V i è mai capitato di svegliarvi di colpo da un sogno e di sentire il vostro corpo completamente immobilizzato, imprigionato da un magnetismo stritolante, mentre una presenza oscura, minacciosa, malvagia, vi sussurra parole indecifrabili dalla sponda del letto? È quello che è successo anche a me, molte volte, soprattutto durante gli anni in cui frequentavo l’università. E, sono certo sarete d’accordo, non è mai un’esperienza divertente.
Al quinto anno di studio del corso di Medicina, ogni martedì mattina alle 8 il professor Tassinari teneva la lezione di Clinica neurologica, in un’aula magna gremita e scricchiolante. La sua arte maieutica era straordinaria, chiunque si sentiva coinvolto e trascinato dalla sua abilità espositiva, e ne restava inevitabilmente ammaliato. Le domande a sorpresa – momento centrale delle sue lezioni – costringevano a un livello di attenzione da trance agonistica. […]
“A chi di voi è capitato, al risveglio o al momento di addormentarsi, di avere la sensazione angosciante di non riuscire a muoversi?” [ci chiese una volta Tassinari]. Quella domanda mi fece raggelare, non me l’aspettavo. Riusciva a spiare anche il mio sonno? Certo che a me era capitato, e più di una volta, soprattutto quando avevo avuto l’occasione di schiacciare il pisolino pomeridiano. La prima volta era stata una sensazione talmente orribile che avevo preferito dimenticarla il più in fretta possibile: l’impressione che qualcosa di spaventoso stesse per succedere, ma che svanì in pochi secondi nel momento in cui finalmente riuscii a muovermi. Una cosa così sgradevole da mettermi in imbarazzo al solo pensiero. Forse per questo non mi ero mai preoccupato di dissezionare e analizzare quel gomitolo di percezioni associate al fatto di non riuscire a muoversi per qualche interminabile minuto, al risveglio o all’addormentamento.
Non so il perché di questa mia reticenza, non avevo nulla di cui vergognarmi, ma non ne avevo parlato neppure con mio padre, che oltre a essere il mio miglior confidente era anche il mio medico.
Il cuore mi schizzò in gola, e al disagio interiore che quelle paralisi mi avevano causato si associò subito una paura ancora più grande: avevo trascurato una malattia tanto grave da essere scelta come argomento del nostro corso di Clinica neurologica? Alzai comunque la mano, e con mio grande stupore mi accorsi che almeno altre dieci mani dei centocinquanta studenti si erano alzate insieme alla mia. […]
Tutti i pazienti che incontro con questo disturbo pensano di soffrire di qualcosa di estremamente raro.
Il professore sembrò leggere la mia preoccupazione e a sorpresa tranquillizzò subito tutti, specialmente chi come me aveva alzato la mano. Finalmente anch’io riuscii a deglutire.
“Come avete visto molti di voi hanno alzato la mano. Oggi parleremo di un disturbo, non di una malattia. Più frequente di quanto si creda. È importante conoscere le paralisi del sonno, perché nella vostra vita di medici vi capiterà che qualcuno credendosi pazzo vi sussurri cose assurde e inquietanti. Per esempio che mentre dorme o mentre si sveglia si sente morire e ha allucinazioni terrificanti. Appurato che si tratti di paralisi del sonno, il vostro obiettivo sarà quello di tranquillizzarlo.”
In un certo senso, questo è tutto ciò che serve conoscere sulle paralisi del sonno. Dal punto di vista dell’intervento sul paziente è tutto qui. Le paralisi del sonno, però, sono molto, molto più di questo. […]
Oggi io visito decine di pazienti al mese e, puntualmente, almeno uno tra loro viene a consultarmi per paralisi del sonno. Tutti i pazienti che incontro con questo disturbo pensano di soffrire di qualcosa di estremamente raro, soprattutto non sanno se si tratti di un disturbo neurologico, di una malattia psichiatrica o di altro, come per esempio, nei casi più estremi, di una possessione demoniaca. Le informazioni che chiunque può trovare in rete d’altronde non sono in grado di rassicurare chi si sente paralizzato per interminabili minuti, né di smorzare quella sensazione orribile di essere toccato, minacciato, annusato, osservato e trasportato fuori dal proprio corpo.
Aver sofferto di questo disturbo mi permette di comprendere a fondo le emozioni dei miei pazienti. Le mie paralisi del sonno con gli anni sono quasi scomparse – l’ultima è stata almeno tre anni fa –, ma anche se ormai sono più che certo che si tratti soltanto di un disturbo, ogni volta che si presenta non c’è nulla che riesca a rassicurarmi mentre mi trovo immobilizzato. Perdo il lume di ogni certezza scientifica e mi lascio trascinare dalla paura, dal terrore. In passato ho avuto paralisi del sonno solamente durante il sonnellino pomeridiano, nel momento dell’addormentamento o durante un risveglio quando il sonno durava almeno un’ora. Ora non mi succede più di dormire il pomeriggio, a meno che io non sia molto stanco. In quel caso, torno nuovamente nel limbo del sonno: la mancanza di sonno, infatti, e la privazione di sonno completa o un periodo di sonno insufficiente facilitano la comparsa immediata della fase di sonno REM, e di conseguenza anche delle paralisi del sonno in chi, come me, ne è predisposto.
La mia ultima paralisi mi ha colto in ospedale. La sera precedente avevo seguito la polisonnografia di un paziente difficile, passando la notte interamente in bianco. Ero stanchissimo, esausto. Contrariamente a quanto sarebbe consigliato fare, avevo proseguito la giornata preparando una lezione e scrivendo. Avevo molto sonno, così alle tre del pomeriggio decisi di coricarmi per quindici minuti nel lettino della stanza del laboratorio, che in quel momento era libera. Un sonnellino di quindici minuti è l’ideale in casi di questo genere, perché permette di “smaltire” la sonnolenza più urgente e di posticiparla. L’importante è non far proseguire oltre il periodo di sonno, perché così facendo si evita di essere ancora sonnolenti, intontiti e di cattivo umore al risveglio, come scommetto vi capiti quando decidete di prendervi “cinque minuti” durante la giornata, e invece rimanete a letto più del dovuto. Mi addormentai immediatamente, a pancia in su, per poi svegliarmi dopo solo pochi minuti di sonno. O almeno così pensavo.
La mancanza di sonno e la privazione di sonno completa facilitano la comparsa immediata della fase di sonno REM, e di conseguenza anche delle paralisi del sonno.
Sapevo di essere nel laboratorio e riuscivo a vederlo con abbastanza chiarezza. Vedevo anche me stesso dall’alto, ma stentavo a riconoscermi in quella persona distesa sul letto. Cercai di alzarmi ma mi sentivo completamente bloccato, come se una presenza mi schiacciasse contro il materasso. Anzi, non sembrava: c’era davvero qualcuno che mi spingeva con forza sul letto quasi fino a farmi sprofondare. Sentii il bisogno di urlare. In parte consapevolmente mi trattenni, sapevo che di là c’era gente e non volevo finire in una situazione imbarazzante. Decisi però di gridare lo stesso, sopraffatto dal terrore, ma dalla mia gola non uscì nessun rumore. Sì, qualcosa in un certo senso uscì, forse un gorgoglio sottile, che diventò poi un fiotto colorato di onde sonore, flautate debolmente fuori dalla mia bocca. Sapevo di cosa si trattava, cercai di muovere le dita, prima quelle delle mani e poi quelle dei piedi. “Funzionerà” pensai, ma invece niente. Percepivo chiaramente una forza che si accaniva sul mio torace immobilizzandomi. D’altra parte, se anche fossi riuscito a muovere un arto, sarebbe stato necessario uno sforzo ancora più grande per scavalcare le sbarre alzate del letto ospedaliero. “Aspetta un momento, non erano alzate quando mi sono coricato, pochi minuti fa.” C’era qualcuno nella stanza, ne ero certo, mi terrorizzava e si prendeva gioco di me. Mi ripetei: “So che è una paralisi del sonno, so che è una paralisi del sonno”, ma non riuscivo comunque a governarla. Non riuscivo a gestire neppure le mie emozioni, turbinavano autonomamente nella mia testa deflagrando in voci spaventose.
Mi dissi: “Chiudi gli occhi e riaddormentati, passerà”. Il letto cominciò a vibrare, a sussultare, come sospinto da una forza soprannaturale. Le porte iniziarono a sbattere, con violenza. Improvvisamente ero fuori dal mio corpo e potevo vedere tutto il reparto, stanza per stanza. Era completamente deserto. “È il terremoto?” ho pensato. Il frastuono aumentava, il mio corpo sbatteva sul letto, l’uomo era lì e stava provando a uccidermi. La sensazione di minaccia salì iperbolicamente. Forse era davvero finita, avevo oltrepassato il confine, il limite, la soglia. Ero interamente di là, lo sconosciuto col coltello in mano (da dove era spuntato quel coltello?) mi aveva ucciso.
Poi, di colpo, una calma piatta e atona. Tutto era finito, io ero ancora lì, sul letto, arrabbiato e spaventato, congelato ma con la nuca sudata. Nella stanza non c’era nessuno, le sbarre del letto erano abbassate, esattamente come quando mi ero coricato, e sentivo le voci dalla stanza a fianco. Fra sonno e paralisi non erano passati più di dieci minuti. A oltre trent’anni dalla lezione di Tassinari, e dopo aver cercato di rassicurare decine e decine di persone con paralisi del sonno, ne ero stato ancora sopraffatto.
Il pittore romantico Johann Heinrich Füssli dipinse nei suoi Incubi la bizzarria, l’ansia e la paura che possono affaccendarsi intorno al corpo inerme di una persona immobilizzata da una paralisi del sonno ben prima che fossero scoperte le caratteristiche neurofisiologiche e i contenuti mentali legati a questo fenomeno e alle allucinazioni ipnagogiche. Fu Christian Baumann, un ricercatore di Zurigo, a riconoscere nelle tele degli Incubi di Füssli tali caratteristiche. Sopra una giovane donna immobilizzata dal sonno si contendono la scena personaggi infernali e minacciosi accovacciati sul torace, animali fantastici che si affacciano con occhi diavoleschi in scenografie gotiche, armi pericolose che brandeggiano nel vuoto, corpi che levitano o fuggono, rapiti da forze misteriose. Anche se il titolo dato a questa serie di quadri dal grande pittore svizzero fu quello di Incubi, il mondo della ricerca scientifica e il mondo dell’arte hanno abbracciato la tesi che questi riassumano magistralmente proprio le caratteristiche delle paralisi del sonno: ne sono una descrizione quasi perfetta, realistica in maniera affascinante. E infatti assomigliano molto a quello che mi sembrò di vedere quella volta.
Non dobbiamo stupirci, dopotutto, se le paralisi del sonno hanno attirato per secoli l’attenzione di pittori, musicisti, poeti, scrittori. L’Ishmael di Moby Dick aveva terribili esperienze di paralisi, e descrizioni del fenomeno si ritrovano a partire dal 400 a.C. nei libri dei sogni cinesi, restituendo sempre la stessa immagine: presenze oscure e diaboliche che maneggiano turpemente il nostro corpo, lo bramano, tentano di possederlo. Non di rado, prima della nascita della medicina scientifica (ma purtroppo in rari casi anche successivamente), simili fenomeni erano considerati delle vere e proprie possessioni, e richiedevano l’intervento di un esorcista in grado di liberare il corpo dai demoni e dai fantasmi che nottetempo l’avevano occupato, mentre giaceva mummificato sopra il letto.
L’esperienza che si fa in un momento di paralisi è imparagonabile a qualsiasi altra, è molto più terrificante del più terribile degli incubi.
L’esperienza che si fa in un momento di paralisi è imparagonabile a qualsiasi altra e, per chi non l’avesse mai provata, posso assicurare che è molto più terrificante del più terribile degli incubi. Ma nonostante l’enorme spavento che procura, non bisogna mai dimenticarsi che si tratta di un disturbo molto comune e, soprattutto, molto breve, anche se mentre sta accadendo l’impressione che si ha è quella di un tempo infinito, che va avanti per ore e ore.
Le paralisi del sonno non sono altro che stati di immobilità transitoria che compaiono fra la veglia e il sonno, o fra il sonno e la veglia. Dal punto di vista neurofisiologico si spiegano come una mancata sincronizzazione dei meccanismi che separano la veglia dal sonno REM. Durante il sonno REM, infatti, la corteccia cerebrale del nostro cervello (la parte più evoluta del sistema nervoso centrale) produce contenuti mentali estremamente bizzarri e fantastici, che conosciamo come sogni. Simultaneamente, le strutture arcaiche del tronco cerebrale che orchestrano l’alternanza fra il sonno e la veglia e le transizioni fra i diversi stati di sonno determinano, attraverso messaggi inviati ai motoneuroni spinali – responsabili del controllo del movimento – una paralisi funzionale, che cesserà non appena si sarà usciti completamente dal sonno REM.
Questo meccanismo di inibizione è molto importante: ci protegge e ci impedisce di agire i nostri sogni, vale a dire di seguirne con il nostro corpo le azioni mentre stiamo dormendo. Senza questo meccanismo la nostra vita potrebbe essere continuamente in pericolo mentre dormiamo, e si avvererebbe forse uno dei nostri incubi peggiori, cioè quello di morire davvero, nella vita reale, nello stesso momento in cui moriamo in un sogno.
Il sonno REM, in condizioni fisiologiche, compare ciclicamente durante il sonno. La prima volta dopo 60-90 minuti dall’addormentamento, e poi altre 3-5 volte nel corso della notte, sempre ogni 60-90 minuti circa. Il periodo più lungo della fase dei sogni è verso mattina, fra le tre e le cinque. Fa eccezione il sonnellino pomeridiano: durante la breve siesta, che molti ancora si possono fortunatamente permettere, l’addormentamento può sincronizzarsi con la pulsatilità circadiana del sonno REM. Grazie a questa coincidenza temporale circa un quinto delle persone sogna quasi immediatamente, subito dopo l’addormentamento pomeridiano. La presenza istantanea del sonno REM rende così il sonnellino pomeridiano eccezionalmente ristoratore, soprattutto se dura poco, quindici, non più di venti minuti.
La mancanza di sonno, il restringimento del periodo del sonno notturno, la privazione di sonno così comuni ai nostri giorni – sopraffatti come siamo dal lavoro, dalle ansie, dalle tecnologie – possono causare un’ulteriore anticipazione della fase di sonno REM. Tale anticipazione crea qualche disordine nella coordinazione della transizione veglia-sonno, e questo fa sì che, in persone predisposte, e soprattutto durante il sonnellino pomeridiano, la fase di sonno REM possa comparire in forma dissociata: la paralisi può anticipare il sonno.
L’alterazione della sincronizzazione del “via sonno” provoca così il tanto temuto disturbo delle paralisi del sonno. Frammenti di sogno possono allora determinare visioni o sensazioni tattili, uditive, olfattive, affettive note scientificamente come “allucinazioni ipnagogiche”. E lo stesso, specularmente, può accadere al risveglio dal sonno REM. Occorre però ricordare che, oltre alla privazione del sonno e alla predisposizione individuale, esiste anche una malattia caratterizzata dall’immediata e frequente transizione dalla veglia al sonno REM: la narcolessia. Le paralisi del sonno possono quindi anche essere un importante sintomo della narcolessia, e aiutare i pazienti a riconoscerla. Nel caso in cui queste si presentino in una persona marcatamente sonnolenta non vanno dunque mai svalorizzate.
La bizzarria delle paralisi del sonno ha fatto sì che a esse siano stati attribuiti significati diversi nelle diverse epoche e che, tuttora, vengano interpretate in modo differente nelle varie culture.
Nella maggioranza dei casi le paralisi si presentano però isolate, non associate ad altri disturbi del sonno. E quando paralisi del sonno isolate si presentano con frequenza elevata, disturbando ripetutamente l’addormentamento o il risveglio di una persona, si parla di “paralisi del sonno isolate ricorrenti”. Le allucinazioni, i frammenti di sogno, possono complicare frequentemente le paralisi, rendendole ulteriormente difficili da sopportare e gestire. La giovane età adulta e l’adolescenza, la familiarità, la posizione supina e il sesso maschile rappresentano i fattori predisponenti più importanti. A seconda della tipologia delle allucinazioni, che possono associarsi alle paralisi, come immagini, voci, rumori (per esempio passi), sensazioni tattili minacciose, oppure sensazioni di soffocamento, pressione toracica, dolore, sensazione di morte imminente, sensazioni di levitazione, di galleggiare, di volare o esperienze extracorporee, autoscopiche, illusione di movimento, le paralisi del sonno vengono classificate in tre diversi tipi. La terminologia anglosassone le divide rispettivamente in intruder, incubus e vestibular-motor, che potremmo rendere con “intrusive”, “incombenti” (come il malefico demone che giaceva sui dormienti) e associate a una sensazione di accelerazione, decelerazione o in genere di movimento, cioè “cinestesiche”.
La bizzarria delle paralisi del sonno ha fatto sì che a esse siano stati attribuiti significati diversi nelle diverse epoche e che, tuttora, vengano interpretate in modo differente nelle varie culture. Dalle interpretazioni religiose della presenza di spiriti, di fantasmi, alle possessioni demoniache fino alle presenze aliene. La figura stessa dipinta da Füssli con l’aspetto di uno gnomo che siede sul torace e sul ventre della donna addormentata è presente in molte culture e tradizioni ed è stata prestata, in varie forme, alle interpretazioni psicanalitiche. È un dato di fatto che le paralisi del sonno ricorrenti generino condizioni di forte stress e ansia fino a richiedere, in casi estremi, trattamenti farmacologici antidepressivi. Diversi studi in corso stanno valutando la possibile efficacia di trattamenti non farmacologici, a partire dall’attenersi a un rigido ritmo sonno-veglia o utilizzando strategie di condizionamento psicologiche di tipo cognitivo-comportamentale, o anche protocolli terapeutici riadattati e originariamente utilizzati nelle terapie integrate per il controllo del dolore.
Quello che è certo, però, è che nulla, neppure una profonda conoscenza e comprensione scientifica del disturbo, riuscirà a darci sollievo quando cadremo vittime dei demoni paralizzanti del sonno. Potremo solo chiudere gli occhi e aspettare che la tenda infernale si chiuda, e ci restituisca al nostro vero mondo.
O, almeno, a quel mondo che abbiamo tacitamente deciso di credere come vero.
Estratto da I tre fratelli che non dormivano mai e altre storie di disturbi del sonno (Il Saggiatore, 2019)