F ootball Dreams è stato un mastodontico programma di scouting calcistico portato avanti dal Qatar nel decennio 2007-2017 in 35 paesi diversi, soprattutto africani, con l’obiettivo dichiarato di trovare i migliori talenti del futuro. Ogni anno sono stati sottoposti a provino quasi mezzo milione di bambini di 13 anni per arrivare, attraverso diverse prove intermedie, ad una selezione di una ventina di individui da crescere nelle avveniristiche strutture dell’Aspire Academy di Doha, dove il governo qatariota ha raccolto molti dei migliori professionisti dello sport mondiale. Perché una piccola monarchia mediorientale ha speso centinaia di milioni di dollari per portarlo avanti? Serviva a formare una Nazionale di giocatori naturalizzati in grado di competere ai prossimi Mondiali del 2022, che si terranno proprio in Qatar? Era quindi solo una questione di orgoglio nazionale o c’erano delle ragioni economiche? L’obiettivo era entrare nel mercato della compravendita di giocatori? E soprattutto: perché improvvisamente è stato interrotto?
Nessuno è riuscito a dare delle risposte convincenti a queste domande, da una parte perché il Qatar non è mai stato trasparente a riguardo, dall’altra perché, come scrive Sebastian Abbot, “l’unica cosa più sconvolgente delle dimensioni di Football Dreams è il numero bassissimo di persone che conoscevano l’iniziativa”. Fuori casa. L’Africa, il Qatar e la costruzione delle stelle del calcio è, in questo senso, un’opera pionieristica, con un valore storico che l’allontana dall’inchiesta giornalistica vera e propria. A quelle domande, infatti, non c’è nemmeno l’ambizione di rispondere: lo sguardo di Abbot non è quasi mai diretto alle ambizioni geopolitiche ed economiche del Qatar, ma si concentra principalmente su quello che è stato Football Dreams, e cioè in primo luogo un gigantesco contenitore di storie.
Quelle di tre ragazzi che sono riusciti ad entrare nell’Aspire Academy nel 2007, in particolare, servono a ricostruire l’enorme mosaico. Attraverso di loro vediamo le desolate periferie africane (le cui descrizioni sono forse le parti più belle dell’intero libro), gli ambigui allenatori locali e le famiglie disperate, e poi il lusso delle strutture di Doha, la competizione nei tornei giovanili, le gelosie nei confronti degli allenatori, e infine il salto nel calcio professionistico, le avidità e gli inganni dei procuratori, fino al momento in cui i sogni promessi dal progetto non si disvelano per quello che sono realmente. Un contratto da professionista con un grande club per pochissimi – come Diawandou Diagne, che nel 2014 riesce a entrare nel Barcellona, anche se successivamente è tornato al KAS Eupen, la squadra belga acquistata da Aspire per facilitare l’ingresso dei suoi talenti in Europa – il fallimento e il ritorno a casa per molti altri, che rimangono imprigionati nelle proprie speranze:
Per affrontare la sua cattiva sorte, Bernard si affidava ai ricordi dei momenti trascorsi in Aspire, quando era considerato uno dei prescelti destinati a un futuro radioso. Anche nelle giornate più calde, spesso correva ad allenarsi indossando la tuta da ginnastica di Aspire blu e grigia che aveva portato con sé dall’accademia e che cercava meticolosamente di tenere pulita. Le grandi ali stampate sul dorso sembravano davvero fuori posto in un ambiente adatto a far arenare i sogni più che a farli decollare. Ma la tuta lo aiutava a distinguersi come nient’altro avrebbe potuto a quel punto della sua vita. A volte qualcuno lo fermava per strada per chiedergli se faceva parte di Aspire e lui rispondeva orgoglioso di sì.
Sembra essere proprio la consapevolezza della fragilità e dei pericoli del calcio professionistico in quanto tale a spingere Abbot ad andare oltre alla semplice ricostruzione della storia di Football Dreams attraverso il racconto delle vicende dei suoi protagonisti, per approdare a una riflessione più ampia e ambiziosa sulla drammaticità del lavoro dello scout, che è il protagonista nascosto di Fuori casa. Una nervatura del libro che appare in maniera discontinua, mettendo in pausa lo storytelling per descrivere quell’equilibrio sottilissimo tra scienza e arte che gli scout devono mantenere per arrivare ad una decisione che il più delle volte si trasformerà in una promessa non mantenuta:
Il problema fondamentale è che il calcio giovanile ad alti livelli non si amalgama bene a obiettivi di natura umanitaria. Semplicemente, ci sono troppi sogni spezzati. Ricordate, solo l’uno per cento circa dei diecimila ragazzi di tutto il sistema delle accademie inglesi finisce per guadagnarsi da vivere con il calcio. Questo significa che per ogni Diawandou ce ne sono altri 99 che finiscono come Bernard e guardano svanire il loro sogno. La tecnologia forse renderà il processo di scouting più efficiente, ma i sogni spezzati non mancheranno mai.
Anche se l’ambizione dell’autore non è sostenuta dalla scrittura, Fuori casa riesce a svelare l’illusorietà feroce della narrazione del successo su cui si basa il calcio professionistico, di cui lo scout è forse l’emblema più luminoso e al tempo stesso meno discusso. In questo senso, il peccato più grande commesso da Abbot è quello di aver lasciato solo in superficie l’universo psicologico degli scout di Football Dreams, che a volte sembra plasmare il progetto ben oltre le volontà geopolitiche del Qatar. A questo proposito è emblematica la figura di Josep Colomer, coordinatore del progetto ed ex responsabile del settore giovanile del Barcellona. Nonostante sia diventato famoso per aver “scoperto” Lionel Messi, infatti, Colomer è arrivato al Barcellona più di due anni dopo di lui e il libro alimenta il dubbio che la ricerca del “nuovo Messi”, il cui nome ritorna ossessivamente come un mantra religioso, abbia radici profonde anche nella sua storia personale. Magari indagare sulla sua ambizione, per certi versi oscura, di trovare un suo Messi in Africa avrebbe potuto donare a Fuori casa maggiore profondità. L’angoscia degli scout di non poter prevedere e controllare il futuro è uno dei temi che fa uscire il calcio professionistico da una rappresentazione esclusivamente simbolica, avvicinandolo ad una condizione esistenziale più ampia.