I l termine “ghosting” fa pensare subito all’abitudine diffusasi in rete di dare un nome (inevitabilmente inglese) a una pratica di molto antecedente all’avvento di internet. Le persone si sono sempre lasciate e abbandonate senza giri di parole, si penserà: perché farne un caso? Ma quest’osservazione rivela l’importanza della questione, se la guardiamo dal verso opposto. Se gli esseri umani hanno sempre fatto “ghosting”, cioè sono spariti all’improvviso all’interno di una relazione sentimentale, perché proprio ora hanno sentito il bisogno di dare un nome al fenomeno?
Secondo Michel Foucault, “il compito di una storia del pensiero, è definire le condizioni nelle quali l’essere umano ‘problematizza’ ciò che è, ciò che fa e il mondo in cui vive.” Detta in altre parole si tratta di comprendere perché e in che modo ciò che prima non lo era diventi problematico per una certa epoca o per una certa cultura. Uno dei segnali lampanti dell’avvenuta problematizzazione è l’invenzione di un neologismo. Nel momento in cui collettivamente nominiamo un fenomeno lo isoliamo, lo indichiamo, in un certo senso lo fondiamo. Quelle che prima erano una serie di azioni scollegate, come non rispondere al telefono, non farsi trovare in casa, evitare i soliti luoghi per non vedere più una persona, diventano tutti aspetti di un unico concetto: il ghosting. E la nascita di questo concetto è legato all’avvento dei nuovi mezzi di comunicazione.
Collegare il ghosting ai moderni mezzi di comunicazione, con particolare riguardo per dating apps e social network, non è niente di nuovo. È tanto scontato “dare la colpa ai social” che spesso si finisce a ragionare per luoghi comuni. In un pezzo di approfondimento sul tema, uscito quasi un anno fa, si leggeva per esempio: “La comunicazione online rende molto più semplice non assumersi la responsabilità delle proprie azioni. E il passaggio dal contatto intensivo al silenzio è questione di un attimo: basta chiudere il pc e alzarsi dalla scrivania o rimettere in tasca il cellulare”. Questa affermazione è illuminante, perché è talmente sbagliata da farci individuare il punto della questione: è infatti vero l’esatto contrario.
La comunicazione online rende molto più difficile sparire per davvero rispetto al passato, ed è evidente: prima non era necessario neppure chiudere il computer o rimettere in tasca il cellulare, visto che questi strumenti non esistevano. Prima della rivoluzione digitale, alle persone bastava non rispondere più al telefono fisso, scene lontanissime nel tempo che vediamo solo nei film (“dille che non ci sono!”) e, prima ancora, la cosa più difficile da ignorare doveva essere una lettera cartacea.
La comunicazione online rende molto più difficile sparire per davvero rispetto al passato.
Ma la verità è più sostanziale, infatti non è per niente facile “chiudere il pc o rimettere in tasca il cellulare”. L’esecuzione di questi presunti semplici gesti non arriva neppure vicina a descrivere la complessa intelaiatura dei nostri rapporti online e ciò che è necessario compiere per sparire completamente (e non essere più trovati).
Il nostro online-self è sparpagliato su molteplici social network e applicazioni di messaggistica istantanea e anche le relazioni più brevi si diffondono rapidamente su buona parte di queste eterotopie. A eccezione di gesti radicali, come cancellare e bloccare la persona in questione su tutte le piattaforme, è impossibile scomparire sul serio dalla vita di qualcuno (o farlo scomparire). Così, viceversa, ci ritroviamo a osservare la quotidianità virtuale di qualcuno con cui non interagiamo più. E allora la parola “ghosting” va osservata con più attenzione, va soprattutto creduta davvero: non parliamo di qualcuno che sparisce, parliamo di un fantasma. La figura del fantasma è quasi l’opposto di qualcuno che sparisce, al contrario: è un’apparizione.
Per strano che possa sembrare a coloro che non hanno seguito molto la disciplina, negli ultimi vent’anni quella del fantasma è diventata una categoria filosofica dalle pretese tutt’altro che umili. Introdotto direttamente da Derrida all’inizio degli anni novanta con i suoi scritti sull’hauntology (crasi di ontology – ontologia- e to haunt, infestare/perseguitare), ma in fondo già presente sotto mentite spoglie nel concetto di simulacro di Baudrillard, il fantasma è ciò che c’è e non c’è allo stesso tempo. Derrida parla di hauntology per descrivere una serie di idee che infestano la storia del pensiero ma delle quali è impossibile rintracciare l’origine, intrappolate in un paradosso ermeneutico che rimanda continuamente alla definizione dell’idea medesima nel processo di definizione. Sono idee fantasma, cioè presenti ma inafferrabili. Anche Mark Fisher, scrittore e agitatore culturale britannico recentemente scomparso, noto in Italia per lo più per la traduzione di Realismo Capitalista data alle stampe da Nero Edizioni, si occupò di fantasmi e scrisse un libro ancora inedito da noi (di prossima pubblicazione per minimum fax): Ghosts of my life: Writings on Hauntology, Depression and Lost Futures.
Fisher riporta sulla terra il concetto di Derrida e sostiene che l’hauntology sia il sentimento dominante della nostra epoca, qualcosa di molto vicino alla nostalgia, che viene evocato dai prodotti culturali – sia dai loro contenuti, che dalla loro stessa natura di supporti digitali. Canzoni che sembrano venire da altre epoche, telefilm che fotografano una malinconia quasi soprannaturale e un senso diffuso di depressione e di sfiducia nel futuro. Il tempo è fuori asse e i fantasmi sono tra noi, sono le nostre stesse creazioni che allo stesso tempo ci sono e non ci sono. Nel mondo dei social network, in cui il virtuale si è esteso ai rapporti umani, però, a essere fantasmi non sono più solo i prodotti culturali, ma le persone stesse.
La figura del fantasma è quasi il contrario di qualcuno che sparisce, al contrario: è un’apparizione.
Per capire meglio dobbiamo fare un passo indietro, perché questa cosa è già accaduta. Molti antropologi concordano nel sostenere che lo spiritismo è stata la prima religione dell’essere umano, un sistema di credenze che ha anticipato sia i politeismi sia i monoteismi. Nello spiritismo a tornare come spettri sono in primo luogo le generazioni precedenti, gli antenati. Ma, in quei casi in cui non sono gli antenati i fantasmi, è sempre un’altra figura a incaricarsi del ruolo di fantasma: l’amato o l’amata.
Esistono veri e propri riti atti a esorcizzare il fantasma dell’amato, il più noto è il Ghost Marriage, prassi diffusa in Sudan, che prevede il matrimonio tra una donna e il fratello del suo promesso sposo, prematuramente scomparso, affinché quest’ultimo possa riposare in pace. La pratica si ritrova anche in Cina e persino in un film italiano piuttosto recente: La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana si chiude con un Ghost Marriage tra i personaggi interpretati da Luigi Lo Cascio e Maya Sansa, che vengono uniti in matrimonio dal fantasma di Alessio Boni, fratello nel film di Lo Cascio e ex fidanzato di Sansa, morto suicida anni prima. Anche il folklore italiano è infestato da spettri di fidanzati morti, come racconta questa canzone horror del gruppo folk I Mercanti di Liquore. Tornando al cinema, i fantasmi fuori dai film dell’orrore hanno dato vita a dei cult romantici come il paradigmatico Ghost, di cui sarebbe ridondante riassumere la trama, e la sua versione dark, Il Corvo.
E se fino ad ora abbiamo parlato di narrazioni in cui l’amato è realmente morto, definire fantasmi gli ex amanti ancora in vita è un topos lirico immortale del quale non è difficile rintracciare esempi tra poesie e canzoni, dalle più antiche alle più recenti. Infatti ciò che distingue il fantasma da altre figure del soprannaturale simili che ritornano dalla morte, come il vampiro o lo zombie, è che il fantasma ha sempre un legame con chi lo vede apparire, come dimostra l’esempio classico del Canto di Natale di Dickens. In altre parole, il fantasma è sempre il fantasma di qualcuno.
I nostri fantasmi sono stati a lungo una figura del discorso, un modo di dire, oppure una narrazione soprannaturale che, in certi luoghi e in certi tempi, è stata creduta o vissuta come se fosse vera. Ma poi la tecnologia li ha fatti comparire sul serio. In una certa misura, tutto ciò che scriviamo su internet è spettrale: la presenza di qualcosa che ha parlato ma che non è più qui a parlare; come ci insegnava proprio Derrida col suo discorso sulla scrittura come traccia. La particolarità della scrittura su internet, però, è proprio una sintesi tra un dialogo e un testo. Si tratta infatti di scritture interattive: alcune praticamente in tempo reale, come la messaggistica istantanea in cui una scrittura risponde a un’altra nel giro di pochi secondi, altri differite, come le discussioni che imbastiamo sui forum o sui social network.
I fantasmi sono stati a lungo una figura del discorso, oppure una narrazione soprannaturale creduta vera. La tecnologia li ha fatti comparire sul serio.
Ma quand’è che queste scritture diventano davvero spettrali? Proprio quando non possiamo più interagirci. Caratteristica ricorrente dei fantasmi è il manifestarsi ai vivi senza che sia dia una possibilità di interazione. Sono apparizioni: presenze che occupano fugacemente lo stesso nostro spazio ma che non ci parlano e non ci ascoltano, come se fossero su un altro piano di realtà che si è precariamente sovrapposto al nostro. Proprio come il tuo ex quando appare sulla bacheca di un amico in comune: lui non ti vuole parlare, tu non vuoi parlare a lui, ma vi vedete.
Ecco di cosa parla davvero il ghosting: non di persone scomparse, ma di persone che appaiono, nonostante non ci parlino più. Fantasmi sono tutte le manifestazioni dell’altro con cui non possiamo più interagire: le sue foto su instagram, i suoi status su facebook, la sua immagine profilo di whatsapp che continua a cambiare. La generazione dei millennials ha iniziato a parlare di fantasmi non perché i loro amanti sparissero, ma proprio perché non riuscivano a farlo. È certo possibile farli sparire dalla nostra vista, la tecnologia ce lo consente. Su ogni singolo social, infatti, è possibile non solo rimuovere dalle amicizie un utente, ma “bloccarlo” del tutto, fare in modo cioè che lui non possa vedere te e tu non possa vedere lui.
Ma questo metodo, oltre a essere abbastanza estremo nella misura in cui stiamo dicendo (e questo implica una comunicazione che è opposta alla volontà di sparire) all’altro che non vogliamo più vederlo neanche per sbaglio, non risolve del tutto il problema. Se possibile, la natura spettrale dell’altro si fa ancora più grottesca e soprannaturale. Inizieremo a vedere infatti dei nostri amici che parlano da soli nelle sezioni dei commenti, il suo nome taggato in in un post ma colorato di nero solo per noi e addirittura una serie di glitch che segnalano la presenza di commenti o like che però scompaiono una volta che andiamo a controllare. Il social network infestato.
Lo spazio virtuale ha dato vita a tipi di relazioni, o di mancate relazioni, con l’altro completamente inedite nella storia dell’uomo. Pensiamo per esempio al gesto che inaugura un potenziale “ghosting”: la visualizzazione senza risposta. Un gesto che non pertiene esclusivamente alle relazioni di coppia ma si presenta in ogni relazione almeno in parte gestita tramite applicazioni di messaggistica istantanea: cioè tutte.
La generazione dei millennials ha iniziato a parlare di fantasmi non perché i loro amanti scomparissero, ma proprio perché non riuscivano a farlo.
È un tipo di interazione che l’essere umano non aveva mai provato prima: essere ascoltato in tempo più o meno reale da qualcuno e lasciato senza risposta, come se fosse un fantasma. Non c’erano medium prima della chat a rendere possibile questo (mancato) scambio psicologicamente devastante. Tanto che, nel recente passato, le chat e le applicazioni di messaggistica istantanea, come la pioneristica Msn, dotavano l’utente di strumenti per evitare di mandare certi messaggi all’altro: label come “occupato”, “assente”, “non al computer” servivano proprio a questo. L’introduzione delle cosiddette “spunte blu” e del messaggio “visualizzato” è stata un’aggressione alla psiche collettiva, che ora si trova a dover gestire delle comunicazioni in cui sa di essere ascoltata e ignorata. Cosa perfettamente comprensibile, intendiamoci: nella vita di tutti i giorni capita di leggere un messaggio, non avere tempo di rispondere e rimandare il compito a più tardi. Nondimeno la straniante interazione è avvenuta e molto del pudore che abbiamo nel discutere di queste faccende apertamente, senza minimizzare e senza ironia, deriva proprio dalla loro natura completamente inedita che non viene normata da nessuna “etichetta” condivisa.
Ma c’è di più. Esiste un vero e proprio stigma sociale sul dare troppo peso a queste cose e per queste cose intendo tutto ciò che accade online. Nonostante buona parte dei nostri rapporti sociali, dai più intimi a quelli più superficiali passando per quelli di lavoro, scorrano su uno schermo, ancora consideriamo il mondo virtuale come uno spazio ludico, effimero, fittizio, senza dubbio meno importante della “vita vera”, quella che accade fuori dallo schermo. Anche chi scrive la vede parzialmente in questo modo: per esempio le lunghe chiacchierate online annoiano presto se si ha una vita anche al di fuori, e se gli anni dell’adolescenza passati a chattare tutta la notte con l’amico di penna si allontanano. Ma non è rilevante se preferiamo incontrare qualcuno piuttosto che scrivergli al computer, perché non è tanto l’intensità che attribuiamo alle comunicazioni virtuali a fare la differenza quanto la loro diffusione nelle nostre vite, la loro pervasività intermittente nell’arco della giornata: per incontrare l’amico al bar, prima dobbiamo scrivergli.
A meno che non decidiamo di fuggire dai social network, scelta che diventa ogni giorno più estrema e impraticabile, dobbiamo imparare ad abitarli, e nessuno ha un manuale. I fantasmi che Fisher vedeva negli artefatti culturali e che il folklore delle società tradizionali proiettava nei cari defunti sono divenuti reali, e siamo noi stessi, fantasmi gli uni per gli altri. Non sono più i ricordi delle persone che appartengono al nostro passato a tenerci svegli la notte, come spettri di un altro tempo, ma la loro stessa presenza/assenza che infesta la seconda vita che passiamo dentro lo schermo.
Il ghosting segnala il punto in cui le potenzialità straordinarie del più efficace mezzo di telecomunicazione mai messo a punto dall’essere umano si rivoltano contro l’uomo stesso, aprendo uno spazio disumano nei suoi rapporti sociali. Il nostro compito sarà smettere di deridere e minimizzare la sofferenza che ci deriva da queste falle nel sistema e educarci collettivamente a vivere nel regno dei fantasmi.