Marco Taddei è scrittore e sceneggiatore di
fumetti. È autore con Simone Angelini di Anubi,
Horus, Enrico e Quattro vecchi di merda
(Coconino Press) e di Malloy e Storie brevi e
senza pietà (Panini Comics). Ha scritto La Nave
dei Folli, edito da Orecchio Acerbo, con le
illustrazioni di Michele Rocchetti. I suoi articoli
sono stati pubblicati da Date HUB e The
Towner. Le sue storie sono apparse su testate tra cui Linus, Vieni verso il
Municipio, B-Comics.
U
na stella in cielo interroga una voce in terra. La voce risponde, e inizia un racconto. Una sacerdotessa attraversa il bosco, infuocata dall’ira. Bezimena, il cui nome vuole dire proprio “senza nome”, nella sua tunica nera orlata di bianco, è stesa in riva a uno stagno, sull’erba soffice, in una pace estatica. La sacerdotessa, trovata Bezimena in quell’abbandono, si inginocchia accanto a lei e le urla parole di dolore nelle orecchie intorpidite dal godimento della distanza. Bezimena, che ha forza non solo nel cuore, senza esprimere una sola emozione, gli prende la testa e la immerge nello specchio d’acqua. E in quel momento la sacerdotessa cessa di esistere e la sua essenza vitale si travasa nel corpo di un bambino, appena nato, ancora avvolto nella placenta. Ed è qui che inizia una storia.
Come direbbe James Hillman, ogni uomo ha un destino, e il destino di Benny, questo il nome del bambino, sembra inciso nei suoi occhi tersi come un lago. I suoi genitori fanno i conciatori, lavorano le pelli di animali. Anche lui è attratto dalla pelle, quella candida di una sua compagna di classe. Una pelle così candida che a questa compagna di nome Becky hanno dato il soprannome di La Bianca. La pelle candida di Becky è un richiamo troppo forte per il daimon, per dirla ancora con Hillman, di Benny, e il ragazzino prende a smanacciarsi pensando a quella pura superficie a malapena nascosta dall’uniforme scolastica. Benny cresce tra le punizioni corporali degli insegnanti e l’imbarazzo dei genitori. Passa le notti legato al letto, le mani bloccate perché non possano sfogare quel richiamo che forze superiori gli avevano immerso nel cuore, che già pian piano si avviava su di un sentiero oscuro.
“Il bambino bizzarro divenne un ragazzo ancora più bizzarro” e il seme del bambino fiorì in un adulto inquietante. Ora Benny è uno dei custodi dello zoo. Passa la ramazza nel rettilario, luogo in cui gli animali non camminano ma strisciano. Un giorno, riempiendo il secchio per dare di ramazza sul pavimento del rettilario, vede, o gli sembra di vedere, Becky la Bianca. È con un’amica. Ha un quadernino in mano, ci sta disegnando sopra. Benny non può crederci. Becky lascia, o dimentica, il quadernino sul muretto della gabbia degli orsi bianchi e si allontana. Benny trema, quell’antico amore, riaffiorato, ravviva i contorni della sua sopita ossessione. La segue, anzi la insegue, cercando di restituirle il quaderno, ma Becky è imprendibile. Benny, alla fine della corsa, raggiunge una grande villa, dove, assistito da una misteriosa fortuna, attraverso una finestra, può godersi lo spettacolo incantevole di Becky che fa un bagno. La vede finalmente nuda e i suoi istinti lo travolgono. Tornato nel suo rifugio, rammenta di avere nella tasca della giacca il taccuino della ragazza. Contiene fantasie sessuali, proiezioni parafiliache, progetti di sesso forzato. Che sia un messaggio per lui? Lo è, Benny è sicuro. Becky gli sta chiedendo, lo sta implorando anzi, di stuprarla.
Questo romanzo per immagini ha l’eleganza vibrante ma accorta di un addetto delle pompe funebri. Non è esattamente un fumetto, anche se il racconto si succede diviso in vignette, scandito in balloon. È un susseguirsi di fotostatiche che ora documentano, ora interpretano gli eventi snocciolati dal cantastorie alla sua stella, che continuamente ci ricorda di essere la padrona del racconto, in quanto paziente ascoltatrice. La parola greca per “stella” è aster, ma sidera, che in greco antico vuole dire letteralmente “che viene da lontano, dalle stelle”, è una parola che ha dato origine in italiano al termine “desiderio”. Ogni desiderio è una stella che palpita, e quel palpitare è forse un segnale, un codice morse dell’iperuranio, che tradotto potrebbe essere un monologo, un distillato del pensiero divino.
Tutto si svela dopo, al di fuori del fumetto, nella coraggiosissima coda scritta di suo pugno dall’autrice.
Come le stelle, ogni essere umano si muove spinto da un desiderio, ogni uomo è un desiderio. Il cattivo seme (sempre Hillman) di Benny, inteso anche come eiaculazione morbosa, impropria e violenta, è desiderio di possedere una purezza che gli è stata rifiutata e che non gli spetta. Il cattivo seme se lo porta via, una barchetta di carta in un grande mare dei sargassi, in una discesa all’inferno che per lui comincerà con la convinzione che il quaderno che ha trovato sia un messaggio esplicito rivolto a sé e al suo sesso iperattivo. I capitoli di Bezimena (Rizzoli Lizard) sono separati da pagine nere, vuote, che trasformano la storia in un’emorragia di eventi che non lasciano spazio a commenti. La vicenda si svolge seguendo i ritmi stringati della cronaca, ma ogni tanto il racconto si distacca da sé e si apre in morbose visioni, che sembrano ora sogni, ora visioni, comunque ossessioni, del giovane Benny che scivola in una trappola da lui stesso architettata.
Nina Bunjevac, con una forza incredibile, doma e seduce con i reticolati fittissimi disegnati dal suo pennino. La china scolpisce volumi perfetti, come nel suo precedente Fatherland, donando luci ed ombre a ciò che è mera base per altezza. Il foglio vive di organi sessuali turgidi, di palpitazioni, di affanni, di penetrazioni e di occhi penetranti, che sono lo specchio dell’anima di un personaggio come Benny, di cui condividiamo tutto, l’ingenuità come la follia, giacché l’autrice serbo-canadese sceglie di guardare le cose dal suo punto di vista, evitando la facile demonizzazione dello stupratore. Così scopriamo un lato più oscuro dell’atto di violenza, che appare ora come abominevole scherzo del destino ora come un frutto malato di una mente supersessuale, afflitta innanzitutto da un eccesso di egotismo. La vita di un misero sguattero di uno zoo,non è attraente per nessuno, ma Benny diventa una specie di eroe del suo universo quando, seguendo le presunte istruzioni di Becky, soddisfa nottetempo, sotto gli agguati sempre più sottili della fosca luce lunare, le manie della sua pallida seduttrice. Il quadro che ci rappresenta freddamente la Bunjevac, un’anatomia come avverte il sottotitolo, è avvolto dal mistero. E il suo significato è un enigma che però non lascia scampo.
Nel finale tutto si chiude. Benny avrà modo di osservare il baratro molto da vicino e Bezimena farà in modo che la sacerdotessa non interrompa più le sue meditazioni. La stella compirà il suo racconto. Tutto si svela dopo, al di fuori del fumetto, nella coraggiosissima coda scritta di suo pugno dall’autrice. Nella poche, sincere ed affrante, pagine di questo malinconico memorandum, la Bunjevac descrive di essere stata la vittima, pur satellitare, di uno squallido circuito di prostituzione minorile quando frequentava la scuola in Serbia; e successivamente, dopo l’abbandono della madrepatria per sottrarsi all’avanzare della corruzione di quella che sarebbe stata la tragica Serbia di Milosevic, ad adescarla in Canada e cercare di sopraffarla sarebbe stato un uomo in cui malauguratamente aveva riposto la sua fiducia.
Come accennato sopra, siamo di fronte ad un enigma. La storia di Bezimena e della sacerdotessa è un calco, meravigliosamente adottato, di una vicenda del mito vedico, dove il ruolo di Bezimena è interpretato da Visnu. La parabola viene usata per rappresentare l’illusione di tutte le cose e per instaurare le giuste proporzioni nella vita di ognuno di noi. Quando la sacerdotessa cessa di essere Benny e torna alla sua vita normale, Bezimena, con la sua testa fradicia e spaesata tra le mani, gli chiede sfacciatamente “Per chi stavi piangendo?”. Il mondo è solo illusione, in fondo tutte le cose non esistono e niente davvero importa. I templi possono bruciare, il nostro nome può essere dileggiato e oltraggiato dal nemico, ma niente davvero importa. Nell’illusione di tutte le cose, ricadono sia le vicende di Bezimena, sia quelle più crude del carnefice Benny e della vittima Becky (o chi per lei). Anche la vetta di sofferenza, anche l’apice di dolore di una violenza va messo nel giusto luogo, nel giusto scompartimento, adagiato come un uovo nel nido, per essere liberi di disporre comunque della nostra vita, che in fondo è fuggevole come gli anelli sulla superficie di uno stagno durante un temporale estivo.