S ulla copertina dell’ottavo album di Kanye West, Ye, campeggia la scritta in verde fluo: “I Hate Being Bi-polar – It’s Awesome”. Che il rapper sia realmente affetto da un disturbo dell’umore oppure no, l’affermazione “odio essere bipolare, è fantastico” sembra racchiudere tutte le contraddizioni che questa patologia rappresenta. I quadri clinici un tempo indicati col termine generico di “psicosi maniaco-depressiva”, consistono infatti in sindromi di interesse psichiatrico caratterizzate da un’alternanza fra due diverse condizioni dell’attività psichica: il suo eccitamento (la cosiddetta mania) e all’opposto la sua inibizione, ovvero la depressione, unita a nevrosi o a disturbi del pensiero. La giornata mondiale dedicata al disturbo bipolare cade ogni 30 marzo, giorno della nascita di Vincent van Gogh, che ne soffriva. Ai suoi tempi, però, non esisteva il DSM, il principale manuale di classificazione delle malattie mentali, e al pittore sono stati attribuiti, nel corso delle sua breve vita, innumerevoli e disparati disturbi senza tuttavia giungere a una cura efficace.
Secondo il film documentario Vincent van Gogh: un nuovo modo di vedere, oltre cento cinquanta psichiatri hanno tentato negli anni di classificare i sintomi del pittore, con il risultato di circa trenta diagnosi diverse, e il World Bipolar Day potrebbe quindi configurarsi come un tributo tardivo da parte della psichiatria a quello che Antonin Artaud definì il “suicidato della società”. Nel suo saggio, il drammaturgo francese sostiene la tesi radicale secondo cui il genio di van Gogh sarebbe “una di quelle nature di una lucidità superiore che permettono loro in ogni circostanza di vedere più lontano, infinitamente e pericolosamente più lontano del reale immediato e apparente dei fatti”. Persone che per questo sono “piene di intuizioni, di premonizioni, di prescienze, di divinazioni, che hanno sempre costituito un disagio incombente per la coscienza d’ogni giorno”, “la coscienza volgare e comune d’ogni giorno, la quale da un secolo si è inventata la psichiatria come difesa”. Questa visione, per certi versi anti-psichiatrica, secondo cui “la psichiatria è stata inventata (…) per togliere a certe facoltà sovra-normali ogni diritto a entrare nella realtà”, anticipa la rivoluzione italiana di Franco Basaglia che con la legge 180 sancì la chiusura dei manicomi. Rispetto a soli cinquant’anni fa, la psichiatria e la società hanno entrambe fatto immensi passi in avanti. In termini diagnostici e di cura la prima, di inclusione la seconda. Ma quando van Gogh cominciò a manifestare i primi sintomi, nella seconda metà dell’Ottocento, la psichiatria non era affatto preparata ad affrontare l’incedere della sua malattia, né era preparata ad accoglierlo la piccola comunità di Arles in cui viveva come un reietto.
La giornata mondiale dedicata al disturbo bipolare cade ogni 30 marzo, giorno della nascita di Vincent van Gogh, che ne soffriva.
A oggi non vi è ancora un consenso unanime su quanti tipi di disturbo bipolare esistano. Nell’ICD, la classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati stilata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, è presentato come uno spettro di disturbi che si verificano lungo un continuum. La distinzione fra i vari sottotipi clinici avviene sostanzialmente sulla base del decorso e della connotazione sintomatologica delle diverse fasi raccolte con l’anamnesi.
Il DSM elenca tre sottotipi specifici: il Disturbo Bipolare di I tipo, caratterizzato dalla presenza di almeno un episodio depressivo maggiore intervallato da almeno un episodio maniacale spontaneo (ovvero su cui non si sia virato in seguito all’assunzione di farmaci antidepressivi). Nella maggior parte dei casi gli episodi maniacali sono seguiti da uno o più episodi depressivi, anche se questi non sono affatto necessari alla formulazione della diagnosi. In effetti, in una piccola percentuale di casi si verificano esclusivamente ricadute maniacali, forme queste ultime che mostrano più spesso un esordio tardivo. Diversamente, il disturbo bipolare di tipo II mostra un decorso clinico caratterizzato da almeno un episodio depressivo maggiore, intervallato da almeno un episodio ipomaniacale, di entità quindi attutita rispetto alla mania del tipo I. E infine il disturbo ciclotimico, connotato dallo sviluppo di svariati episodi ipomaniacali, alternati a periodi caratterizzati dalla presenza di sintomi depressivi, non sufficienti a porre diagnosi di depressione maggiore.
Quando diversi anni fa uno specialista mi consegnò la mia diagnosi di bipolare, prescrisse insieme ai farmaci la lettura di un testo di Kay Redfield Jamison, la psicologa clinica americana considerata fra i principali esperti del disturbo dal quale lei stessa è affetta. Quello che emerge nelle pagine di Una mente inquieta, è dapprima il tentativo di comprendere la propria condizione e, una volta fatto, quello di tenerla nascosta, in particolare al mondo accademico in cui la Jamison lavorava e che temeva potesse bollarla danneggiando la sua carriera. Molti dei suoi sforzi erano orientati a dissimulare i sintomi, oltre che a occultare il litio nell’armadietto del suo bagno quando riceveva ospiti a casa. Questo accadeva perché, come per ogni patologia di tipo psichiatrico, anche il disturbo bipolare, purtroppo, proietta su chi ne soffre un’ampia dose di pregiudizio e stigma sociale.
Non esiste un solo disturbo bipolare, ma diversi sottotipi per identificare i quali sono necessarie una specifica competenza e una lunga esperienza.
L’obiettivo del World Bipolar Day e di altre manifestazioni analoghe (il 2 aprile si celebra la giornata mondiale dedicata all’autismo, messo in luce anche dal recente caso mediatico di Greta Thunberg, la giovane attivista svedese affetta da sindrome di Asperger) è proprio quello di combattere lo stigma associato alla patologia facendo conoscere meglio le sue caratteristiche. Nel caso del disturbo bipolare, gran parte della confusione deriva dal fatto che in realtà non ne esiste uno solo, ma diversi sottotipi per identificare i quali sono necessarie una specifica competenza e una lunga esperienza.
Oggi, accanto alle forme classiche (disturbo bipolare I e II), si distinguono anche altri sottotipi in base alla polarità di esordio (ovvero se il disturbo si è manifestato per la prima volta con una fase depressiva o con una di euforia), la polarità prevalente (o semplicemente la maggiore tendenza del disturbo e delle sue ricadute), e il tipo di evoluzione nel tempo (il modo in cui si alternano gli episodi depressivi o maniacali e la presenza o meno di un periodo di benessere tra gli uni e gli altri).
Una diagnosi precisa, e formulata prendendo in considerazione tutte queste variabili, consente al clinico di fare una previsione (tecnicamente “prognosi”) su quale evoluzione può avere la patologia nel singolo caso e, soprattutto, su quali cure a breve e a lungo termine siano più utili. Il messaggio veicolato dal World Bipolar Day è che il disturbo bipolare è una malattia che come tale può e deve essere curata. Se tenuta sotto controllo medico risulta compatibile con una vita normale e produttiva ma, come accade per l’asma o per il diabete, spesso le cure alle quali bisogna sottoporsi durano per sempre. Accettare la diagnosi e la necessità di doversi curare non è facile, e a raccontare bene questo duplice aspetto è la graphic novel Marbles. Mania, depressione, Michelangelo e Me (traduzione Micol Beltramini, Edizioni BD) cui la disegnatrice americana Ellen Forney consegna la sua esperienza di paziente psichiatrica. Si tratta di un memoir sulle insidie che il disturbo bipolare nasconde e sulla cura dello stesso attraverso i farmaci giusti e l’ausilio della psicoterapia. Quella a orientamento cognitivo risulta la più indicata, mentre da un punto di vista psicofarmacologico gli stabilizzanti dell’umore permettono di tenere sotto controllo le oscillazioni e di prevenire le ricadute. Come per la depressione unipolare, il disturbo presenta una stagionalità (per van Gogh i sintomi tendevano a ripresentarsi nei mesi invernali, mentre io temo ogni anno l’arrivo del caldo e dell’estate) e una periodicità, in quanto tende a ripresentarsi ciclicamente.
Forse per consolarsi delle loro stesse diagnosi, sia Forney che Jamison (quest’ultima nel testo Manic-Depressive Illness. Bipolar Disorders and Recurrent Depression che firma con lo psichiatra Frederick K. Goodwin), elencano le molte personalità geniali affette dal disturbo bipolare. Jamison, in particolare, sottolinea la maggiore predisposizione di persone brillanti e creative a manifestare la malattia maniaco-depressiva e, in base ai risultati di uno studio realizzato su alcuni sedicenni svedesi, alla probabilità quattro volte superiore di sviluppare questa patologia per quelli che fra di loro primeggiavano per intelligenza.
Per ogni manifestazione di genialità presunta o reale, esiste un rovescio della medaglia, e una delle conseguenze più gravi del disturbo è l’ideazione suicidaria.
Jamison non è l’unica studiosa a sostenere questa correlazione, e alcuni psichiatri hanno ripreso gli studi di Cesare Lombroso o analizzato le opere di Johann Wolfgang von Goethe e Richard Wagner tentando di dedurre in quale fase di bipolarismo si trovassero gli autori. Esiste tuttavia una diversa scuola di pensiero, e nuovi studi sembrano confutare la tesi di una qualche connessione fra creatività e malattia mentale.
Per ogni manifestazione di genialità presunta o reale, esiste un rovescio della medaglia, e una delle conseguenze più gravi del disturbo è l’ideazione suicidaria, che porta a compiere tentativi, al punto che un paziente su tre con disturbo bipolare ha una storia passata di tentativi di suicidio, con una media da 10 a 20 volte superiore rispetto a quella della popolazione generale. La fascia di età più a rischio per il suicidio è compresa tra i 15 e i 25 anni, durante l’esordio della malattia, quando il soggetto e i suoi familiari non sanno ancora come affrontare quest’ultima. Le oscillazioni del tono dell’umore e, in generale, del funzionamento della persona causate dal disturbo, possono inoltre compromettere attività lavorativa e rapporti sociali. Questo accade non solo nei due estremi del disturbo (cioè quando si è completamente depressi oppure in uno stato di mania o di ipomania) ma anche nelle fasi in cui si manifesta uno stato misto, caratterizzato da una compresenza di sintomi depressivi e maniacali, con il predominio di irritabilità, ansia e irrequietezza. Perché come canta Kanye West nel suo brano Waves, le onde non finiscono, né si fermano, e noi bipolari non possiamo far altro che imparare a conviverci.