C iro Fanelli è alla sua prima esperienza come romanziere: fino ad oggi è stato illustratore, fumettista, tatuatore, musicista. Ha disegnato copertine di dischi, anche per la sua etichetta, Jus Des Balles records, dedita a suoni sperimentali, e per i suoi dischi a nome Alcomongo. Le sue opere sono state pubblicate da grandi editori come Le Dernier cri, Kovra, Frigidaire, ma anche a fieri indipendenti come Lamette comics, Epoc Ero Uroi. Per un certo periodo ha organizzato il festival di fumetti Deragliamenti a Urbino. Scrive articoli per Esquire e ha tenuto su Vice una rubrica nella quale illustrava i suoi sogni: ne nacque un libro, Live Freud Die Jung. Tutte queste esperienze sembrano convergere nell’ultima sfida, che raccoglie il testimone dei migliori romanzi illustrati d’avventura in un contesto contemporaneo in cui c’è poco tempo per pensare e immaginare; proprio quando è più necessario per non farsi distruggere dalla macchina.
Nel bosco del nostro splendore di Ciro Fanelli (Rizzoli Lizard) è la storia di un ritorno a casa di un novello figliol prodigo che si trova improvvisamente lanciato dalla sua solitudine verso una situazione para-umana in cui potenze sconosciute lo manovrano, la realtà finalmente viene scoperchiata ed è incredibile, come qualcuno che per la prima volta vede il sole e pur di guardarlo si acceca. È colpa dell’entità “sacra” del libro, un micelio che si insinua nella vita del protagonista, diventando lui stesso, da invisibile, ingombrante personaggio del dramma.
Il libro è nato per il tuo amore verso la natura, o per il tuo odio verso l’umanità?
Tornando agli animali, mi piacciono molto ma non voglio umanizzarli. Nel libro, quando l’animale “parla” o ti “racconta” qualcosa non ha mai sentimenti umani, le cose che fa sono il fare degli animali. Anche se non sei un esperto basta una ricerca per scoprire che in etologia ci sono caratteri precisi di certi animali, certi comportamenti che tengono. Gli animali non fanno cose umane, anzi: per me il bello è proprio quello. Parlando di insetti – sono appassionato di entomologia, per quanto non abbia fatto studi di quel tipo – gli animali si mangiano tra di loro e generalmente partono dalla faccia. Non sono neanche così gentili come noi umani, che per abbattere un animale abbiamo l’obbligo di utilizzare il tramortitore (già la parola stessa è un po’ buffa). Io sono uno che se mi dovesse morire il gatto lo butterei nella spazzatura, non gli farei una tomba, la croce e le preghierine. C’è un passaggio molto bello dello sceneggiato Rai su Ligabue – la sceneggiatura era di Zavattini, un gigante – in cui Ligabue è nello studio di Mazzacurati che l’ha praticamente adottato, gli fornisce materiale per lavorare; e gli chiede perché disegna gli animali, perché è così attratto dalla natura. Mazzacurati gli risponde: “ma Toni tu puoi disegnare un animale, ma un animale non può disegnare te!”. Ecco, nel libro ho scritto degli animali perché evidentemente loro non possono scrivere di me.
Non è che non parlano di noi, solo per noi non è comprensibile. Le piccole cose, i piccoli dettagli che mi attirano nella natura sono importanti. Nel libro parlo di un dialogo che ho avuto con una ragazza: le stavo indicando delle piante che puoi riconoscere dalle foglie (d’inverno dalla corteccia, dal legno, dalla forma) e vedevo che lei – come la maggior parte delle persone, giustamente – non ne sapeva nulla. E mi chiedevo: ma come si può vivere senza conoscere certe cose? Ed è probabilmente fattibile, anzi forse vivi meglio. Però sono questi dettagli a fare la differenza. Più li conosci e più li vedi. Se non li conosci vivi in un mondo sterile. C’è gente che in mezzo a un bosco vede più o meno le stesse cose che vede in città. Cioè nulla. Anzi, magari provano anche fastidio, ma al di là di quello non puoi cogliere le cose in generale se non conosci quelle piccole. Per esempio quello che fanno gli insetti, l’impollinare, il mangiare i cadaveri per poi cacarli e concimare il terreno e fornire nutrimento – insomma tutto quello che è l’ecosistema – non è evidente. Quindi tornando alla tua domanda iniziale, ti direi che è un libro sulla difficoltà a relazionarsi con gli altri e la facilità e la spontaneità con cui riesco, al contrario, a relazionarmi con la natura. E, come ti ho detto prima, soprattutto con le piccole cose della natura.
La cosa che poi ritorna e che mi interessava capire è che questo romanzo è molto autobiografico. Non si capisce però bene quando inizia l’autobiografia e dove finisce il romanzo. Alla fine uno pensa che veramente tu abbia avuto un rapporto con questa creatura dei boschi… sembra che sia davvero esistita. È questo il taglio che gli hai voluto dare, quello di un romanzo “psicotropo”, più che un diario?
Quello che mi ha molto colpito è il fatto che nelle parti che uno potrebbe pensare autobiografiche c’è questo aspetto della malattia, il diabete, con il quale tu ti rapporti in maniera molto particolare, nel senso che diventa un punto di forza più che un punto debole. Ti è venuto naturale?
Quali sono stati i tuoi punti di riferimento nella scrittura? Tenevi questo progetto nel cassetto e forse nel passato avevi già provato a fare una cosa simile?
Nel libro tornano spesso riferimenti storici, biblici, mistici. Mi fa pensare che in qualche modo tu sia a tuo agio all’interno di questo mondo. Inoltre, nel libro tramite delle sostanze allucinogene naturali viene rivelata un’altra chiave di lettura della realtà. Qual è la tua esperienza con gli allucinogeni?
Per quanto riguarda la psichedelia e le sostanze: no, non mi drogo, in giovane età l’ho fatto, come tutti. O meglio, come tutti quelli che mi circondavano. È una cosa lontana anni luce da me, anzi in questo momento mi terrorizza. Però mi è rimasta la conoscenza, la passione per l’etnobotanica, l’ho anche sviluppata dopo con internet. Ci sono certe piante che fortunatamente ho scoperto da adulto perché magari uno da ragazzino poteva anche farsi male. Essendo a conoscenza delle tante – e ti assicuro che sono tante – erbe, piante, funghi allucinogeni, sembra che la natura intorno a noi sia proprio lì a suggerirci di drogarci. Suggerimento che alcuni colgono e da cui altri sono incuriositi, come me.
Quali sono state le colonne sonore di questo lavoro? Perché ho notato una certa ispirazione musicale, anche all’interno delle illustrazioni. Mi ha ricordato delle cose dei Residents, anche a livello di immaginario. Ti ha influenzato anche nella narrazione quel tipo di musica? L’ho trovato un libro molto visionario ma collegato a una tradizione di input psichedelici e sonori che si ritrova anche nella cultura pop disneyana. Come hai impostato la ricerca multimediale su questa faccenda?
A prescindere da questo: come è nata l’idea?
È un libro che parla della morte, della vita, del sesso (nel libro abbondano le metafore sessuali); dell’andare oltre la vita e la morte, avere un rapporto con la terza dimensione, con le forze oscure e quelle nascoste, anche non oscure, che ci circondano. Esoterico, animista.
Illustrazioni di Ciro Fanelli.