La memoria del dittatore
Le polemiche sulla riesumazione dei resti di Francisco Franco, a quarant'anni dalla morte.
Le polemiche sulla riesumazione dei resti di Francisco Franco, a quarant'anni dalla morte.
L a bambina ha solo nove giorni di vita, lo sussurra la madre che la tiene in braccio a una signora che le si avvicina. Si tratterebbe di uno scambio conviviale come un altro, se non ci trovassimo dentro a una montagna a una cinquantina di chilometri da Madrid. Per terra, la tomba di Francisco Franco. Sopra, sette mazzi di fiori freschi. La navata centrale della basilica in cui riposano i resti del dittatore è scavata direttamente nella roccia, è lunga circa 250 metri ed è monumentale e sinistra. Insieme a Franco vi sono seppelliti i resti di più di 33.000 morti della guerra civile che divise il Paese dal 1936 al 1939. C’era una Repubblica, poi parte dell’esercito si ribellò. Vinse la fazione guidata dal Caudillo e da allora fino alla sua morte, quasi quarant’anni dopo, non vi fu che il franchismo. Dopo, la strana anomalia di un paese democraticamente avanzato in cui il dittatore continua a riposare in un enorme monumento che fa parte del Patrimonio Nacional. Si conosce come Valle de los Caídos (la Valle dei Caduti) e l’anno scorso ha ricevuto circa 300.000 visitatori, un 7% in più rispetto al 2016. Ragazzi, famiglie, turisti, neonati, come la bambina in braccio a sua madre che, forse, sarà tra gli ultimi visitatori.
Il Governo spagnolo guidato dal socialista Pedro Sánchez ha approvato a fine agosto un decreto legge, poi rettificato in Parlamento con 172 voti a favore e 164 astensioni, che impone la riesumazione dei resti del dittatore perché ricevano sepoltura privata. La decisione – che prevede una modifica della legge sulla Memoria Historica entrata in vigore nel 2007 e aggiunge l’urgenza della riesumazione al divieto di organizzare manifestazioni politiche all’interno del Valle – ha sollevato un polverone mediatico per l’inedita fermezza con cui si dà avvio a uno dei processi più controversi, e costantemente rimandati, della storia recente del Paese. La polemica sul Valle è antica quanto la democrazia spagnola ed è emblema del complesso rapporto della società con il proprio passato. Durante la transizione avvenuta alla morte di Franco, per una serie di ragioni politiche, probabilmente non seconde a quelle di ordine pubblico, di stabilità e sviluppo economico, si decise di lasciare che l’apparato si trasformasse in democrazia: dimenticare per andare avanti. Anche se poi non si è mai dimenticato davvero. Lo dicono in continuazione, almeno alcuni: “abbiamo lasciato che morisse nel suo letto”, alludendo al fatto che fu soltanto il tempo a consumare il dittatore e la sua dittatura, sopravvissuta quasi miracolosamente in seno all’Europa fino alla fine degli anni Settanta.
Fu Franco stesso a volere la costruzione del Valle. Venne terminato nel 1957, grazie al lavoro coatto durato circa vent’anni di decine di migliaia di prigionieri, alcuni dei quali “non ordinari”, ovvero politici. A fianco dell’altare centrale dove si trova la lapide di Franco, c’è una cappella: un altro piccolo altare e due porte. Su quella di destra, l’epitaffio: “Morti per Dio e per la Spagna”. L’uomo che accompagna la madre e la bambina osserva con le braccia incrociate dietro la schiena. Legge, ma non si avvicina. Un vigilante svogliato si assicura che non si scattino foto. El Valle è considerata la fossa comune più grande del paese, che pure ne ha molte, dove si pensa riposino i resti di almeno 110.000 persone uccise durante la guerra civile e i primi dieci anni della dittatura e mai ritrovate, secondo quanto afferma uno degli studi più recenti sul tema pubblicato dal Consiglio d’Europa. Tra loro c’è anche Federico García Lorca, fucilato nel 1936. Il poeta predisse la sua fine in uno dei passaggi più toccanti de Il Pubblico, l’opera surrealista scritta nel 1930 e messa in scena solo cinquant’anni dopo. “I ragazzini ridevano dipingendo di rosso la suola dei loro stivali”, scrisse. L’ultimo tentativo di trovarne i resti risale a una decina di anni fa. Si scavò a lungo vicino Granada ma la ricerca non produsse nessun risultato. Mentre la croce alta 150 metri che campeggia sul complesso del Valle non ha mai smesso di fare ombra a chilometri di distanza. Almeno una ventina, se si percorre la A6 prima di inerpicarsi su per la montagna.
El Valle è considerata la fossa comune più grande del paese, che pure ne ha molte, dove si pensa riposino i resti di almeno 110.000 persone uccise durante la guerra civile.
“Avevo in mente la struttura di ciò che volevo e un’ubicazione ideale in un punto centrale, che si irradiasse in tutta la Spagna. Avevo perlustrato più volte la zona del Guadarrama, perché volevo che, senza metterlo in ombra, il monumento del nuovo regime millenario non fosse lontano dal glorioso Escuriale, simbolo vivente della vittoria nella battaglia di San Quintino. […] ‘Verresti con me al Valle de los Caídos?’ chiesi a Moscardó. ‘Dov’è? Che cos’è?’. ‘È il nome che verrà dato al monumento che intendo costruire in onore dei morti della crociata’”. Franco non ha mai pronunciato questa frase, ma potrebbe averlo fatto. O almeno è quanto immagina Manuel Vázquez Montalbán nel suo Io, Franco (1992, Sellerio 2016) dove ricostruisce la storia di un autore che accetta di scrivere una finta “autobiografia” di Franco, e lo lascia parlare perché racconti la sua storia immaginandola impregnata della retorica del regime, salvo poi interromperlo: raccontando una storia diversa.
Il processo messo in marcia dal Governo non avrà un’attuazione facile, anche se la via legislativa intrapresa limita molto le possibilità di ricorso, e prevede inoltre, in tempi da definire, la creazione di una “commissione della verità”, che possa far sì che esista una versione “concorde in tutto il paese su ciò che accadde durante la Guerra Civile e la dittatura”. Fonti del Governo, citate da El País, confessano tuttavia che sarà difficile che la commissione possa terminare il suo lavoro prima della fine della legislatura. E la grande incognita resta quella sul futuro del simbolo più longevo del franchismo. Nelle dichiarazioni che hanno preceduto l’attuazione del Governo, Sánchez sembrava difendere la possibilità che l’intero complesso, di cui fa parte anche un’abbazia benedettina, potesse diventare un monumento alla riconciliazione. Ma in pochi giorni ha dovuto fare marcia indietro, riconoscendo che è molto difficile “risignificare” un’architettura così iconica. E allora forse, si pensa, resterà solo un cimitero civile in memoria delle vittime del conflitto epurato dal cadavere più illustre. Tra le enormi statue incappucciate in pietra grigia, che dovrebbero invitare al rispetto ma incutono piuttosto timore, prosegue quindi la visita della famigliola e di un numero esiguo di turisti asiatici che si avvicinano alla lapide grigia su cui è inciso solo un nome e due date. E viene da chiedersi se sarà mai possibile entrare lì dentro senza pensare di trovarsi in un enorme tributo alla morte.
Vicino alla tomba di Franco non ci sono documenti esplicativi, non ci sono didascalie. Non si spiega chi vi è sepolto. Forse la guida che conduce i turisti come in un museo qualsiasi, lo farà. Forse non è necessario. Forse lui stesso non volle incensarsi. Alcuni storici sostengono che non volesse nemmeno essere sepolto lì. Alla fine non era uno che ostentava, ma un militare severo e ultracattolico. Dicono che alcuni dei suoi familiari lo considerassero già da ragazzo una delle persone più pericolose del paese. E prima di uscire è possibile anche acquistare dei souvenir, non eccessivamente tipici: posaceneri in vetro con la sagoma della croce, penne, spade giocattolo, coroncine rosa da principessa. Ci sono anche i libri, uno parla di García Lorca: s’intitola Artisti repubblicani. “Che crepino tutti una volta per tutte”, dice la persona che mi accompagna a mezza voce ormai sulla soglia. Dalla piccola porta d’ingresso, ritagliata in un portone in legno scuro, entra il riflesso accecante della luce del luglio peninsulare. Il biglietto si compra a valle, costa nove euro. Per i bambini c’è uno sconto. I neonati non pagano.
Sánchez sembrava sostenere che l’intero complesso potesse diventare un monumento alla riconciliazione, ma ha riconosciuto che è molto difficile “risignificare” un’architettura così iconica.
“Spagnoli, Franco è morto”, nel 1975 fu il presidente del Governo Carlos Arias Navarro a dare l’annuncio. Ma potrebbe avere ragione Montalbán: per ucciderlo davvero magari è necessario che torni in vita. Perché la duplicità del racconto di quanto accaduto negli anni della dittatura – che non si risparmiò nei mesi di declino ormai inesorabile nemmeno l’ultima fucilazione di cinque ragazzi appartenenti all’ETA e al Fronte Revolucionario Antifascista – è un sottotesto che emerge dalle crepe e dai racconti, nei film e nei romanzi.
È stato presente nelle tese manifestazioni che seguirono l’annuncio dell’indipendenza poi sospesa dalla Catalogna lo scorso anno, è presente nella sempre controversa attuazione della legge della memoria storica del 2007: a Guadiana del Caudillo, qualche migliaio di abitanti in Estremadura, dove l’edificazione del regime non badò a spese, non si è ancora riuscito a cambiare il nome. Si manifesta nell’ostinazione degli eredi di Franco nel dichiarare che faranno ricorso per opporsi anche a quest’ultimo tentativo del Governo per trovare una “soluzione politica”. È presente nella decisione del Partido Popular, che nacque alla fine dei Settanta dall’iniziativa di alcuni gerarchi, di astenersi in Parlamento perché non considera “urgente” la riesumazione. Sono i manganelli sulla folla in una delle città più libere di uno dei paesi più tolleranti d’Europa. È la storia che viene presentata sul sito del Valle, dove si spiega che il monumento nacque per volontà del “capo dello stato”. Sono i nostalgici che si riuniscono sulla grande piazza di accesso, anche se la legge lo vieterebbe. È una famigliola che, probabilmente venuta a sapere dell’imminente riesumazione annunciata già a giugno, porta una neonata sulla tomba del “condottiero”.
Un sotteso scontro costante che forse alla fine non è diverso dal dialogo immaginato da Montalbán nel suo libro: “Vivo in piena epica, etica ed estetica, totalmente responsabile ormai della mia faccia e dalla mia anima e mi danno il corpo di Franco seppellito nella Valle dei Caduti perché io lo resusciti. Perché no? Lo domando a questo alter ego che lo specchio ossidato del bagno mi offre. Resuscitarlo per ucciderlo”. Parafrasando: farlo tornare in vita non tanto per fare i conti con Franco in sé, ma con il Franco che è in me.