U n soffio, uno scivolamento acuto, un’apertura improvvisa là dove non era prevista. Lo spiffero è qualcosa che accade al di là delle nostre intenzioni rivelandoci spesso spazi di realtà inediti, o altri spazi di totale e assoluta imprevedibilità.
“Ci sarà vento, forse non era chiusa bene”“Non c’è vento, era chiusa. Ma succede qui, si aprono da sole, le finestre. Anche la notte. C’è un fantasma”.
Lo spiffero dunque che dà il titolo alla raccolta di racconti di Letizia Muratori, Spifferi (La Nave di Teseo, 110 pagine – 17,00 euro) prende forma donando realtà dove non potrebbe che esserci fantasia o mistero, e in un certo senso Letizia Muratori utilizza gli spifferi del destino, gli accadimenti improvvisi per regalare alle sue storie minimali, tracciate con linearità, l’imprevisto capace di non solo capovolgere i termini della narrazione, ma restituire al lettore un’imprevedibile densità poetica. La raccolta all’apparenza esile è in realtà un esercizio virtuoso di letteratura capace di condensare in pochissime pagine un’esattezza che sta tra lo spunto compiuto e il romanzo gotico qui teso e asciugato in una manciata di pagine – a tratti, anche di grande ironia.
Ascoltavo le solite battute dei miei, i loro insindacabile modo di vedere il mondo mi intratteneva da sempre come un rumore di fondo: restringendosi c’era il rischio che potessero cambiare, ma andava fatto, e non mi lasciai sopraffare in anticipo dalla nostalgia. Solo un pensiero estraneo inquinava questo miscuglio piuttosto comune di commozione trattenuta e smania di svuotare tutto: Dimitri era scomparso, non chiamava più.
Cadenzato in sei racconti, Spifferi è un libro pieno, totale, capace di toccare gli elementi narrativi senza mai tralasciare particolari emotivi dei personaggi o descrizioni degli ambienti. Ogni racconto chiama il successivo in un rimbalzo di temi e atmosfere che, se da un lato evidenziano la qualità dei racconto singolo, dall’altro chiamano una forma romanzo che è nelle cose, nelle pagine che compongono l’interezza di Spifferi. I racconti sembrano specchiarsi mostrando elementi comuni attorno ai quali l’autrice lavora di cesello, con cura e attenzione rifrangendo ogni possibile dinamica, elencando quasi fosse un catalogo l’alternarsi emotivo che di volta in volta viene illuminato.
La perdita della casa, uno stato di abbandono in essere o crescente lungo la narrazione, la morte come elemento di passaggio, un cambiamento di stato accolto spesso più con stupore che con dolore. E poi come punto di volta l’imprevisto che prende forma quando ogni cosa è data – anche nella profonda ironica malinconia che attraversa tutto i racconti –, capovolgendo i riferimenti e lo spazio che fino a prima era considerato solido e inattaccabile.
Magda era sicura che in Germania, affidato alla zia e ai vari parenti che vivevano lì, Ephram si sarebbe dimenticato del fuoco, e che comunque qualcuno l’avrebbe curato. Non era il diavolo, Ephram, ma in certi momenti, quando nessuno riusciva più a fermarlo e i suoi occhi diventavano vuoti, quasi bianchi, sembrava ospitarlo.
La scrittura di Letizia Muratori riprende sempre in se stessa la medesima struttura del racconto, una lingua piana diretta che però ad un certo punto si increspa generando l’imprevisto stesso del racconto – come se fosse messo in mostra prima ancora che dal senso delle sue parole dalla loro forma. Lo stesso avviene aprendo i racconti come mappe: si può notare infatti come siano capaci di raccontare con estrema raffinatezza di linguaggio molto più di quello che viene detto perché, come poche (e pochi) in Italia, Letizia Muratori sa con assoluta precisione come dire le cose dando loro corpo vivo.
Spifferi è mosso da due elementi a tratti contrastanti, il caos che sottende la narrazione di storie per certi versi malinconiche, se non decadenti, e l’ironia che da un lato calmiera il rischio che tutto prenda fuoco da un momento all’altro, ridefinendosi sotto forma di tragedia o di epica, stendendo infine una specie di allegria perturbante a tutta la narrazione.
Mi spiaceva dirglielo, ma non emanava un buon odore. Come tutte le persone molto magra risultava sempre pulito, in ordine, ma l’assenza di sapone alla lunga inquina anche gli scheletri.
Sei racconti, sei movimenti attorno alle ossessioni contemporanee, la morte, il tempo, la solitudine, l’ecologia, il sesso, le migrazioni, la metropoli, la casa. Tutti temi forti, sostanzialmente ovvi, eppure come mostra Letizia Muratori possibili di essere raccontati nuovamente, un’altra volta e un’altra volta ancora, ma sempre in maniera diversa e viva. Sei racconti che a tratti sembrano sei ripetizioni musicali, un libro che fa così della sua compattezza un’inesauribile lettura e rilettura, un testo che si avvicina da un lato alle narrazioni autobiografiche oggi molto di moda, ma senza prenderne la pesantezza emotiva e dall’altro riscoprendo in parte le mitologie brevi dei racconti, la bellezza della loro instancabile rapidità.