I niziai a pensare con insistenza che Michele era bello e intelligente, che parlava e camminava nella maniera migliore possibile, che era un dono, che era una forza e una dolcezza, che insomma era la stella del mio cuore”. È la voce di Giulia, protagonista del romanzo Lealtà, ma modificando il nome dell’amato potrebbero essere parole di Maria in Maestoso è l’abbandono o di Giada, eroina di Guasti. Tre romanzi del 2018 di autrici italiane che appartengono alla stessa generazione di trenta-quarantenni, tre protagoniste che vivono, in storie diverse, una comune esperienza: l’ossessione amorosa.
Giulia comincia a considerare Michele come “la stella del suo cuore” qualche ora dopo il loro primo appuntamento. Si sono conosciuti all’Università, lui era stato invitato per tenere una conferenza a partire da un libro divulgativo che aveva scritto sulla finanza, lei è giovane, bella e fa le domande più interessanti. Così Michele le lascia il suo biglietto da visita e si incontrano per un caffè. Senza che Giulia abbia modo in quel tempo al bar, non certo di conoscere, ma neanche di farsi un’idea di come sia l’uomo di vent’anni più di lei per cui prova attrazione sessuale, lui è già diventato la direzione, il centro e lo sconfinamento dei pensieri della ragazza. Del resto: “l’ossessione amorosa si basa su una fede di tipo religioso: nulla può essere messo in dubbio, la mente passa in secondo piano, subentrano i guardiani della sacralità, la sacralità della passione”. L’ossessione amorosa è un credo, scrive Pezzali, e come tale, per definizione, non si deve basare sui fatti, ma al contrario sull’adesione totale a un’immagine della realtà tutta e solo compresa nella mente di chi la genera.
L’autonomia dell’oggetto di un’ossessione amorosa rispetto alla persona fisica in cui si incarna assomiglia alla relazione arbitraria che esiste tra significato e significante: non c’è una sola ragione logica per cui “sedia” indichi l’oggetto “sedia”, e del suo nome la sedia si disinteressa. Nel tempo in cui i due si frequentano, Giulia a sua volta si disinteresserà della vita reale del beneamato, della sua condizione di uomo sposato, della necessità che egli ha di nascondere quella relazione adultera e per questo della difficoltà di essere contattato al telefono, senza sosta. Questo distacco dal Michele che esiste, dalla verità dell’oggetto d’amore è tale da comprendere anche il sentimento che lui prova per Giulia: non importa se la riama, anzi. Giulia si allontana proprio nel momento in cui l’uomo le dimostra il suo attaccamento: “a un certo punto della relazione Michele lasciò cadere ogni difesa e mostrò senza limitarsi il proprio innamoramento, tanto che mi spaventai. Mi rifugiai negli impegni dell’università”.
Nel romanzo di Pezzali l’ossessione amorosa si configura come una scelta del tutto egoica, la decisione della protagonista di invadere Michele di decine e decine di messaggi ogni giorno e di occupare la propria esistenza col pensiero di lui. Tale horror vacui può trovare una giustificazione nella condizione di orfanità di Giulia, già nata senza padre, deceduto prima del parto, e rimasta orfana di madre intorno ai trent’anni:
non c’è nulla che l’essere umano detesti di più dell’assenza di significato. Eppure succede spesso di essere vuoti, e la fatica di tenere duro si accumula, la tensione ogni tanto lascia spazio al pianto e al gelo. In questo caso innamorarsi può essere utile.
Quando capita a Maria, protagonista del romanzo di Sara Gamberini Maestoso è l’abbandono, di innamorarsi di Lorenzo, di certo si trova in una situazione di assenza di senso: “Lorenzo mi ha invitato a cena, erano giorni di nichilismo spietato per me, dopo il suo invito ho ripreso a credere a tutto”. Prima la sua vita ruotava intorno al dottor Lisi, l’analista che “si riconosceva in tutte le persone di cui gli parlavo, quando gli raccontai di un litigio con l’assicuratore, constatò che dietro a quel signore si nascondeva lui”. In questo contesto Maria inaugura la sua ossessione amorosa per il collega libraio: “mi ha parlato la prima volta il 9 gennaio, mi ha detto le sistemi tu le novità? Poi ha finto di spararmi con il dito, facendo l’occhiolino. Ho annuito e mi sono chiusa in bagno per sorridere in pace. Il cuore batteva sul collo e sulle tempie”.
Nulla di esotico, anzi, il prototipico batticuore della prima interazione con il proprio beneamato. Il fatto è che prima di questo scambio, non particolarmente significativo dal punto di vista sentimentale, Maria aveva scritto a Lorenzo “una lettera lunga tre fogli, ho provato a tagliare delle parti ma avevo paura che non si capisse più che l’amavo”. Non deve essere facile infatti spiegare in sintesi un amore che non ha ragioni a cui appigliarsi, non un comportamento o una visione del mondo che Lorenzo può avere comunicato a Maria, stregandola, perché quando lei sa già di amarlo, i due non si sono ancora mai rivolti la parola.
Come la protagonista di Lealtà, anche Maria infatti chiede a Lorenzo di essere tutto il senso che manca alla sua vita, ma i due personaggi maschili sono diversi: Michele cerca di accogliere, fin dove gli è possibile, l’ossessione di Giulia, forse a causa della differenza di età o perché ha compassione per la storia della ragazza, Lorenzo è sfuggente:
Lorenzo mi scriveva raramente, a volte mi mandava una serie di emoticon che io ingrandivo e interpretavo per ore. Una scarpa, una rana, un biberon, gli applausi, un cuore. Oppure una cacca, un fumetto, una linguaccia.
Maria lo aspetta: aspetta di fargli capire i suoi sentimenti, rispetta i suoi tempi di uomo ferito da un’altra donna, ma quando lui finalmente inizia a esternare il suo interesse per lei, anche Maria dimostra che Lorenzo è pur sempre solo il fulcro di un’ossessione, che è autarchica: “Lorenzo mi ha mandato un messaggio, ha scritto sei così bella. Bianca l’ha preso come un segnale inequivocabile […] Prima di addormentarmi mi chiedevo se lo amavo ancora”. Neanche per Maria conta più di tutto che la persona di Lorenzo reagisca corrispondendola, ciò che è importante davvero è che resista come contenitore-bersaglio della sua ossessione.
Sventurata, allora, la sorte dei destinatari di un amore ossessivo. Seppur, è vero, che Michele e Lorenzo godono i fasti di un’adorazione immotivata, sono anche dei malcapitati, perché restano non visti, ridotti alla funzione di distogliere da sé le due donne, la cui scelta di riversare proprio su di loro un tale tsunami sentimentale è per lo più casuale.
Il romanzo di Giorgia Tribuiani, Guasti, mostra proprio, attraverso la narrazione di una situazione eccessiva, quanto sia superflua la realtà dell’uomo che incarna l’oggetto d’amore: il fotografo da cui Giada è ossessionata sta impalato, plastinato in un museo, mostra tutti i suoi tendini e il suo cranio deforme: è morto. Lei acquista ogni giorno il biglietto dell’esposizione per essergli accanto. Ciò che ci permette di comprendere che quello di Giada non è il lutto inconsolabile di una donna innamoratissima, ma la sua ossessione per quest’uomo, sono le sue stesse parole:
lo amava molto.Non è solo questo. La mia vita intera ruotava intorno a lui e neppure la morte ha cambiato le cose: almeno finché non ho trovato.
Un nuovo amore?
Ho paura a dirlo. Ho paura di scoprire che non si tratti di amore, ma di un’altra dipendenza.
Delle tre donne ossessionate dal loro oggetto d’amore, protagoniste dei romanzi analizzati, Giada è l’unica a esprimere la consapevolezza di avere proiettato nel suo desiderio totalizzante dell’altro la ricerca di senso della sua esistenza, tanto che può passare a un altro bersaglio amoroso senza soluzione di continuità, mentre quando immagina di liberarsi della sua ossessione, immediatamente realizza: “stavolta è a me che penso e solo a me, per la prima volta della mia vita”.
La ricerca di senso attraverso l’Altro che le tre protagoniste perseguono, pur negandola, non cambia la matematica della realtà: interamente proiettate verso l’Altro, queste donne restano concentrate esclusivamente su loro stesse, anche se lo fanno proprio con l’obbiettivo di sottrarvisi, così nelle relazioni che intessono sono sole. Da notare che nei romanzi questa mancanza di reale dualità è rappresentata dall’assenza di marche del dialogo attraverso la punteggiatura: è tutto uno scorrere indefinito tra pensieri propri e parole condivise.
L’assoluta mancanza di segni di punteggiatura a segnalare le interazioni è propria in particolare dei romanzi di Gamberini e di Tribuiani, che sono due esordi e forse per questo indulgono maggiormente nella dimenticanza che il romanzo stesso è una forma dialogo, con la lettrice e il lettore, e in effetti in questi due libri si resta un po’ affollati dai drammi psicologici delle protagoniste. Più in generale, anche nel romanzo di Pezzali quindi, si nota tra le scrittrici e le eroine un’assenza di distacco, che avrebbe forse, invece, generato lo spazio per chi legge, in cui porsi. Come se le autrici aderissero, a mo’ delle loro eroine, al terrore del vuoto, che infatti non trova rappresentazione nelle tre storie e che invece sarebbe punto di partenza necessario, per esempio per fare agire e dare rilevanza ai personaggi. Il vuoto è la condizione preliminare per creare spazio all’Altro, che esiste anche se ossessivamente tentiamo di negarlo.