Massimo Sandal (La Spezia, 1981) è stato ricercatore in biologia molecolare, specializzato in dinamica delle proteine. Ha conseguito un dottorato in biofisica sperimentale a Bologna e uno in biologia computazionale ad Aquisgrana, dove vive tuttora. Collabora con Le Scienze, Wired e altre testate.
Tra le mirabili invenzioni delle piante c’è il seme, un nucleo denso di nutrienti e informazione genetica, capace di rimanere sopito anche per anni per poi, se le condizioni sono ben allineate, germinare: una goccia di senso che si srotola in rami, foglie, fiori. Alle piante inoltre piace essere ibride, ovvero creare identità nuove miscelando genetiche lontane. Mirabilia di Renato Bruni (Codice, 2018) è questo, un libro di semi e di ibridi. Bruni, docente all’Università di Parma, si è ritagliato il ruolo di narratore del mondo vegetale in Italia già con due libri precedenti, Erba volant (Codice, 2015) e Le piante son brutte bestie (Codice, 2017). Ruolo ingrato e necessario, visto che ahinoi i vegetali, salvo si tratti di ingredienti da cucina, sono le eterne Cenerentole delle divulgazioni biologiche, in cui dominano inevitabilmente gli animali.
Mirabilia è precisamente così: una serie di semi da cui germogliano discorsi. Botanici, sì, in senso stretto, ma da cui traspaiono realtà che sono chiave generale della biologia e del nostro rapporto con i viventi. E in cui si incrociano due discipline – banale ma inevitabile dirlo – ancora troppo spesso separate da un fossato, ovvero la scienza e l’arte. Due discipline il cui scopo è esteriormente diversissimo, ma profondamente uguale, e Bruni lo dichiara esplicitamente nelle prime pagine del libro:
Secondo molti l’arte vera serve a innalzare il nostro spirito, farci ridere, piangere o arrabbiare, turbare o renderci felici. Ci mette in comunicazione con qualcosa che sta fuori dal nostro cortile, ovvero un mondo in cui noi uomini non siamo poi così importanti. In un certo senso è la stessa cosa che dovrebbe fare la scienza.
Sono opere d’arte infatti i semi del giardino di Mirabilia: quadri o sculture, che spaziano dalla paleolitica venere di Willendorf a Banksy, passando per Dürer e Schwitters, Grünewald e Warhol. In una mostra virtuale (l’autore mi dice che non ci sono ancora piani per renderla reale, ed è un peccato), in cui ogni opera non è punto d’arrivo, ma di partenza per un percorso scientifico nel mondo delle piante. Un’idea utile, in quest’epoca in cui la scienza viene svilita come mero debunking o come facile infotainment: un taglio trasversale che non ha paura di abbracciare discipline remote, dove semplice non vuol dire banalizzato. E in cui la scienza non parla dall’alto, né dal basso. Come una guida, invece, che cammina in mezzo a noi per rivelare quello che non sapremmo vedere, chiedendole di aprirci un mondo che abbiamo finora solo immaginato od osservato distrattamente. Vivendo non al di sopra di noi, ma con noi la nostra stessa esperienza: si stanca con noi, fa le scale con noi, ha fame con noi, mentre ci accompagna per una via che conosce e ci racconta una storia per lui nota, per noi nuova, che racconteremo anche a chi non c’era.
Mirabilia tiene fede al suo carattere di Wunderkammer anche nella scelta dei temi scientifici. Si va dagli strati di conflitto e collaborazione che governano la convivenza tra le erbe in un prato alla difficile possibilità di coltivare ortaggi nello spazio; dalla costruzione dei miti sull’assenzio al sogno di usare alberi di eucalipto per una improbabile strategia vegetale alle miniere d’oro. Una ruota di temi che può sembrare nevrotica e slegata, ma che in realtà ha lo scopo di farci capire che le nostre compagne apparentemente silenziose e immobili brulicano di conflitti, complessità, soluzioni evolutive poco note e non meno geniali di quelle del mondo animale. Una botanica diversa dal solito, con l’intento di fondo di raccontare l’esistenza di una botanica moderna, che non è solo la polverosa sistematica ma neanche quella misticheggiante che va molto di recente.
Per capire come la botanica in Bruni diventi un oblò aperto sulle dinamiche della scienza Mirabilia, in uno dei suoi migliori capitoli, parla di erbari. Che cadono in declino in quanto antiquariato di una scienza polverosa e superficiale che si limita a raccogliere e non a produrre innovazione sfruttabile economicamente o papers scientificigonfi di scoperte esagitate, e rinascono come un esempio di big data da preservare e in cui scavare con tecniche moderne. Gli erbari diventano quindi proprio il paradigma di una botanica contemporanea in cui collezioni antiche vengono rivisitate per ricavarne indizi del passato: dai livelli di anidride carbonica all’inizio della Rivoluzione Industriale preservati negli erbari tropicali di fine Diciottesimo secolo, allo studio delle dinamiche di specie invasive e parassiti, e addirittura alla resurrezione di specie estinte di piante grazie a semi rimasti in erbari di 140 anni fa. È rinfrescante come Bruni, fin dal primo capitolo, ci chieda di non trarre facili narrative o paralleli antropomorfici dai fenomeni naturali che descrive. Le piante sono il loro proprio universo, ed è questo che le rende degne di studio e ammirazione, non la pretesa di trarre lezioni dalla natura.
Mirabilia è un libro che si spera faccia da apripista, nel panorama della scrittura scientifica italiana (che qui non voglio chiamare divulgazione, in quanto non c’è nessun volgo): al di là della scrittura spesso brillante e dell’incontro tra scienze e arti c’è anche il piacere di un libro curato nell’estetica e nella forma, che non è solo bello nei contenuti ma ben formato, sappiamo come sia necessario per chi è un po’ bibliofilo ricevere un bell’oggetto. Resta solo una piccola, e forse idiosincratica, mancanza. Avrei forse voluto un libro in cui il seme dell’arte e la pianta della scienza che ne deriva fossero intrecciati più fermamente, in cui si vada dall’opera alla scienza e ritorno. Questo accade nel capitolo sull’ergot, in cui si parte dalle creature mostruose dipinte da Matthias Grünewald nelle Tentazioni di Sant’Antonio per raccontare delle intossicazioni allucinogene che diventavano segni divini nell’Europa centrale del medioevo. O nel capitolo in cui L’assenzio di Degas è il punto di partenza per raccontare ascesa, caduta e miti di una bevanda che fu simbolo di un’epoca. Altre volte, quando il legame è più tenue, c’è invece la sensazione che l’opera d’arte sia una sorta di pretesto o metafora che viene rapidamente lasciata indietro. È un peccato veniale: Mirabilia è una pianta che nasce da molti semi, e a sua volta genererà altri semi. Dietro Mirabilia si intravede il germe di un altro libro, e non smetto di sperare che Renato Bruni possa, un giorno, regalarcelo.