L’
ascesa dell’Asia è un fenomeno strutturale, non ciclico, sostiene Parag Khanna, classe 1977, esperto di relazioni internazionali, considerato tra gli strateghi geopolitici più influenti del mondo. Dopo volumi importanti come I tre imperi, Connectography e La rinascita delle città-Stato, la casa editrice Fazi porta nelle librerie italiane il nuovo lavoro dello studioso indiano.
Khanna descrive una regione multipolare con molte civiltà, che si evolvono perlopiù indipendentemente dalle politiche occidentali, ma sono in grado di coesistere costruttivamente le une con le altre. L’autore prospetta il ruolo della Cina, che non sarà quello di egemone asiatico o globale, ma di àncora orientale del megasistema asiatico ed eurasiatico. L’Asia-Europe Meeting già rappresenta il più grande gruppo economico al mondo: corrisponde a più della metà del PIL globale e a oltre il 60% del commercio mondiale. Entro il 2025, il volume del commercio tra Asia ed Europa è destinato a raggiungere i 2.500 miliardi di dollari, esattamente il doppio dell’attuale livello degli scambi tra Europa e Nord America e tra quest’ultima e l’Asia.
Il secolo asiatico? analizza il progetto diplomatico, definito da Khanna come il più significativo del Ventunesimo secolo, della Belt and Road Initiative, volto al rafforzamento delle infrastrutture e della cooperazione tra i paesi dell’Eurasia.
Che cosa s’intende per “Asian System” e in che modo è stato sviluppato dopo la Guerra Fredda?
Significa che ora i paesi asiatici intessono relazioni economiche e diplomatiche più intense fra di loro rispetto a quelle con gli stati esterni alla regione asiatica. Il processo è cominciato dopo il collasso dell’Unione Sovietica. Dall’alba degli anni Novanta l’ascesa della Cina, dell’India, dei paesi del Sud-est asiatico insieme al Giappone e alla Corea del Sud, già benestanti, ha disegnato nelle ex colonie britanniche dell’Asia occidentale legami più stretti con l’est. Tutti questi paesi hanno espanso i propri commerci e lanciato nuovi investimenti infrastrutturali per rafforzare le connessioni.
Un messaggio centrale del libro è l’importanza di non ridurre l’Asia alla Cina.
La Cina è il paese asiatico più esteso e potente, ma rappresenta solo 1.5 dei 4.5 miliardi di persone residenti in Asia. A breve l’India avrà una popolazione più ampia della Cina e ha già un tasso di crescita economica più alto. Gli Stati membri dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico) ricevono più investimenti esteri della Cina. L’Asia ha una storia ricca, lunga quattromila anni e stratificata da diverse civiltà, nessuna delle quali in grado di conquistare in modo permanente le altre. La Cina assomiglia a una forza inarrestabile, ma l’Asia è piena di oggetti inamovibili. La Cina può guidare trasformazioni rilevanti in Asia, ma non può dominarla.
In che modo la Belt and Road Initiative sta cambiando gli equilibri, le connessioni regionali, globali e quale impatto economico è possibile stimare a lungo termine?
La BRI è l’ultimo capitolo di un percorso trentennale di rinascita dell’antica Via della Seta per la connettività attraverso l’Asia. La Cina è l’architetto principale delle nuove arterie dell’Asia centrale. La trasformazione delle repubbliche dell’Asia centrale da un agglomerato di isolate ex repubbliche sovietiche a corridoi della nuova Via della Seta cinese è stata un processo lungo, iniziato negli anni Novanta con i primi oleodotti attraverso il Kazakistan dal Mar Caspio alla Cina e la fondazione dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Ha già un impatto molto positivo sulle relazioni commerciali tra i paesi dell’Eurasia, inclusa la Cina.
Lei sostiene che l’esito della BRI non sarà l’egemonia della Cina, ma un insieme di nuovi crocevia per l’Eurasia.
Sebbene i sospetti relativi alla BRI continueranno a persistere, il processo incarna quello che un ministro pakistano definisce uno spirito di “sincerità coesa”. La BRI, un’iniziativa multilaterale, si basa sui meccanismi di mercato, non sull’ideologia: è un’iniziativa commerciale. Contrariamente all’opinione degli Stati Uniti, che considera i progetti infrastrutturali della Cina un’intrusione neocoloniale, le nazioni centroasiatiche sono ansiose di ospitare questi nuovi corridoi est-ovest.
Xi Jinping, nel suo intervento al congresso del 2017 del Partito Comunista, ha affermato che l’approccio della Cina alla politica estera “offre una nuova opzione a quei paesi e a quelle nazioni che vogliono accelerare il loro sviluppo senza rinunciare alla loro indipendenza”. I vicini della Cina stanno facendo capire di essere pronti ad accogliere gli investimenti cinesi se questi offrono un mutuo beneficio, ma di non essere più disposti ad accettare accordi capestro. Vogliono prosperare in un sistema asiatico, non cinese.
Che cosa rappresentano il Kazakistan e la Mongolia per la BRI?
Sono i due paesi più grandi al mondo privi di sbocchi sul mare, sono vasti spazi naturali di transito. Sono anche delle gigantesche centrali elettriche per i corridoi in divenire della nuova Via della Seta. Nel 2005 la Cina e il Kazakistan hanno firmato il primo “partenariato strategico”. Oggi, a distanza di poco più di dieci anni, numerosi Stati dell’Asia centrale partecipano alla Belt and Road Initiative. Almaty, il fulcro commerciale del Kazakistan situato vicino ai confini dell’Uzbekistan, del Kirghizistan e della Cina, è diventato un punto d’incontro per i grossisti e gli operatori commerciali regionali, a conferma del fatto che molti asiatici vedono di buon occhio le incursioni infrastrutturali della Cina in Asia, perché gli forniscono una copertura per perseguire i propri obiettivi commerciali – non quelli della Cina. Il Kazakistan punta a fare da ponte tra l’Europa e l’Asia. Il 60 per cento degli attuali volumi di merci su rotaia che arriva dalla Cina all’Europa attraversa il suo territorio, rispetto al 10 per cento che arriva dalla Russia e al 10 per cento che arriva dalla Mongolia.
C’è una misura della dimensione dei progetti infrastrutturali? Qual è l’impatto sul debito?
L’Asian Development Bank (ADB), principalmente finanziata dai giapponesi, considera che l’Asia necessiti di 26.000 miliardi di dollari di investimenti infrastrutturali entro il 2030. Oltre ottanta paesi e le organizzazioni internazionali che si occupano di sviluppo sono rivolte a raggiungere questo obiettivo. Investimenti di questa portata, però, producono anche una grande quantità di debito. L’unica maniera che hanno i paesi dell’Asia centrale per gestire il loro crescente debito è avviare una radicale ristrutturazione economica: una sfida impegnativa in un’epoca di bassi prezzi delle materie prime.
Che cosa deve fare l’Europa per trarre profitto dalla crescita dell’Asia?
L’Unione Europea è un partner decisivo per l’integrazione economica eurasiatica, perché costituisce il più grande mercato libero regionale nel mondo e garantisce enorme prosperità. Recentemente l’UE ha lanciato l’Asian Connectivity Initiative, che può essere definita la BRI proveniente dall’ovest. Ciò aumenterà il volume del commercio tra Europa e Asia, che è pari a 1,6 triliardi di dollari annui, molto di più rispetto al commercio con gli Stati Uniti. Dovrebbe infatti continuare a spingere per accordi commerciali col Giappone, l’ASEAN e l’India, mentre esercita una pressione sulla Cina, affinché apra i propri mercati, assicurando che ci sia una competizione equa per i progetti della BRI. Anche le maggiori compagnie europee, che si occupano della costruzione di infrastrutture, possono approfittare dell’accresciuta connettività.
Nel libro scrive: “Non sono più loro che aspirano a essere come noi, ma noi che aspiriamo a essere come loro”. Quali sono gli elementi fondamentali dell’attuale asianizzazione?
Nel Ventunesimo secolo si sta formando un nuovo strato sedimentario nella geologia della civiltà globale: l’asianizzazione. Come è avvenuto con i predecessori, l’Europa e gli Stati Uniti nel processo di occidentalizzazione del mondo, essa assume molte forme ed è universalmente palpabile. Essa comporta il cambiamento del nostro modo di valutare che cosa sia un buon governo, che non è riducibile al solo significato di democrazia. Vuol dire accettare che lo Stato rivesta un ruolo legittimo nel regolare e dare forma all’economia per il benessere pubblico. Significa riconoscere norme culturali come la responsabilità collettiva e non solamente i diritti individuali. Assistiamo all’asianizzazione del mondo in molti ambiti sociali: dal numero dei giovani occidentali che imparano il cinese, studiano e lavorano in Asia, alla popolarità della musica K-Pop ai film di Bollywood.
Come potremmo definire il capitalismo all’asiatica?
È un sistema misto. Lo Stato può designare alcune compagnie come “campioni nazionali”, sostenendole e favorendole con forti sussidi economici o legislativi. Sceglie di sovvenzionare settori strategici, nei quali intende guadagnare un vantaggio come il manifatturiero avanzato o l’intelligenza artificiale. Al contempo le società devono condividere i propri profitti sia mediante le tasse sia contribuendo agli investimenti pubblici. I miliardari asiatici, il cui numero è in crescita costante, compaiono come i principali filantropi e s’intestano cause nazionali a cominciare dal finanziamento dell’educazione.
Qual è la rilevanza della spinta all’isolazionismo in un’era multipolare senza precedenti?
Pochi paesi, come gli Stati Uniti e alcune aree dell’Europa, perseguono politiche ispirate all’isolazionismo e alla frammentazione. È lontano dall’essere un fenomeno globale. Nei fatti, le regioni più dinamiche del mondo abbattono le barriere per la mobilità e per i capitali. L’Africa e l’Asia, dunque quasi sei miliardi di persone, si muovono in questa direzione. Dobbiamo apprezzare come il mondo sia diventato multipolare. Alcune delle più rilevanti regioni mondiali non s’impongono più di seguire l’esempio dell’Occidente, che ha invertito il senso di marcia, prendendo una strada sbagliata.
L’ideologia del “muro” come si concilia con la realtà in cui il potere si esercita controllando le connessioni.
Controllare le connessioni ha sempre significato guadagnare influenza nel mondo. Le barriere fisiche potrebbero procurare qualche forma di sicurezza temporanea, ma indeboliscono il legame con opportunità importanti. Per questa ragione, la grande strategia della Cina di sviluppare una sempre migliore connettività infrastrutturale sta funzionando, malgrado gli ostacoli posti ad alcuni progetti in pochi paesi.
Nell’attuale globalizzazione come si misurano il potere e l’influenza degli attori in campo?
La domanda è complessa e decisiva. Il potere e l’influenza dovrebbero essere misurati in base ai contesti specifici senza pregiudizi verso gli Stati. Apple è più rilevante dell’Ecuador; la Russia ha le armi nucleari ma un’economia modesta; la Fondazione Gates fa più per la sanità pubblica in Africa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Nel libro Come si governa il mondo ho spiegato che influenza e potere dipendono dunque dalle situazioni e sempre più spesso gli attori non statali possono essere più importanti degli Stati.
Che cosa rappresenta la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina? Contribuirà all’asianizzazione?
La considero una ricalibratura del volume dei commerci tra due grandi economie. Il risultato a lungo termine consisterà nell’accelerare il processo di asianizzazione. La Cina cambierà, importando più beni dai vicini come il Giappone, la Corea del Sud e più largamente dall’Europa. Ciò ridurrà il mercato e la rilevanza statunitense in Asia.
Qual è la lezione da trarre dalla politica espansionistica cinese in Africa?
La crescita asiatica ha riflessi positivi sui trend globali dell’Africa, perché ha aperto nuovi mercati giganteschi all’export dei prodotti africani, dall’agricoltura all’energia. È il ritorno del sistema commerciale premoderno dell’Afroeurasia. La Cina, interessata alle materie prime, guida gli investimenti nelle infrastrutture essenziali per lo sviluppo africano, ma anche l’India e il Giappone partecipano con investimenti sostanziosi. Gli asiatici hanno ispirato il riorientamento dell’Africa verso l’Oceano Indiano e c’è molto da imparare in questa nuova fase.