S econdo Marshall McLuhan l’invenzione della stampa a caratteri mobili rappresenta il compimento del passaggio da una cultura di tipo orale a quella alfabetica. Stampati a prezzo inferiori e su larga scala, i libri diventavano a tutti gli effetti beni di consumo, accessibili (a chi poteva permetterseli) e pronti a circolare sul mercato. Da quel momento ogni forma di conoscenza scritta diventava replicabile in modo veloce ed economico, creando un mercato internazionale prima inesistente: il mercato dei libri.
Guardare ai libri pubblicati negli anni seguenti l’invenzione offre una prospettiva inedita sullo spirito del tempo, capace di restituirci la fotografia di una cultura e di una società custodite nel nostro passato. Tracciare questa storia però non è stato impresa semplice, almeno fino ad ora. Immaginate un’indagine sul mercato editoriale del Rinascimento che vi permetta di capire quali erano i libri più letti nella seconda metà del XV in Europa. In mancanza di dati diremmo che la Bibbia di Gutenberg, il primo libro stampato utilizzando questa nuova tecnologia, dominasse la classifica dei bestseller del tempo. Questa era infatti l’idea più diffusa, fino a quando un team di ricercatori dell’Università di Oxford ha analizzato un documento che offre un’altra lettura dei fatti. Per capirne la portata però, serve capire come siamo arrivati fino a qui.
Il più antico libro mai stampato è il Sutra del Diamante, un testo buddhista le cui sezioni formano un rotolo lungo più di cinque metri, conservato alla British Library di Londra. La data di pubblicazione riportata sul colophon corrisponde all’11 maggio 868, oltre un millennio prima della sua scoperta, avvenuta solo nel 1907 a opera di Aurel Stein. L’archeologo di origine ungherese trovò il testo nelle grotte di Mogao, un sistema di 492 templi scavati all’interno di una rupe a circa 25 chilometri dall’attuale Dunhuang, città della provincia cinese del Gansu. Dunhuang – che significa “faro scintillante” – era l’ultima oasi che i viaggiatori diretti verso Occidente trovavano prima del grande bivio che precede il deserto di Taklamakan sulla Via della Seta. Giungendovi da ovest ci si trovava di fronte ai due forti della città, la porta di Giada e il passo Yangguan; avvistarli significava lasciarsi alle spalle la parte più dura del viaggio, quella che conduceva mercanti e missionari del Vecchio Continente fino alle porte dell’impero cinese. In luoghi come questo, merci e invenzioni ancora sconosciute si lasciavano alle spalle la cultura che le aveva concepite e imboccavano la strada che le trasportava dall’altro capo del mondo.
Eppure le quattro grandi invenzioni della Cina antica – la carta, la stampa, la bussola e la polvere da sparo – hanno impiegato secoli per diffondersi nel resto del mondo. La storia della stampa ne è un esempio. I più antichi tentativi di utilizzare questa nuova tecnologia risalgono al terzo secolo dopo Cristo, quando in Cina vengono utilizzati dei blocchi di legno per stampare sui tessuti. Il metodo utilizzato era simile alla xilografia, l’incisione in rilievo su una tavola di legno da cui venivano poi asportate le parti che non sarebbero state bagnate dall’inchiostro. Immagini e testi potevano venire impressi in una sola volta su una superficie in grado di assorbire il colore, ma per ogni piccolo cambiamento c’era bisogno di modificare l’intera tavola di stampa. Nel Vecchio Continente la xilografia venne importata dalla Cina intorno al 1300, ma per la riproduzione dei primi testi occorre attendere fino al 1430 circa, pochi anni prima della pubblicazione della Bibbia di Gutenberg.
Le prime evidenze di questo tipo di stampa risalgono addirittura al 220 d.C., ma per secoli venne utilizzata solo per i tessuti. Anche la carta esisteva già dal secondo secolo d. C. – come dimostrato da un altro storico ritrovamento avvenuto sempre a Dunhuang nel 1987 – tuttavia verrà usata per stampare solo centinaia d’anni più tardi.
La stampa con i blocchi di legno era poco efficiente e non permetteva di stampare testi diversi senza aumentare la mole di lavoro, come era invece possibile con la stampa a caratteri mobili. Bisognerà attendere altri quattrocento anni per vederli comparire, stavolta in Corea, nonostante i cinesi ne reclamino ancora la paternità. La novità in questo caso consisteva nella possibilità di riutilizzare gli stessi caratteri per pagine diverse, diminuendo i costi e i tempi di produzione. Eppure, nonostante la stampa a caratteri mobili venisse già utilizzata in Asia – come testimoniato da missionari e da mercanti che si erano spinti fino all’Estremo Oriente –, non aveva ancora penetrato il mercato europeo.
Questo ritardo nella diffusione ci dà un primo indizio del fatto che il successo commerciale, cioè la sua capacità di intercettare le necessità di un mercato, sia l’unico modo di determinare l’importanza di una nuova tecnologia: un’invenzione non è una rivoluzione, ma solo l’inizio di un viaggio, spesso lungo le stesse rotte commerciali che l’hanno ignorata per secoli. Le vie commerciali che univano l’Asia all’Europa non sono bastate a diffondere una tecnologia che esisteva da secoli. Le strade che avevano condotto Stein a Dunhuang erano le antiche rotte commerciali utilizzate secoli prima da Marco Polo, esploratore, scrittore e mercante veneziano. Esplorazione e commercio, due dei principali motori delle grandi scoperte umane, hanno fatto di questa città un luogo simbolo della contaminazione culturale che ha reso possibile una delle rivoluzioni fondamentali per la nostra storia, quella determinata dall’invenzione della stampa. E nonostante la carta e la stampa a caratteri mobili si trovassero in uno degli snodi principali della Via della Seta, proprio Cina e Corea furono tra gli ultimi paesi ad adottare questo tipo di tecnologia.
In Europa fino alla seconda metà del XV secolo i libri venivano ancora scritti a mano. In diverse città erano comparsi da tempo i primi negozi che producevano libri in modo artigianale, in particolare per le esigenze delle nascenti università, ma non esisteva un vero a proprio mercato dei libri. La scarsa alfabetizzazione della popolazione e il costo elevato dei libri non avevano permesso lo sviluppo di un mercato di grandi proporzioni. Fino all’alto Medioevo le copie dei libri venivano create nelle scriptoria, le officine annesse ai monasteri dove gli amanuensi trascrivevano i testi alimentando la crescente industria della copia. Il Cinquecento invece ha visto comparire le prime botteghe dei cartolai. Il Rinascimento aveva infatti aumentato la domanda di libri, un consumo un tempo dominato dagli ambienti ecclesiastici ma gradualmente diventato appannaggio della parte laica della società, in particolare nobili e borghesi: possedere libri era un segno di potere ed emancipazione culturale. Essendo l’unico medium allora a disposizione, i manoscritti erano l’unica fonte di conoscenza accessibile oltre alla tradizione orale. La copiatura dei testi e i materiali utilizzati costituivano delle barriere economiche insormontabili per una larga fascia di persone.
Nel 1455 Johannes Gutenberg utilizzò la stampa a caratteri mobili per pubblicare 180 copie della Bibbia, facendo partire da Mainz una delle rivoluzioni tecnologiche più importanti per la cultura occidentale, legata in modo indissolubile alla storia cristiana del Vecchio Continente. “Das Werk der Bücher” – il lavoro dei libri, come lo chiamava il suo inventore – aprì la strada alla tipografia moderna. La portata storica di questi due avvenimenti – l’avvento della stampa a caratteri mobili in Europa e la seguente riforma protestante – ha consolidato l’idea che il libro più stampato e diffuso fosse la Bibbia, e che il suo sviluppo non fosse altro che il dipanarsi dell’intreccio tra queste due rivoluzioni culturali nella seconda metà del Quattrocento. Questa era l’idea dominante, fino a quando un gruppo di ricercatori formato nel 2014 e guidato dall’italiana Cristina Dondi ha scoperto che l’impatto della stampa a caratteri mobili sulla società europea aveva radici diverse da quelle religiose.
Arriviamo così al progetto 15cBooktrade, che nasce nella Facoltà di Lingue e Letteratura Medievale e Moderna dell’Università di Oxford e ha coinvolto oltre 360 biblioteche sparse in paesi diversi. L’idea alla base è semplice: tracciare il percorso dei libri nello spazio e nel tempo, raccogliendo anche i vari passaggi di mano dopo la vendita, in un enorme database digitale. In questo modo si è potuti risalire al movimento di ogni singolo volume nel tempo, disegnando una mappa che vede i nomi dei proprietari comparire accanto a città e date diverse. Visualizzando la mappa degli spostamenti avvenuti nel tempo è stato possibile evidenziare la diffusione delle idee che contenevano. “Ogni libro racconta una storia che va al di là delle parole che contiene,” afferma Dondi: “è la storia delle persone che l’hanno usato, delle annotazioni che vi sono state scritte e dei disegni lasciati ai margini del testo. E se un libro racconta una storia, migliaia di libri fanno la Storia.”
Finanziata dall’European Research Council, 15cBooktrade è diventata un piccolo fenomeno culturale i cui risultati sono stati esposti – utilizzando strumenti e supporti digitali – in una mostra al Museo Correr e alla Biblioteca Marciana di Venezia. Il digitale è il vero motore del progetto, che ha permesso di velocizzare la raccolta e la condivisione dei dati tra le varie biblioteche, insieme, ovviamente, al lavoro di catalogazione e interpretazione delle annotazioni scritte a mano, che richiede competenze molto specializzate di storia della scrittura a mano del passato. Insomma un incontro tra la ricerca storica e le digital humanities.
La chiave di volta del progetto è la figura di Francesco de Madiis, un venditore di libri veneziano del XV secolo, proprietario del volume che ha posto le basi dell’intera ricerca, il Zornale (in veneziano “giornale”, qui inteso come il registro dove giornalmente venivano annotati titolo, prezzo e acquirente dei libri venduti). Il Zornale di de Madiis è un documento unico nel suo genere: raccoglie gli oltre 25.000 incunanbula – i primi libri, stampati fino al 1501 – venduti dal commerciante nella sua libreria di Rialto tra il 1484 e il 1488. Questo reperto storico ha permesso di capire quali fossero i libri più letti, a che prezzo venissero venduti e chi fossero gli acquirenti. Un salterio per bambini (la raccolta di salmi e frasi per imparare a leggere utilizzato all’epoca) ad esempio costava in media quattro soldi, tanto quanto una gallina. Nella Venezia del XV secolo i libri potevano essere scambiati con olio e zenzero, prodotti che venivano venduti usando le stesse rotte commerciali.
La diffusione e la circolazione dei libri ne testimonia il successo e la conseguente rilevanza culturale, offrendo una lettura storica basata sui dati di vendita. Stampare era prima di tutto un’enorme opportunità commerciale e i libri più venduti non erano le bibbie, ma le grammatiche latine e i testi dedicati all’istruzione. A vendere più copie erano i libri che garantivano l’accesso ad altri libri, un circolo virtuoso che ha trasformato tipografia ed editoria in floride attività commerciali.
La contabilità di un libraio veneziano ha permesso di determinare l’impatto economico e culturale dell’invenzione della stampa, cambiando per sempre la nostra percezione di un fenomeno archiviato come una questione religiosa. Dopo il 1450 i prezzi calarono esponenzialmente e i libri iniziarono a essere venduti lungo le rotte del commercio tradizionale. Venezia divenne il principale centro di stampa e vendita di libri in Europa, il punto nevralgico da cui si diffondevano nel resto del continente lungo le maggiori rotte commerciali. Nei 50 anni successivi alla pubblicazione della Bibbia di Gutenberg, milioni di libri hanno viaggiato per le strade e i fiumi europei creando un mercato le cui proporzioni non avevano precedenti. Circa mezzo milione di questi sopravvive ancora oggi, ed è sulla base di una parte di questi che è stato possibile studiare l’impatto della rivoluzione della stampa sulla società europea. I libri venivano spesso rivenduti o regalati, e il passaggio di mano veniva registrato con una nota di possesso nel colophon o nelle ultime pagine del volume, rendendo il loro viaggio tracciabile nel tempo anche a distanza di secoli. Grazie al coinvolgimento di oltre 130 bibliotecari e archivisti delle principali biblioteche europee e americane, 15cBooktrade ne ha raccolti e analizzati quasi cinquantamila, appartenuti a più di quindicimila diversi proprietari.
L’Europa rinascimentale era il contesto ideale per la proliferazione del torchio tipografico. Una società in cui la circolazione del sapere era diventata un affare poteva dare vita alla prima forma di comunicazione di massa. Il fiorire del commercio dei libri coincise con la nascita dell’editoria, un’industria costruita attorno all’idea che i libri fossero una merce e potessero essere venduti come gli altri beni di consumo. Questo processo ha accelerato la formazione di standard culturali europei in materia di istruzione e ricerca, favorendo una circolazione delle idee codificata che permetteva di creare nuova conoscenza in modo più veloce ed efficace. Con il passare di mano della produzione dei libri, diventati un lucroso business privato, passava di mano anche il potere che li custodiva. Se Aristotele si poteva trovare in un negozio, a Venezia come a Francoforte, l’unico modo per usufruire di questa merce era l’alfabetizzazione, diventata necessaria per accedere alla conoscenza. Come scrive Marshall McLuhan in Galassia Gutenberg: nascita dell’uomo tipografico (Armando editore, 2011, traduzione di Stefano Rizzo): “Così come la stampa fu il primo esempio di produzione di massa, essa fu anche la prima merce uniforme e ripetibile”. Quando i libri sono diventati una merce, la stampa si è trasformata nella materia prima della nostra identità sociale e culturale.
Il Financial Times ha dedicato al progetto un articolo dal titolo “Birth of the knowledge economy”, un terminologia simile a knowledge society, utilizzata per descrivere la società nata dopo la commercializzazione del World Wide Web. Anche in questo caso, l’accelerazione culturale resa possibile dai mass media permette di diffondere informazioni e conoscenza come se fossero merci, e di costruirvi sopra un intero sistema economico. In questo senso lo studio dell’invenzione della stampa e della sua adozione ci permettono di comprendere gli schemi che si nascondono nella diffusione della conoscenza: parafrasando la celebre citazione the medium is the message, il rettore del Lincoln College dell’Università di Oxford Henri Woudhuysen sottolinea che nella storia della stampa possiamo rivedere processi analoghi a quelli che hanno determinato la rivoluzione digitale. Come scriveva McLuhan “Ogni tecnologia è un prodotto di base per una comunità, come una materia prima naturale.” E nonostante lo stesso autore sostenesse che la stampa avesse permesso l’affermarsi dell’individualismo e del nazionalismo in Europa, 15cBooktrade allude a conseguenze più ottimiste: la democratizzazione di istruzione e conoscenza, proprio come accadde nella seconda metà del XV secolo.