M etti un giovane medico, arrivato da fuori, che riesce là dove commissioni d’inchiesta su commissioni d’inchiesta hanno fallito. Uno che riesce a spiegare perché nel reparto dove si addestrano i futuri luminari della medicina le partorienti muoiono come mosche, mentre dove si formano le ostetriche no, ed escogita anche un rimedio semplice, efficace e abbastanza economico per evitarlo. Lo fa però affermando implicitamente che in qualche caso la medicina “ufficiale” può fare più male che bene.
Un’onta per la classe medica, non solo di allora. Sostenere che tra le donne che partoriscono in casa i tassi di mortalità sono largamente inferiori a quelli registrati nelle corsie di quella stessa prestigiosa clinica universitaria di Vienna che studenti di tutta Europa ambiscono a frequentare, inserendosi in lunghe liste di attesa. Uno scandalo. Aggiungici un carattere poco diplomatico, che porta il nostro eroe a scagliarsi con violenza contro i superiori che non gli credono, arrivando ad accusarli, con toni accesi e violenti, di essere addirittura degli assassini. E per finire, inserisci tutto in un contesto storico, intorno al 1848, l’anno che l’Europa ricorda come “primavera dei popoli”, in cui l’Ungheria, come altri Paesi, scalpitava sotto il dominio austriaco: l’ebreo Ignaz Semmelweiss a Buda e a Pest, allora ancora separate, era guardato con sospetto per il cognome che tradiva origini tedesche, ma a Vienna, nella capitale dell’Impero, era inequivocabilmente bollato come ungherese, e quindi potenzialmente un ribelle. Una ragione in più di ostilità verso chi pretendeva di mettere in discussione procedure consolidate nel tempo, fino al punto di estrometterlo dal posto di lavoro. Se alle sue stesse conclusioni fosse arrivato un attempato professore austriaco riconosciuto dall’establishment accademico, uno stimato medico di Corte, è facilmente ipotizzabile che la reazione sarebbe stata diversa.
Non sembra la storia di tanti sostenitori di pseudomedicine più o meno alternative, isolati e osteggiati dalla comunità scientifica, additati come pericolosi ciarlatani? Oggi Semmelweiss, di cui ricordiamo in questi giorni il bicentenario della nascita, è ricordato come il “salvatore delle madri”. Se già qualcuno prima di lui aveva intuito la possibilità che la febbre puerperale fosse contagiosa, a lui si riconosce il merito di aver individuato per primo un metodo antisettico, la disinfezione delle mani con cloruro di calce, capace di impedire la trasmissione di quelle entità invisibili che lui chiamava “particelle cadaveriche”. La microbiologia era di là da venire, microrganismi non ne poteva vedere, ma l’odore che restava sulle mani di chi aveva effettuato un’autopsia, nonostante il lavaggio con acqua e sapone, testimoniava che “qualcosa” ancora restasse attaccato alla pelle dell’operatore. Ci sarebbero voluti ancora molti anni prima che Louis Pasteur elaborasse la sua “teoria dei germi della malattia”, individuando la presenza di microrganismi invisibili come causa delle infezioni, e prima che il chirurgo scozzese Joseph Lister rendesse più sicure le pratiche chirurgiche introducendo l’antisepsi attraverso il lavaggio di routine delle mani con acido fenico.
Oggi Semmelweiss è ricordato come il “salvatore delle madri”: ha il merito di aver individuato un metodo antisettico capace di impedire la trasmissione della febbre puerperale.
Chi ci dice allora che quelli oggi considerati ciarlatani non siano precursori e innovatori, a cui le conoscenze della scienza attuale ancora non sono in grado di fornire un supporto teorico, ma che un domani saranno portati agli onori degli altari per la loro lungimiranza?
Il metodo, sostanzialmente. Insieme a qualche altro piccolo ulteriore dettaglio che ci permette di distinguere i geni incompresi della scienza e della medicina come Semmelweiss, appunto, dai tanti imbroglioni o visionari che da sempre cercano di arricchirsi rifilando agli ammalati olio di serpente, acqua fresca dinamizzata o svariati stabilizzatori di misteriosi equilibri energetici.
Il metodo
Semmelweiss non aveva quote nelle aziende produttrici di cloruro di calce, né sperava di guadagnare facendo partorire le donne a domicilio. Anzi, anche a causa della sua insistenza si trovò senza lavoro e senza soldi. Non si sa se e quanto furono queste persecuzioni o piuttosto una forma di neurosifilide contratta dalle donne che aveva curato, ma finì anche preda di una grave psicosi con cui morì in manicomio, forse per una sepsi provocata dagli stessi germi a cui aveva dato la caccia tutta la vita. Finì dimenticato da tutti, e riabilitato solo a distanza di molti anni. Non esattamente il ritratto dei guru di oggi, alla Davide Vannoni o alla Andrew Wakefield, per intenderci, che della scelta di andare controcorrente hanno fatto prima di tutto un enorme business.
Inoltre, per un Semmelweiss di cui si è riconosciuto a distanza di tempo il valore, ci sono centinaia, migliaia di “medici controcorrente” a cui la storia non solo non ha dato ragione, ma di cui anzi ha confermato la pericolosità. In altre parole, è anche possibile che un outsider sia un genio incompreso da tutti, ma non è vero il contrario, cioè che tutti gli outsider lo siano. Anzi, è molto, molto più probabile che abbiano torto. Attenzione quindi al facile, quanto errato, sillogismo: siccome Galileo e Semmelweiss non sono stati compresi, ma anzi sono stati perseguitati dai loro contemporanei, il tempo sarà galantuomo con tutti coloro che vanno contro le posizioni condivise dalla maggior parte degli scienziati. Non è così. Per poche eccezioni che si contano sulle dita delle mani, di centinaia di migliaia di ciarlatani si sono perse le tracce e la memoria.
Quel che ci permette di distinguere gli uni dagli altri è però soprattutto il metodo: logico e rigorosissimo, come si può chiaramente leggere qui, quello del giovane medico magiaro, nell’affrontare la tragica situazione con cui viene a contatto nella grande Maternità viennese.
Non che il problema in sé fosse occultato, o trascurato: la cosiddetta “febbre puerperale” era all’ordine del giorno tra le questioni che turbavano le notti dei medici del tempo, e non solo in Austria. Alla metà dell’Ottocento, infatti, fino al 15-20 per cento delle donne seguite fin dall’inizio del travaglio nei migliori reparti universitari, in Europa come in America, sviluppavano, durante il parto o nelle ore successive, un importante rialzo della temperatura accompagnato da ascessi dolorosi, linfangite, peritonite, pleurite, meningite e progressivo, fatale, cedimento di tutte le funzioni vitali. L’incidenza del fenomeno era di 10-20 volte superiore a quanto accadeva quando i bambini nascevano in casa.
Alla metà dell’Ottocento, fino al 15-20 per cento delle donne seguite fin dall’inizio del travaglio nei migliori reparti universitari, in Europa e in America, sviluppavano la febbre puerperale.
Perché allora le donne di bassa estrazione socioeconomica, soprattutto se prostitute o non sposate, continuavano a rivolgersi alle Cliniche dell’Ospedale generale di Vienna e non davano alla luce i loro figli tra le lenzuola del proprio letto? Perché la puntuale organizzazione del welfare imperiale aveva messo in piedi lì un sistema ingegnoso per conciliare diverse esigenze: da un lato far fronte alle numerose gravidanze indesiderate tra le donne del popolo, accogliendo e facendo crescere i loro figli, che altrimenti sarebbero stati ad alto rischio di abbandono o soppressione; dall’altro addestrare su grandi numeri, e – terribile dirlo – senza grosse conseguenze in caso di errore, i giovani professionisti, prima che si cimentassero a far partorire nobildonne e persone di alto rango. Le donne che partorivano nei due reparti diretti rispettivamente dal professor Klein e dal professor Bartch potevano infatti affidare senza difficoltà né oneri economici i figli all’adiacente orfanotrofio, offrendo in cambio il loro latte per bambini dell’orfanotrofio stesso che ne avessero bisogno e soprattutto acconsentendo che su di loro facessero pratica gli studenti in medicina (allora esclusivamente maschi) e le ostetriche (allora esclusivamente femmine).
Dall’ottobre 1840, le due categorie di studenti, maschi e femmine, vennero divise tra le due Cliniche: alla prima, diretta da Klein, gli aspiranti medici, alla seconda, diretta da Bartch, le ostetriche. L’accettazione delle partorienti seguiva una rigorosa tabella temporale: dal lunedì pomeriggio alle 4 fino alla stessa ora del giorno successivo le pazienti erano ricoverate in un reparto, nel giorno successivo nell’altro, e così via.
Il dottor Semmelweiss
Quando il ventottenne Semmelweiss mise piede nella clinica diretta dal professor Joann Klein, la differenza tra i due reparti gli saltò subito all’occhio: come racconta, in maniera un po’ romanzata, nella sua tesi di laurea dedicata a “Il dottor Semmelweiss”, Louis Ferdinand Auguste Destouches, non ancora noto con il nome dello scrittore Céline, le donne e i loro familiari piangevano e supplicavano per riuscire a entrare nella seconda clinica, mentre nessuno voleva andare nella prima.
Fu forse l’ascolto delle pazienti a spingerlo a consultare i dati. Una volta accertato che la percezione popolare corrispondeva a una differenza reale nel rischio di mortalità tra i due reparti, le mille spiegazioni addotte dalla scienza ufficiale per spiegare il flagello non gli bastarono più.
Un eccesso di fibrina o di acqua nel sangue, la pressione dell’utero gravido sugli organi circostanti e sulla circolazione o addirittura i “miasmi” presenti nell’aria di città, tra le dozzine di cause indicate dalle diverse commissioni imperiali che avevano indagato sul fenomeno, non potevano esercitare in maniera tanto diversa la loro azione tra i due reparti, pensò il giovane Ignaz, che cominciò a essere letteralmente ossessionato dalle domande che questa osservazione gli apriva.
Si diceva che la malattia potesse essere provocata dall’offesa al senso del pudore delle donne, costrette a mostrare la propria intimità a medici e studenti, o dalla semplice suggestione, indotta dalla paura stessa della morte legata alla cattiva fama del reparto, scatenata dal ricorrente suono della campanella del cappellano che portava l’estrema unzione. “Perché mai non dovrebbe verificarsi nei soldati al fronte, allora?” si chiedeva il medico, evitando di aderire ai pregiudizi sessisti che la sua epoca gli offriva.
Iniziò invece a raccogliere sistematicamente tutti i dati relativi ai casi di febbre puerperale che si erano verificati negli anni precedenti nei due reparti, cercando di individuare tutti i possibili fattori di rischio che distinguessero tra i due, per cercare di cogliere quale potesse essere determinante. Le procedure erano le stesse, tranne che le ostetriche spesso consentivano alle donne posizioni diverse da quella supina. Semmelweiss introdusse l’innovazione nelle sue sale parto, ma i risultati non cambiarono.
Semmelweiss iniziò a raccogliere sistematicamente tutti i dati relativi ai casi di febbre puerperale nei due reparti, cercando di individuare tutti i possibili fattori di rischio che li distinguessero.
Notò invece che nel reparto incriminato il fenomeno era nettamente più frequente più lungo era stato il travaglio (e quindi, come avrebbe capito poi, quando le donne erano state sottoposte a un maggior numero di visite). Diversamente da quello che ci si potrebbe aspettare, però, le donne che partorivano per strada prima di riuscire ad arrivare in ospedale, e lo raggiungevano poi col fagottino raccolto nella gonna, spesso col maltempo, e comunque in condizioni evidentemente peggiori, tendevano ad avere la stessa bassa incidenza di febbre puerperale di quelle che erano restate a casa o erano affidate alle ostetriche del reparto di Bartch.
A un primo caso, poi, ne seguivano spesso altri lungo la stessa fila di letti della corsia, seguendo la direzione del “giro”, durante il quale le pazienti era sottoposte una dopo l’altra a ripetute visite da parte di medici e studenti. Accadeva indifferentemente nei letti posti sul lato nord o sud, est od ovest: difficile pensare che la loro posizione geografica potesse c’entrare qualcosa.
Se la relativamente bassa incidenza di febbre puerperale, e conseguente mortalità, nel reparto gestito dalle aspiranti ostetriche corrispondeva a quella registrata fuori dall’ospedale, a fare la differenza dovevano essere gli studenti in medicina. Era l’unica altra differenza evidente. Qualcuno allora ipotizzò che fossero i modi più rudi di quelli stranieri a provocare lesioni all’utero delle partorienti. Vennero quindi rispediti a casa, e in effetti nei mesi successivi l’incidenza di eventi fatali da Klein calò un po’, per poi però risalire. Semmelweiss intanto si segnava tutte queste fluttuazioni, per tenerne conto al momento di formulare una ipotesi che spiegasse il tutto. Un analogo calo notò tra dicembre 1846 e marzo 1847. Tutto segnato, tutto da spiegare.
Anche il fatto che la malattia colpisse anche una certa quota di neonati, ma solo se anche la madre ne era vittima, aiutava a indirizzare il ragionamento: evidentemente la causa si esercitava prima di tutto sulle donne, e da lì passava col sangue ai figli, escludendo il ruolo di un fattore ambientale esterno.
Eureka
La svolta venne quando il professor Jacob Kolletschka, docente di medicina forense, dopo essersi ferito con un bisturi nel corso di un’autopsia, sviluppò gli stessi sintomi, e lo stesso tipo di lesioni, caratteristiche delle donne con febbre puerperale. Questo episodio accese una lampadina nella mente di Semmelweiss, facendogli pensare alla routine della vita di reparto: le autopsie la mattina presto prima del giro, frequentate solo dagli studenti di medicina, mai dalle ostetriche; il fatto che nell’inverno 1846-1847, mesi in cui il fenomeno si era ridotto moltissimo, assistenti e studenti, per ragioni esterne, avevano disertato la sala settoria; la consapevolezza che gli stranieri sfruttavano i pochi mesi di specializzazione a Vienna concentrando il maggior numero possibile di corsi e attività, comprese quelle di anatomia patologica, più di quanto non facessero i locali.
Corse a frugare nelle serie storiche, e scoprì che dall’Istituzione della maternità, nel 1784, fino al 1823, quando all’approccio teorico venne sostituito quello anatomico e si cominciarono a praticare frequenti autopsie, il tasso di mortalità per febbre puerperale si era mantenuto sotto l’1 per cento, balzando fin oltre il 15 solo con il diffondersi delle pratiche necroscopiche.
La svolta venne quando il professor Jacob Kolletschka, docente di medicina forense, si ferì con un bisturi nel corso di un’autopsia e sviluppò gli stessi sintomi delle donne con febbre puerperale.
Tutti questi indizi tuttavia ancora non facevano una prova. Indicavano correlazioni da dimostrare. Cosa che Semmelweiss fece, invitando tutti i colleghi a non accontentarsi di acqua e sapone ma a usare cloruro di calce sulle mani fino a quando non fosse sparito l’odore tipico delle autopsie. Con questo semplice provvedimento, adottato nel corso di tutto il 1848, la mortalità crollò all’1,27 per cento, addirittura sotto l’1,33 per cento della seconda clinica.
Per avere un termine di confronto, oggi in Italia le morti materne, cioè tutte quelle dovute a cause legate alla gravidanza e al parto, sono in media meno di 1 su 10.000, in linea con le percentuali europee. L’osservazione di Semmelweiss riguardo la maggior sicurezza del parto a casa rispetto a quello in ospedale non è più applicabile al contesto odierno, dove si tende piuttosto a pensare il contrario (ma per altre ragioni: anche in Italia, come in altri Paesi, la scelta di far nascere il figlio in casa con l’aiuto di un’ostetrica, pur restando assolutamente marginale – circa 1000 casi l’anno – sta riconquistando consenso).
Il risultato era evidente, e Semmelweiss pretendeva che solo per questo gli venisse riconosciuto. Ancora però non aveva pubblicato nulla di quel che aveva scoperto e dovettero passare più di dieci anni prima che, su pressione dei pochi amici che gli erano rimasti, uscisse, pochi anni prima di morire, con la sua opera: “Eziologia, concetto e profilassi della febbre puerperale”.
Già allora era importante che alla raccolta dei dati seguisse la loro condivisione con la comunità scientifica, così che anche altri potessero verificare e riprodurre le esperienze. Lui ci arrivò tardi, ma alla fine consegnò alla storia la documentazione dei dati raccolti e del limpido ragionamento che lo portò a risolvere il mistero della morte delle puerpere. Dai ciarlatani di oggi, questo, in genere, non si riesce proprio a ottenere. Se pubblicassero dati statisticamente significativi, raccolti con una metodologia rigorosa, riprodotti e verificati da altri, nessuno li chiamerebbe più così.