L a frustrazione dell’uomo nel traffico è stato un grande topos della letteratura e della vita contemporanea. Il protagonista intrattiene una sfida omicida a pochissimi chilometri all’ora ne “L’inseguimento” di Calvino, scarica l’aggressività repressa nell’amplesso deviante con la sposa meccanica in Crash di Ballard, o subisce la muta rivolta di un abitacolo semi-animato in Oggetto quasi di José Saramago. Ma questo accadeva una volta: oggi l’uomo massificato, costretto nell’involucro isolazionista dell’automobile bloccata nel traffico urbano delle 7 e 30, dispone di un nuovo ventaglio di possibilità. È pacificato. La frustrazione del tempo perduto e dell’inscatolamento biomeccanico è riscattata da più civili distrazioni. Basta uno smartphone per occupare interstizi di tempo sempre più impervi.
“Consumi interstiziali” è una delle espressione migliori che ho registrato nelle conversazioni che mi hanno aiutato a scrivere questo articolo, nato da esigenze private: stanco di perdere quaranta minuti al giorno per andare al lavoro (un’ora e mezzo, compreso il ritorno – moltiplicato per un anno fa quindici giorni – insonni – un arco di vent’anni circa trecento giorni: e così via a precipizio), ho scoperto infine l’esistenza degli audiolibri. Audiolibri? Non era una cosa per ciechi e ipovedenti? No, è anzitutto una cosa per leggere quando non puoi, per esempio quando sei in macchina la mattina alle sette e un tuo simile ti passa avanti nella coda di traffico mandandoti a quel paese perché osi protestare: invece di metterci l’odio, in quegli interstizi di tempo, ci metti l’audio.
C’è un’applicazione: si chiama Audible, costa e funziona come Spotify o Netflix ma invece della musica e dei film contiene audiolibri. Audible funziona come editore e distributore: produce i propri audiolibri e distribuisce quelli prodotti da altri. Mi sono abbonato a settembre dell’anno scorso sfruttando un’offerta per gli utenti di Amazon premium (nata in America vent’anni fa, Audible è stata acquisita dal colosso di Bezos nel 2008) e da allora non ho più smesso. Ogni mattina nelle orecchie ho avuto un classico che mi mancava o che volevo rileggere, o meglio sentire: Defoe, Balzac, Dickens, eccetera. Perfetto: svanita qualsiasi impressione di tempo sprecato, di vita sprecata, quella tristezza fantozziana che coglie agli albori quando in un lampo di lucidità l’uomo inghiottito dal cavalcavia riconosce la propria radicale insignificanza.
Affronto volentieri il percorso da casa al lavoro sapendo che potrò ascoltarmi L’amica geniale letta da Anna Bonaiuto (11 ore e 49 minuti, tempo previsto: un paio di settimane), godere della polifonia gaddiana grazie al virtuosismo di Fabrizio Gifuni che riproduce divinamente lo gnommero di registri e dialetti der Pasticciaccio (13 ore e 34 minuti), ridere da solo per come la Cortellesi riesce a estrarre tutta l’idiozia plausibile da quegli oziosi vittoriani della Austen (Ragione e sentimento, 12 ore e 40 minuti), o vedere come suona la logorrea delle note a fondo pagina di Wallace nell’intonazione di Giuseppe Battiston (Una cosa divertente che non farò mai più: 4 ore e 13 minuti).
Confesso che a un certo punto mi sono rivolto a canali alternativi. In Audible c’è molto ma il molto è poco nella Biblioteca di Babele della letteratura mondiale e a volte la qualità è bassa, soprattutto per quanto riguarda i classici: ne ho sentiti molti letti da una signora di cui non farò il nome, la cui recitazione appena venata di un’intonazione amatoriale è così neutra da sembrare un font. Continuo a sentirla ogni tanto, mi ci sono affezionato, ma il livello del prodotto è oggettivamente basso. Per esempio si trovano audiolibri prodotti da “Ad alta voce”, la trasmissione di Radio 3 dedicata alla lettura di libri, e ho scoperto un capolavoro del genere come La diceria dell’untore di Bufalino letto da Roberto Herlitzka, ho parteggiato per la rivoluzione del ’17 seguendo la rievocazione di quei giorni fornita da John Reed (I dieci giorni che sconvolsero il mondo) nell’interpretazione esaltante di Tommaso Ragno, ho gustato i gerghi strampalati di Arancia Meccanica nella voce di Marco Cavalcoli. Eccetera. La parentesi di “Veleno”, la bella inchiesta audio di Pablo Trincia sul caso dei presunti pedofili nel modenese negli anni Novanta prodotta da Repubblica, mi ha infine mostrato le potenzialità delle audioserie e di tutto ciò che può rientrare nell’ampia e polimorfa cornice dei cosiddetti podcast.
Per chi, come me, ha sviluppato una semi-dipendenza dalla narrativa audio c’è una notizia interessante: la società svedese Storytel sarà attiva da quest’estate con una applicazione per l’ascolto di audiolibri molto simile a quella di Audible. Da piccola realtà locale fondata nel 2005, Storytel è cresciuta abbastanza da intraprendere nel 2013 una campagna di acquisizioni di società concorrenti svedesi arrivando ad inglobare Norstedts, uno dei più importanti editori cartacei del paese, e portando il suo prodotto in dodici stati (Audible, che è uscita nel 2005 dagli USA, si muove ad oggi su sette paesi). Insomma, quello degli audiolibri è un universo in rapida espansione. Stime non ufficiali quantificano il mercato statunitense, il primo al mondo, intorno a milleottocento milioni di euro. In Europa la Germania occupa il primo posto con un mercato da centocinquanta milioni di euro, seguita dalla Svezia (centotrenta milioni di euro) e da mercati nascenti come quello spagnolo, francese e italiano che si muovono su livelli decisamente più bassi (inferiori ai dieci milioni di euro): tutti, ad ogni modo, mostrano tassi di crescita a due o tre cifre.
A dispetto dei più recenti sviluppi, la storia degli audiolibri è piuttosto antica: la Germania, i paesi Scandinavi e il mondo anglosassone hanno conosciuto una ricca produzione novecentesca di radiodrammi e romanzi letti ad alta voce: la pratica dell’ascolto mobile e casalingo di narrazioni vocali è qualcosa di molto radicato nella loro cultura nazionale. In Germania, in particolare, lo Hörspiel (radiodramma) ha conosciuto un successo e un livello di sperimentazione formale di cui non possiamo renderci conto basandoci sulla piccola storia del radiodramma italiano. Piccola ma non ingloriosa, se ha visto la partecipazione di autori come Levi, Savinio, Manganelli. Ho parlato con Lorenzo Pavolini, il principale responsabile insieme a Laura Antonelli della trasmissione di Radio Rai 3 “Ad Alta Voce”, il quale mi ha spiegato come il genere del radiodramma abbia influenzato fino a tempi recenti la storia degli audiolibri: la famosa trasposizione di Se questo è un uomo fatta dalla Rai negli anni Sessanta era un’opera a più voci, con diversi attori e una regia sonora. Letture un po’ drammatizzate di libri si sono continuate a produrre anche negli Ottanta e Novanta. Nel 1998 in Radio Rai nasce un format diverso, “Storie alla radio”: un critico o un attore leggevano parti scelte di un libro, poi le commentavano, il tutto durava mezzora.
Uno dei primi a intervenire è stato Baricco con Furore di Steinbeck, seguito da Veronesi con Chiedi alla polvere di Fante e Goffredo Fofi con La Storia di Elsa Morante. “Ad alta voce” nasce all’inizio degli anni Duemila e ci conduce verso qualcosa di molto più simile all’audiolibro: poca o nessuna musica (usata solo come una “punteggiatura”) nessun commento, i libri sono letti per intero o quasi. Ma è con la diffusione di internet che la forma dell’audiolibro diventa sempre più praticabile: nessun limite di tempo o di spazio, tutto può stare comodamente archiviato nei server e pronto per essere scaricato o ascoltato on demand. La storia dei supporti è decisiva nella diffusione dell’ondata audiolibresca: per illustrarmi il grande balzo ergonomico determinato dai nuovi formati come l’mp3 e, in seguito, dalla diffusione dello streaming, Pavolini evoca una vecchia edizione inglese in 110 cd dell’Ulisse di Joyce. Oggi, nella iTunes chart, “Ad alta Voce” occupa regolarmente il podio, accanto a La Zanzara e molto prima di trasmissioni radiofoniche a vocazione schiettamente pop come “Lo zoo di 105” e “Il ruggito del coniglio”. Il che è abbastanza sorprendente.
Il campo visivo è ormai saturo, mentre quello auditivo è ancora in buona parte terreno vergine da mettere a profitto.
Il ruolo dello sviluppo tecnologico nella diffusione degli audiolibri (e più in generale di una “audiosfera” sempre più ricca e complessa) mi viene ribadito anche da Sergio Polimene, il direttore editoriale di Emons, una delle principali case editrici di audiolibri italiane: il passaggio dalla poco capiente musicassetta al cd, quindi al cdrom, infine il trasloco nel cloud (Emons passa nel 2015 alla distribuzione di Audible). Gli editori di libri cartacei, storicamente poco propensi a vedere nell’audiolibro uno sbocco economicamente allettante, hanno iniziato a mangiare la foglia: se all’inizio concedevano licenze abbastanza facilmente, i prezzi dei loro titoli sono andati crescendo e oggi sempre più spesso, soprattutto i grandi gruppi editoriali, tendono a realizzare audiolibri in proprio.
È curioso notare una strana convergenza: mentre la scrittura perde o modifica alcune delle caratteristiche strutturali che l’hanno definita per secoli trasformandosi in qualcosa di sempre più fluido e vicino all’oralità (pensiamo ad esempio alla diffusione di una paradossale “scrittura istantanea” propiziata dalle app di messaggistica), dall’altra parte le narrazioni scritte e i libri in generale scoprono una seconda vita nella voce degli attori che li trasformano da inchiostro a suono. L’onda lunga dell’oralità di ritorno, o oralità secondaria – com’è stata definita già negli anni Sessanta e Settanta da studiosi come McLuhan e Walter Ong – non ha finito di espandersi inglobando ambiti più vari e vasti fino a toccare, nella sua sostanza, uno spazio eminentemente libresco come quello della letteratura.
Il diffondersi di una retorica ramificata e transmediale della narrazione e dello storytelling (come usa fare, per esempio, il già citato Baricco nella sua Scuola Holden) è parte di questa evoluzione e ad onta degli schermi che guadagnano sempre più pollici sui nostri telefonini è molto probabile che l’evoluzione tecnologica riservi sorprese e svolte inedite, negli anni a venire, più dalla parte dell’orecchio che da quella dell’occhio. Un orecchio mutante, certo: scorporato e sempre più slegato dalla sincronicità che caratterizza il consumo abituale di voci e parole, un orecchio diffuso nello spazio e nel tempo. Nonostante la fortunata vulgata sociologica che vede l’immagine come il medium per eccellenza della moderna riconfigurazione della comunicazione e della sensibilità umana, anche il suono sta diventando sempre più centrale: forse perché il campo visivo è ormai saturo, mentre quello auditivo è ancora in buona parte terreno vergine da mettere a profitto.
Ma tornando agli audiolibri, la traduzione acustica di un romanzo produce forme di trasformazione del testo e della sua ricezione che meritano un’attenzione specifica. Un libro ascoltato camminando per strada non è esattamente lo stesso libro letto sul divano. La nostra capacità di concentrazione e la nostra memoria (il modo in cui la storia o il testo vengono integrati nei nostri ricordi) funzionano in modi diversi a seconda dei sensi coinvolti nella ricezione. Mi ha molto sorpreso come certi testi eminentemente letterari quali quelli dei succitati Bufalino e Gadda, se valorizzati da una lettura all’altezza, diventino non necessariamente più belli (è una valutazione soggettiva), ma certamente più semplici: molta della fatica legata alla decifrazioni dei registri o della complicata sintassi di autori notoriamente difficili è infatti a carico degli attori che interpretano. Liberato dell’onere della decodifica immediata l’ascoltatore può così orientare la propria attenzione su aspetti che altrimenti rischierebbero di passare inosservati. Altri aspetti al contrario possono scivolare in secondo piano: secondo Pavolini certi generi o libri che oggi suonerebbero vecchi ed enfatici vengono largamente riabilitati da una consona lettura ad alta voce. Insomma, nell’audiolibro esistono potenzialità che un lettore/ascoltatore potrà apprezzare anche oltre alla possibilità di continuare a coltivare il proprio vizio impunito mentre si sta facendo altro (tra le situazioni di ascolto di audiolibri più diffuse, oltre alla macchina che domina in prima posizione, le statistiche indicano le faccende domestiche, lo sport, il lavoro).
Non mancano le ombre, però: anzitutto gli editori di audiolibri nutrono i propri cataloghi prevalentemente di volumi che in formato cartaceo sono già stati best-seller. Prima di spendere qualche migliaio di euro tra tecnici, attore, sala di registrazione, un editore tende a minimizzare il rischio. Il risultato è che sfogliando il catalogo Emons o Audible trovo soprattutto letteratura ad alto coefficiente commerciale e quando mi imbatto in autori meno scontati, magari pubblicati da meritevoli e coraggiosi piccoli editori, si tratta sempre di casi di successi inattesi, come Elena Ferrante o Annie Ernaux. Da questo punto di vista Storytel, la società svedese che entrerà in concorrenza con Audible tra poche settimane, potrebbe sparigliare un po’ le carte puntando – così mi ha detto Marco Ferrario, il project manager italiano – più sull’editoria indipendente rispetto all’americana. Vedremo fino a che punto.
Un mercato più grande e concorrenziale potrebbe produrre una maggiore diversificazione dell’offerta ma in che direzione andrebbe questa diversificazione? Una sempre crescente quota dei prodotti che si trovano sulle piattaforme di questo genere è infatti costituita da contenuti che poco o nulla hanno a che fare con la letteratura: manuali di self-help, automotivazione, self-improvement, corsi di lingua (la stessa composizione di contenuti che appare, accanto alle trasmissioni radio, nelle succitate classifiche di podcast), o prodotti seriali sulla cui natura e qualità non azzarderei previsioni. Dopo avere ascoltato Marco Azzani, responsabile Audible Italia, spiegarmi il loro progetto in mezzo a un mare di anglicismi ho avuto la vaga percezione che se domani i suoi capi d’oltreoceano realizzassero, in base alle ultime stime, che il modo migliore di fare utili è quello di distribuire nei mesi precedenti alla prova-costume ritornelli ipnotici che fanno passare l’appetito, gli audiolibri potrebbero benissimo smettere di essere il loro “core business”.
Un letterato di questi tempi dev’essere pronto alle ipotesi peggiori. Dirò di più: il fatto che il modello economico, comunicativo e culturale che anima la crescita di questo nuovo mercato sia quello statunitense non lascia troppo sperare circa il ruolo che potrebbe giocare al suo interno il retaggio, diciamo così, umanistico della cultura europea (se ancora queste espressioni – “retaggio umanistico”, “cultura europea” – significano qualcosa). Alle volte, mentre attraverso il traffico ascoltando un racconto dei Sillabari di Parise letto da Nanni Moretti e aumento di 2x la velocità della voce così da riuscire a concludere il suddetto racconto nell’ “interstizio” tra casa e il lavoro (non è vero, non l’ho mai fatto ma conosco qualcuno che lo fa regolarmente), oppure se ascolto le storie di montagna di Cognetti percorrendo il cammino che mi divide dalla piscina dove nuoto nella pausa pranzo ogni mercoledì e venerdì, in quei momenti mi sfiora piuttosto insistentemente il dubbio che la mia vita stia diventando un foglio excel salvato nell’archivio del capitalismo globale, una ben diversificata cronologia di consumi culturali-e-non all’interno della quale qualsiasi disinteressata forma d’arte finirà brutalmente schiacciata (o svuotata) dalle ottuse ragioni di una ratio economica perfettamente interiorizzata.
Ma, come dicevo, sono ansie fisiologiche per un letterato in tempi di recessione libresca, e molto difficilmente mi spingeranno a rinunciare alla lieta compagnia degli audiolibri nel traffico ostile di una fredda e brumosa mattina di novembre.