodi, a dicembre 2017.
Prest si avvicina alla radio senza grandi ambizioni e nessuna esperienza, nel 2008 eredita la conduzione di Audio Smut, uno show prodotto da un centro sociale di Montréal e fondato da due lavoratrici del sesso. Insieme a Mitra Kaboli – all’epoca sua collega cameriera presso un ristorante persiano, poi amica e oggi sua principale collaboratrice – Prest inizia a registrarsi, sia sotto le coperte nella sua camera da letto che inscenando storie erotiche usando la strumentazione professionale dello studio. “Con Audio Smut l’obiettivo era realizzare documentari sulla sessualità per cambiare il modo in cui intendiamo il genere e l’orientamento sessuale, la devianza, la perversione, per destigmatizzare storie sul corpo. Era uno show queer, per cui cercavamo di normalizzare la queerness, e femminista, quindi volevamo espandere quello che sappiamo e assumiamo dell’essere donna”. Dal gennaio 2012 Kaboli e Prest sono insieme a New York, dove Prest si era trasferita di malavoglia, ma aveva deciso di restare perché “c’era qualcosa, stava succedendo qualcosa nella scena radiofonica newyorchese” mi racconta. Dopo più di due anni di rifiuti e incertezza, il loro show di audio erotica registrata dentro gli sgabuzzini viene adottato nel 2014 dal network Radiotopia PRX, subisce un corposo rebranding e diventa il podcast The Heart.
Al cuore degli esperimenti sonori di Prest è la necessità di parlare allo scoperto di sesso, in un modo che non sia pornografico, ma positivo e celebrativo soprattutto delle comunità minoritarie.
Le storie di amori normali scelte da Prest, però, non avrebbero lo stesso impatto senza l’intimità evocata grazie ai paesaggi sonori che accompagnano il catalogo di registrazioni amatoriali di esperienze reali, e la musica – campionata, frammentata, trattata con mille effetti per farla aderire alle scene – usata come punteggiatura, ma, soprattutto, per manipolare la narrazione e le reazioni di chi ascolta. La musica rielaborata da Prest costruisce lo spazio della storia, apparendo come suono modificato dal vinile graffiato, dalle auricolari nelle orecchie del vicino di posto, da dentro un’altra stanza, trasmesso da una radio gracchiante appoggiata chissà dove. In The Shadows il significato simbolico dietro le scelte musicali diventa ancora più evidente: “la mia missione è sovvertire e diversificare quelle narrazioni collaudate e ben radicate che decidono cos’è l’amore, per staccarsi da quell’ideale. Per me certe canzoni – come la musica sdolcinata degli anni ’50 – sono una rappresentazione di quella narrazione, per questo in The Shadows quelle musiche vengono distorte, sfasciate (soprattutto verso il finale). È come prendere l’autentico simbolo della versione ‘da favola’ dell’amore per farla suonare inquietante”.
Prest descrive il suo approccio al sound design come “creare immagini con suoni e musica”: abbina “suoni che si contestualizzano a vicenda” pensando alla storia nel suo complesso, e li mescola con “suoni che non corrispondono al suono della cosa che si vuole illustrare” per rinforzare e accompagnare la narrazione verbale, definendo la grana dello spazio e il tono dell’azione in primo piano. I “suoni metaforici” di Prest nascono dagli archivi digitali gratuiti o vengono realizzati con metodi amatoriali, registratore alla mano, e usati per semplificare il ruolo della voce narrante quando si trova a descrivere cose che non fanno rumore: un concetto come il tempo che passa, o la sensazione di un bacio. Un esempio dei primi fallimenti di Prest con l’ingegneria del suono è la ricerca infruttuosa del modo per raccontare l’esperienza del baciarsi: “volevo illustrare la sensazione di un bacio, o la qualità di un bacio attraverso il suono di un bacio, nonostante sia un suono disgustoso”. Prest ci ha provato in “First” (gennaio 2015), che racconta la prima notte passata insieme di due ragazze, dove tra il brusio di lenzuoli e sospiri compare anche un lieve mormorio della stessa voce narrante, che canticchia col pensiero mentre bacia la sua nuova compagna. Il problema del bacio resta però irrisolto. “Last” (agosto 2014) – storia dell’ultimo bacio tra Prest e il suo fidanzato storico – si apre con una discussione tra i due sull’impossibilità di rendere l’esperienza sonora di un bacio speciale tanto quanto quella tattile.
Prest intende la radio come il mezzo per arrivare alla “materia autentica” dei rapporti tra le persone e i loro sentimenti, dando l’impressione a chi ascolta di provare la stessa sensazione: “se ascolto uno show che parla d’amore, voglio sentirmi come se mi stessi innamorando quando lo ascolto”, si riassume. Gli episodi più articolati nell’archivio di The Heart sono i grandi ritratti di storie d’amore, perlopiù sbiadite o rattrappitesi per motivi casuali e triviali, alle volte scampate alle separazioni aggrappandosi a schemi inventati da chi le abita. In “One-Day’s Love: the Hurricane” (marzo 2015) un’allerta maltempo costringe due sconosciuti a restare chiusi in casa per giorni: la loro breve passione non resiste al ritorno del beltempo, ma insieme raccontano l’uragano – imitandolo con gorgogli, sbuffi e soffiando con la bocca. “Movies In Your Head” (giugno 2014) segue Prest alle prese con il mistero dietro la brusca interruzione di una relazione nascente con una ragazza conosciuta in metropolitana, l’ansia del ghosting che scandisce il passare dei giorni riassunta nella cacofonia delirante di notifiche di messaggi inviati da chiunque, tranne che da lei. Stagioni più recenti – come Pansy (2017) e Ghost (2016) – sono invece composte da piccole vignette sentimentali il cui obiettivo, però, è indagare problematiche più ampie: “iniziando a raccontare storie d’amore la missione si è ampliata”, osserva Prest. “Si trattava di osservare intere zone di intimità. Ogni racconto era un tentativo di sovvertire vecchie idee sulla monogamia, l’innamorarsi a prima vista, quanto dura un amore serio, oltre che l’amore inteso come un affare eterosessuale tra uomo e donna, e idee legate a tutte queste cose”.
I territori che The Heart ha esplorato con più originalità e raccontato con maggiore estro creativo, infatti, sono le testimonianze di persone il cui corpo (“The Beach”, agosto 2015) e/o il cui desiderio (“Riis Park”, giugno 2015) esistono all’ombra di standard opprimenti o statici, ma anche di come riescano a trovare un equilibrio positivo. Tra gli episodi più sfacciati e spinti, che esibiscono al meglio la fusione tra l’estetica scostumata e l’umorismo turpe dell’intero podcast, sono quelli incentrati su curiosità storiche. Ricerche di nicchia curate da Samara Breger – membro del team appassionata di storia queer – che rivelano modi di sgattaiolare via da regole e convenzioni approfittando al meglio del proprio stato subalterno (“The Lost Pardner”, maggio 2015; “Lili”, febbraio 2015). Insieme alla microstoria di vite ed identità sessuali dissonanti, The Heart recupera anche i lati nascosti delle narrazioni culturali officiali (“To Nora”, marzo 2014), spulcia in archivi ufficiosi (per esempio, il casellario in legno per le lavoratrici della “Big House”, agosto 2016) e costruisce interi episodi su testimonianze vernacolari, come corrispondenze tra amanti e pagine di diario rilette a distanza di anni.
Prest intende la radio come il mezzo per arrivare alla “materia autentica” dei rapporti tra le persone e i loro sentimenti, dando l’impressione a chi ascolta di provare la stessa sensazione.
Tuttavia, anche quando il focus diverge dall’esperienza biografica di Prest, l’approccio ficcanaso al reportage e i manierismi civettuoli che è solita sovrapporre alle rappresentazioni narrative resistono, insieme a un certo protagonismo morboso, come caratteristiche opinabili, e alle volte controverse, in molti degli episodi creati sulla base di interviste e raccolte documentaristiche. Il lavoro di Prest solleva, e spesso cozza contro, certe questioni di etica che scavalcano l’intento dichiarato di “complicare le narrazioni” relative al sesso, mettendo alla prova l’adeguatezza stessa del mezzo radiofonico alla materia che cerca di esplorare. L’episodio dedicato all’orgasmo prostatico, “The P-spot” (agosto 2015), è, per ammissione diretta, composto da interviste con “sconosciuti incontrati lungo St. Laurent Boulevard a Montréal una sera fortunata” e sorvola sugli scrupoli che possono o meno aver diretto la scelta degli intervistati, la consapevolezza degli stessi, oltre che il valore dell’esperienza raccolta da un campione così risicato. In un lavoro realizzato nel 2010 per il festival internazionale di produzione radiofonica Third Coast, poi trasmesso dall’emittente PRX, “I Didn’t Know That (A Different Kind of Romance)”, Prest racconta l’aneddoto di un incontro amoroso rivelando, a sorpresa, che il suo partner è un albero: l’intenzione di raccontare l’ecosessualità è fallita molto presto durante la fase di ricerca, non essendo riuscita a trovare nessuno disposto a raccontare la propria storia. La soluzione proposta da Prest, perciò, è la messa in scena e la registrazione di un (autentico?) rapporto tra sé stessa e un albero in un parco pubblico di Montréal, registrato alle tre del pomeriggio, e alla fine tagliato dalla puntata definitiva: “un puro esempio di censura, PRX non l’avrebbe mandato in onda con la scena di sesso, e hanno rovinato in pieno la parte più interessante e divertente”.
Sebbene Prest lamenti la “sindrome della solista” – la tendenza a identificare il lavoro di una band con la voce e la faccia di chi canta – una volta raggiunta la naturale conclusione di The Heart ne ha comunque riciclato soggetti e atteggiamenti nel suo lavoro successivo, ancora meno convincente nel fingere che la Kaitlin protagonista non sia la Kaitlin al microfono. Per realizzare The Shadows Prest è tornata in Canada: il podcast, un radiodramma in sei puntate uscite tutte insieme a settembre 2018, è realizzato dall’emittente pubblica nazionale CBC Radio e ambientato nella metropoli fittizia Mount Yuron (una mal camuffata, e comunque bilingue, Montréal). Come protagonista della serie, Prest duplica una sé alternativa che ha deciso di perseguire, al posto della radio, l’altra sua arte preferita, il teatro di marionette. “C’è un parallelo tra lo spettacolo di burattini e la radio: tu, la persona, ti stai nascondendo dietro un’altra cosa, sei invisibile, e sei in grado di proiettare certi significati, pensieri, idee, sentimenti, storie, su qualcos’altro. Chi guarda non si interfaccia con te direttamente, si confronta con un’altra versione di te. Così come il burattinaio si nasconde dietro la marionetta, io mi nascondo nel mio sgabuzzino per registrare al microfono. È come essere il mago dietro il sipario”.
Le sagome nel teatrino delle ombre di Prest proiettano i vari lati di una relazione romantica: la storia secondo lei, secondo lui, secondo il maglione ceduto dal nuovo lui per attaccare bottone. La Kaitlin burattinaia mette in scena uno spettacolo a lieto fine con tre calze poliamorose, una coppia di noiosi calzini grigi che si apre a una triade con una calzetta a pallini. Quando, però, in segreto compara pro e contro tra monogamia e poligamia c’è una melodia 8-bit a dare il ritmo alle acrobazie mentali con cui cerca di mettere in salvo sia ideali romantici che di liberazione femminista. “Animare oggetti inanimati è un tipo di manipolazione, come far sembrare vivo qualcosa che non lo è” è come mi riassume l’aspetto che più la attira del teatro di marionette. Eppure, il candore con cui Prest ha cercato di demistificare il sesso in The Heart non sembra altrettanto persuasivo quando apposto ai desideri e ai piani di vita delle altre persone, vere o fittizie. Prest è volutamente leziosa quando riconverte in The Shadows le convenzioni con cui siamo solite descrivere innamoramento e disamoramento, e l’effetto è esilarante, però l’oggetto della sua indagine resta nebuloso. La vergogna può anche essere sostituita da una forma radicale di empatia, e la scopofilia azzerata dall’intimità degli scenari sonori, ma nemmeno Prest sembra riuscire a trovare una risposta al perché la dolcezza nella voce dei suoi genitori, registrate su una VHS risalente agli albori del loro matrimonio, si sia persa negli anni, o perché l’essere in coppia le permette di dire “insieme siamo intelligenti il doppio di quanto saremmo da soli”. Una nota scarabocchiata a pennarello, poi finita attaccata a uno stipite e sul profilo Instagram di The Heart, qualcuno del team implorava dio di “aiutar[la] a toglier[si] di torno e fare il radioracconto che vuole venir fuori”: ora resta solo l’attesa per il podcast in cui Prest si dedichi a smantellare la dinamica di potere con sé stessa, l’ultima di cui è ancora succube.