I l percorso della fantascienza in Italia non ha assunto un andamento lineare; seppure si considerino come precursori del genere anche opere italiane primonovecentesche (per esempio Le meraviglie del duemila di Emilio Salgari), in Italia pochissimi sono stati gli autori che hanno fatto della fantascienza il loro principale e unico campo di scrittura. A questo risponde certamente il gusto del pubblico, ma soprattutto il giudizio della critica che vedeva nel genere qualcosa di non assimilabile alla grande letteratura, afferente invece a quella di consumo e di intrattenimento: anche per questo molte delle opere che hanno più a che fare con la fantascienza figurano o come dei divertissements degli scrittori impegnati in altro (è il caso per esempio delle Cosmicomiche o di Ti con zero di Italo Calvino), oppure finiscono per fondersi con la letteratura fantastica, genere senz’altro di più nobile ed elegante genesi.
In Italia, come è noto, avranno un ruolo decisivo la collana Urania e la rivista Scienza fantastica che dagli inizi degli anni Cinquanta contribuiranno ad uno sviluppo e una diffusione della fantascienza seppur soprattutto per appassionati. Il fattore interessante di questa fugace fioritura è che, come ha scritto Goffredo Fofi, in Italia in certi momenti la fantascienza si è trasformata in un nuovo neorealismo: alcune opere infatti, le migliori viene da aggiungere, sono quelle che sono state in grado di raccontare e di illustrare in anticipo rispetto ai tempi le nuove forme di dominio o di sottomissione, le figure dell’alienazione della nostra contemporaneità o la foga distruttiva riversata sul nostro pianeta.
C’è un piccolo e formidabile romanzo di Tommaso Landolfi uscito nel 1950, Cancroregina, che oltre a rappresentare una delle prime prove realmente di genere, si inserisce in pieno in una discussione più ampia che attraversa gli steccati stilistici e si interroga su questioni ultime e fondamentali. In questo racconto, che narra di una fantastica astronave “dall’umor bizzarro e dalle multiformi e complicate viscere”, il protagonista tenta di costruire la sua nuova identità, lontano dalla terra e nello spazio sterminato del cosmo a bordo di una “liberatrice, quella che sulle sue ali (del tutto metaforiche) doveva trasportarmi (non metaforicamente) fuori del mio ingrato mondo”. Il desiderio è ovviamente destinato ad essere frustrato: il narratore durante il suo viaggio verso la Luna, per combattere la solitudine, tiene un diario in cui annota l’impossibilità di ammansire l’astronave che attraverso la sua voce composta da fonemi prelinguistici come “Crr, frr, trr, hu, hu, bof, bof, cra, trutrutrùc, patatràc” non fa che spaventare il narratore e renderlo impotente, segnando pian piano il suo fallimento e la sua tragedia:
Io sono solo qui dentro, solo e senza speranze, press’a poco come prima di cominciare questo folle volo.
Così nel diario di un “antichissimo astronauta della mente e del cuore”, come lo ha definito Idolina Landolfi, si scorge il sentimento di inadeguatezza di un alieno che guarda il mondo e cerca riparo da esso fuggendo, senza successo, tra le stelle, finendo così per diventare vittima della stessa macchina che doveva portarlo in salvo.
A dare il pretesto per questa ricognizione è il volume di Sebastiano Vassalli De l’infinito, universo e mondi, pubblicato meritoriamente dalle edizioni Hacca. Si tratta di un libro prezioso, curato da Martina Vodola e con una prefazione di Roberto Cicala, perché rende disponibile per la prima volta in maniera organica i testi che nei primi anni Settanta, ovvero gli anni in cui Vassalli si muove all’interno della neoavanguardia ed è ancora lontano dalla forma del romanzo storico che si compirà con La chimera, lo scrittore redige per un eccezionale “manuale di esobiologia”, come da lui stesso definito. Si tratta di frammenti fantascientifici, una parte dei quali pubblicati su un’oscura e misconosciuta rivista di genere, Pianeta, che dialogano da vicino con la filosofia di Giordano Bruno (e il titolo del libro è un limpido omaggio alla sua opera così come la dedica alla sua memoria in apertura), Galileo Galilei o Giacomo Leopardi. Nonostante la varietà dei testi, ci sono alcuni temi che tornano con forza tra le pagine del libro, come il racconto di viaggi in spazi interstellari, la costruzione di nuovi discorsi sulla creazione della luce o le nuove sfide che la tecnologia pone all’uomo. Il punto di partenza per Vassalli, la sua “verità assiomatica”, sta nella convinzione dell’esistenza, nell’universo, di molteplici specie viventi, che popolano “la pluralità dei mondi e l’esistenza in essi di forme di vita animali e vegetali, intelligenti e non”.
A partire da queste parole, nel libro pronunciate dalla dottoressa Hack, direttrice dell’Osservatorio astronomico di Trieste durante un convegno internazionale, si apre una questione ineludibile per l’uomo: se è improbabile essere soli nell’universo, compito della fantascienza, scienza del “probabile e del possibile”, deve essere quello di tenere sempre presente “l’infinito numero delle fantasie umane relative all’Infinito, all’Universo e ai mondi ivi contenuti”. Un principio, questo di egualitarismo universale, che nasce anche dalla piccola dimensione relativa dell’uomo: “La vita – scrive Vassalli – è una cosa tanto rara, nell’Universo. L’Universo non bada alla vita”. Così questa indagine sui luoghi della fantascienza si riversa in un catalogo di esseri extraterrestri e strambi vegetali in grado di dare “una visione non del ‘mondo’ – termine quanto mai ambiguo e polivalente – ma dell’Universo: ché l’epoca delle ‘visioni del mondo’, come quella dei ‘protagonisti’ autori di tale visione è trascorsa”. Come nota Roberto Cicala nella sua Introduzione, e come questa citazione mette bene in luce, la scelta di Vassalli è dettata anche da uno spaesamento.
Arriva infatti nel mezzo degli esperimenti politici e letterari di Narcisso e di Il millennio che muore e prima della scelta del romanzo storico: pare dunque che la science fiction funzioni per Vassalli in questo momento come un terreno prediletto di prova. Ma pure i romanzi storici successivi, che vanno in una direzione opposta rispetto alla fantascienza, non sono del tutto avulsi da questa idea sulla letteratura, anche se la scelta sarà quella di volgere gli occhi al passato e non al futuro; illustrare le vicende degli emarginati, siano essi vittime degli anni trascorsi o a venire, è la strada scelta da Vassalli per raccontare le “storie dimenticate dalla Storia”, nonché il compito più importante che la letteratura deve prendere in carico. In un suo saggio sulla science fiction, Sergio Solmi costruisce un paragone calzante tra l’infatuazione del romanzo cavalleresco per la scoperta del Nuovo Mondo e la conquista dello spazio per gli uomini contemporanei. Riassume tutto questo lo stesso Vassalli quando scrive in questo manuale che
forse la fantascienza è anche un ciclo di narrazioni di gesta, anzi lo è senz’altro nella misura in cui riveste di nuove fronde il rinsecchito arbor aristotelicus, lubrifica la cigolante macchina della mimesis.
Ciò che dunque sembra dare una spinta sostanziosa all’esperimento fantascientifico di Vassalli, e che accomuna alcune delle idee di questo libro al genere, è immaginare una realtà nuova che superi le sofferenze e i giri a vuoto del presente, differente ma mai del tutto slacciata da essa. I testi raccolti in De l’infinito, universo e mondi sono stati redatti da Vassalli negli anni tra il 1971 e il 1973. Sono gli anni in cui in Italia escono alcune delle opere più importanti che hanno a che fare con la fantascienza: vengono pubblicati a stretto giro i racconti di Primo Levi, sotto il titolo Vizio di forma, il romanzo forse più importante della fantascienza italiana, Lo smeraldo di Mario Soldati, qualche anno dopo Dissipatio H.G. di Guido Morselli, ideato e scritto nel 1973 e, infine, Il pianeta irritabile di Paolo Volponi. Queste opere sembrano essere accomunate da un’ispirazione che nasce da un clima di totale incertezza e da una visione, del tutto o quasi, pessimista riguardo al futuro; sono questi gli ingredienti dei citati racconti o romanzi, che infatti hanno al loro interno storie che narrano le esagerazioni dell’industrializzazione, la sempre più penetrante alienazione dell’individuo o lo sviluppo tecnologico incontrollato.
Esempio lampante è il romanzo di Paolo Volponi Il pianeta irritabile, ambientato nell’anno 2293 quando, a seguito di un’immane esplosione atomica che ha devastato tutto il pianeta, quattro personaggi, una scimmia, un’oca, un elefante e un nano (e guarda caso neanche un uomo strictu sensu), iniziano un viaggio che possa condurli ad una salvezza in un nuovo universo. In questo sgangherato rapporto tra strani animali e in questo mondo raso al suolo, emerge chiaramente, e con forza, un’ammonizione ovvia sulla tenuta del pianeta terra, ma non è estranea al pensiero di Volponi anche l’enunciazione di una flebile speranza. Ciò che muove questi personaggi emarginati, così come quelli creati da Vassalli nel suo Manuale, è il desiderio di essere parte della storia: in questa aspirazione sta il senso più intimo del loro viaggio. Per raggiungere tale obiettivo questi esseri postumani, frutti di un ribaltamento tra l’elemento umano e quello animale nonché superstiti di una società ciecamente dedita al profitto individuale a discapito dei legami, sembrano comprendere la necessità di un rifiuto delle logiche di isolamento a favore di una nuova infatuazione per un desiderio collettivo e condiviso.
Anche Lo smeraldo di Mario Soldati, il grande e forse solo capolavoro di genere in Italia, pur con caratteri differenti dagli altri romanzi, è unito ad essi da un ragionamento essenziale sui mondi possibili. Il protagonista, alla ricerca della pietra preziosa che dà il titolo al romanzo, si ritrova in un mondo futuro, anch’esso probabilmente ricostruito dopo una devastazione atomica, diviso in due grandi blocchi: la Confederazione del Nord, ipertecnologica e militarizzata, ricca ma infelice, dove la dittatura sorveglia la popolazione attraverso la tortura, e quella del Sud, arretrata, povera e problematica, ma più raffinata e, forse, felice. Ad un certo punto di questo romanzo, il protagonista dice delle parole che sembrano la trascrizione del pensiero del suo autore, e che gettano luce su questa scelta di genere di Soldati: “Io penso al futuro e al passato sempre che il presente non mi assilli od esalti”. Ancora una volta, come negli autori di cui si è già parlato, e apertamente come in Vassalli, l’opzione della fantascienza sta a rappresentare una scelta politica decisa che non può essere derubricata a semplice fuga dalla realtà o esercizio letterario, ma va invece intesa nel suo significato più profondo, come immaginazione di un nuovo mondo, che nasce dal presente e se ne allontana pur mantenendo fermo il desiderio di un suo possibile miglioramento.
La fantascienza italiana dunque trova negli anni Settanta una sua peculiare via, lontana da quella specifica della lingua inglese, scovando anche un itinerario che le consenta di fuggire le maglie strette attraverso le quali la critica la etichetta. Una fantascienza che quindi rinnova i suoi stilemi e si avvicina di più, come si diceva in apertura, ad una sorta di nuovo neorealismo. La fantascienza scenografica e di consumo che invaderà letteratura e cinema come forma di intrattenimento è quanto di più lontano si possa pensare in relazione agli autori di cui si è parlato, per i quali invece la fantascienza diviene una forma politica di letteratura, una via per immaginare non futuri robotici e lontani, quanto mezzi e ragionamenti ipotetici per la risoluzione dei conflitti che costellano la vita reale.
Particolarmente emblematica è una lettera che Primo Levi invierà a Mario Soldati proprio su questo argomento, insistendo sulla vie inconciliabili tra una fantascienza spettacolarizzata e i loro assai più complessi tentativi letterari, con i primi colpevoli nell’immaginare delle forme simboliche di sostituzione del reale che portano ad anestetizzare i lettori con i loro universi letterari
dediti ad una religiosità talmente nativa da sfiorare l’eresia, che si rivolge al cielo perché è stanco dei vizi e dei peccati terrestri e perché confonde il cielo del Padre Nostro col cielo delle galassie e delle astronavi.
Per questi autori invece la fantascienza, anche per la sua importante diffusione, non può essere incentrata solo sulla fantasia immaginifica degli scrittori, ma deve invece ancorarsi alle storture del mondo reale.