A Roma, nell’ultimo anno e mezzo, ci sono state irregolarità in un appalto su due. La guardia di Finanza della Capitale ha scoperto sette milioni di mazzette e novanta milioni di peculato in una situazione dove “la corruzione è solo la punta dell’iceberg di inefficienze e sprechi di risorse”. Eppure in molti, a partire da quella notte del 2 dicembre 2014, erano pronti a scommettere che “nulla sarebbe più stato come prima”. Con trentasette arresti, l’inchiesta “mondo di mezzo” svelava un sistema di interessi intrecciati tra malavita e colletti bianchi che ha portato Roma a un passo dalla contestazione del reato di associazione mafiosa per i soggetti incriminati. Nel frattempo si sono avvicendate tre giunte e il “nuovo” ha preso possesso del Campidoglio anche grazie a una campagna elettorale che ha avuto tra i vessilli più esposti la lotta senza quartiere alla corruzione. Dichiarazione d’intenti, a dire il vero tutt’altro che nuova, che lo scorso 13 giugno ha subìto l’ennesimo duro colpo da parte della magistratura. La realizzazione dello stadio della Roma, il più importante investimento privato in città da decenni, è finita al centro di un’inchiesta per presunta corruzione che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di sedici persone e all’arresto di altre nove. Tra queste, oltre al costruttore Luca Parnasi, anche Adriano Palozzi, vicepresidente del Consiglio della Regione Lazio di Forza Italia, Michele Civita, ex assessore regionale del Pd e Luca Lanzalone, presidente di Acea e consulente per il Movimento 5 Stelle sullo stadio.
“Roma continua a essere una preda facile perché la sua macchina amministrativa è fragilissima e permeabile alla criminalità“. Ne è convinto Alfonso Sabella che, a Il Tascabile, spiega come il morbo della corruzione riesca ad avere gioco facile in una città dove non si è ancora riusciti a risolvere per incapacità – o per interesse, direbbero i più maligni – diverse criticità sistemiche. Ex magistrato del pool antimafia a Palermo con Giancarlo Caselli e assessore alla Legalità della Capitale per dieci mesi a cavallo tra il 2014 e il 2015, per Sabella “Roma non soffre di una particolare specificità rispetto ad altre realtà italiane ma sicuramente, come evidenzia anche l’ultima indagine, ha dimostrato la sua incapacità di fare tesoro delle esperienze negative”. Anche perché, assicura l’assessore chiamato dall’allora sindaco Ignazio Marino appena scoppiò il caso di Mafia Capitale, sistemare la macchina amministrativa della Capitale è un’impresa tutt’altro che semplice: “dico sempre che in confronto arrestare Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca è stata una passeggiata di salute”.
Ma se Atene piange, Sparta non ride. Secondo l’ultimo indice stilato da Transparency International in merito alla percezione che i cittadini hanno della corruzione relativamente al settore pubblico, neanche il resto d’Italia è particolarmente fiducioso. Stando alla rilevazione, infatti, il nostro Paese si piazza al cinquantaquattresimo posto nel mondo su 180 Stati analizzati, con un punteggio di 50 su 100 e ancora colpevolmente lontano dalle zone alte della classifica. Basti pensare che in Europa ci fermiamo alla venticinquesima posizione su 31 Paesi, davanti solo a Slovacchia, Croazia, Grecia, Romania, Ungheria e Bulgaria.
Un problema, quindi, piuttosto preoccupante che nella Capitale è emerso in maniera evidente, soprattutto a causa di alcuni elementi che ne hanno favorito la diffusione. Primo tra tutti, secondo Sabella, la tendenza deleteria della politica a delegare ai burocrati “buona parte del potere, ottenendo in cambio una colpevole deresponsabilizzazione”. A Roma infatti, complice una macchina senza eguali in Italia e una sostanziale impreparazione a livello tecnico-giuridico di chi viene eletto, la burocrazia “si trova libera di agire senza controlli”.
Lo stadio della Roma è finito al centro di un’inchiesta per presunta corruzione che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di sedici persone e all’arresto di altre nove.
Il fenomeno non è nuovo e, per l’ex assessore che oggi si è rimesso la toga ed è Giudice al tribunale di Napoli, ha una data d’origine ben definita: l’8 marzo 1999. A partire dalla prima legge Bassanini in Italia si è creata infatti una “separazione sempre più netta tra indirizzo politico e gestione amministrativa”. In questo modo coloro che sono chiamati a governare la città, “anche a causa della scomparsa delle scuole di partito, hanno cominciato progressivamente a fare a meno di quelle competenze necessarie per vigilare sull’operato della burocrazia, limitandosi alle nomine dei dirigenti”. E proprio nell’ambito “di una buona legge, applicata male” sono proliferate pratiche, come le gare sotto soglia e senza evidenza pubblica, o le procedure d’emergenza, in cui i corruttori si sono infilati senza troppe difficoltà.
Per l’ex assessore “il burocrate, in molti casi, è animato dalla logica che io chiamo dell’ad culum parandum che, unita a una quota di lassismo che è presente in tutta la pubblica amministrazione, porta il dirigente a scegliere la procedura meno rischiosa”. Il processo decisionale soffre poi di una “cronica incapacità di programmazione, che fa vivere la città in una perenne situazione di emergenza” dove, se non si infila la corruzione, “a fare i danni ci pensa l’impreparazione di una classe dirigente non altezza, salvo alcune punte di effettiva eccellenza”.
L’importanza crescente dei funzionari pubblici nel sistema corruttivo, secondo l’ex magistrato, è certificata dal mercato illegale. “Se ai tempi di Tangentopoli ad essere pagati erano soprattutto i politici, negli ultimi due decenni c’è stato un progressivo spostamento delle mazzette che finiscono sempre di più nelle mani dei burocrati, e spesso in maniera preventiva a prescindere dal singolo affare”. Così accade che, come certificato dall’inchiesta “mondo di mezzo”, il consigliere capitolino riceva da Buzzi e Carminati “mille euro al mese, mentre il funzionario dell’ufficio giardini del Dipartimento Ambiente abbia in casa 572mila euro di tangenti. Il politico – spiega Sabella – per prendere quello che il burocrate ha preso in una volta sola si deve far corrompere per 47 anni di fila“. Inoltre, aggiunge l’ex assessore, si tratta di un sistema in cui corrotti e corruttori si fanno forti di un diffuso senso di impunità “giustificato” dai numeri. Secondo l’ultimo report del Consiglio d’Europa, infatti, i colletti bianchi nelle nostre prigioni, condannati per reati economici e finanziari, sono 363 contro i 1.971 della Spagna, i 2.268 della Francia, i 6.511 della Germania e gli 11.091 della Gran Bretagna.
Per arginare questa tendenza dilagante, non solo a Roma ma in tutta Italia, secondo Sabella è necessario che la politica torni ad assumere con rigore il suo compito di vigilanza. E che allo stesso tempo si prodighi nell’approvare riforme necessarie che impongano i principi di pianificazione dell’azione amministrativa e della semplificazione alla burocrazia. A tal proposito, durante i dieci mesi di assessorato, l’ex magistrato era riuscito a introdurre alcune strutture e alcuni meccanismi in grado, “non dico di fermare la corruzione perché è un’utopia, ma per lo meno di rendere la vita difficile a corrotti e corruttori“. Tra questi la Centrale unica di committenza che aveva il compito di riunire in un’unica struttura le migliori professionalità del Campidoglio con l’obiettivo di gestire al meglio le procedure di gara. “Se bisognava acquistare le sedie per tutti i Municipi, Roma Capitale non faceva un’unica gara ma quindici diverse. Questo sistema, oltre a ignorare i benefici dell’economia di scala che consente di pagare la sedia molto di meno, comportava uno spreco di risorse e moltiplicava le occasioni di corruzione“. La riforma, però, dopo essere stata approvata in giunta è stata messa nel cassetto all’arrivo in Campidoglio del commissario Tronca. E in quel cassetto ci è rimasta anche con l’amministrazione Raggi.
Per arginare questa tendenza dilagante, a Roma e in tutta Italia, secondo Sabella è necessario che la politica torni ad assumere con rigore il suo compito di vigilanza.
Nel libro Capitale Infetta. Si può liberare Roma da mafie e corruzione?, scritto proprio da Sabella insieme al giornalista Giampiero Calapà, l’ex assessore, ripercorrendo i mesi del suo mandato, mette in fila i provvedimenti adottati che, suo malgrado, sono rimasti lettera morta. Tra questi, quello che ricorda con più amarezza è la delibera che tentava di introdurre maggiore trasparenza nel rapporto tra imprenditoria e politica. L’abolizione del finanziamento pubblico diretto e indiretto ai partiti, negli ultimi anni, ha avuto infatti come conseguenza la moltiplicazione di una serie di fondazioni e onlus, con al vertice il capo politico di riferimento che, in questo modo, può ricevere liberamente finanziamenti senza alcun obbligo di dichiarazione. Non essendo ancora stata prevista dal legislatore una regolamentazione che corregga questo difetto di trasparenza (invocata anche dal presidente dell’autorità Anticorruzione Raffaele Cantone), Sabella aveva introdotto una direttiva di emergenza che obbligava “chi contrattava con Roma Capitale a dichiarare tutti i contributi che versava ai partiti politici ma anche alle Onlus e alle fondazioni. E aver saputo, ad esempio, che Parnasi – l’imprenditore al centro dell’inchiesta sullo stadio della Roma (ndr) – aveva finanziato tutta una serie di persone probabilmente avrebbe acceso qualche lampadina in chi era deputato a fare controlli”.
Maggiore trasparenza come antidoto alla corruzione è una ricetta che condivide anche Pierpaolo Romani, il coordinatore nazionale di Avviso Pubblico, un’associazione di enti locali, associazioni e amministratori impegnati nella prevenzione e nel contrasto delle mafie e del fenomeno corruttivo. Dall’impegno di questa comunità, come spiega Romani a Il Tascabile, nel febbraio del 2012 è nata una Carta che indica concretamente come un buon amministratore può declinare nella quotidianità i principi di trasparenza, imparzialità, disciplina e onore previsti dagli articoli 54 e 97 della Costituzione. “L’obiettivo è fornire un codice di comportamento che aiuti a rafforzare e a diffondere una politica che sia credibile e responsabile, attraverso l’utilizzo di divieti e sanzioni”. Tutti coloro che hanno sottoscritto la Carta (molti candidati ed eletti e trentatre tra enti e amministrazioni), ad esempio, devono rispondere all’obbligo di non accettare regali per un importo superiore a cento euro l’anno. E tra i divieti si affronta un altro aspetto importante: “Non bisogna guardare solo a chi prende degli appalti in virtù di un illegale do ut des – spiega Romani – ma deve essere normato, come scriviamo nel codice, anche cosa non può fare un politico che ha rivestito ruoli decisori una volta che ha terminato la sua attività”. Nella carta è previsto, infatti, che l’ex amministratore “non può svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del suo mandato, attività lavorativa o professionale presso soggetti privati direttamente beneficiari di decisioni e attività alle quali l’amministratore abbia preso parte esprimendo voto o parere favorevole”.
La speranza, spiega il coordinatore nazionale di Avviso Pubblico, è ricostruire il rapporto di fiducia tra elettori e politica, partendo da un’assunzione di responsabilità di quest’ultima. Per riuscirci, oltre a incentivare la formazione degli amministratori e del personale della pubblica amministrazione, è necessario “investire tantissimo in cultura al fine di combattere la dimensione sociale del clientelismo e del nepotismo che agevolano sicuramente la nascita e l’espansione di fenomeni più grandi come la corruzione e le mafie”. Un intento che, stando alle pochissime sanzioni comminate tra gli aderenti della Carta, sembra trovare riscontri nell’utilizzo di codici di autoregolamentazione.
Nonostante le ultime inchieste e il clamore che suscita una Capitale “infetta e corrotta”, una speranza di redenzione esiste, e deve esistere, sia per Roma che per il Paese. Stando ai dati di Transparency International, già citati in precedenza, dal 2012 a oggi l’Italia ha scalato 18 posizioni, “non poche – scrive l’organizzazione – soprattutto se si pensa che il trend è in assoluta controtendenza con l’andamento registrato dalla maggior parte degli altri Paesi”. L’ascesa, secondo Transparency International, è stata favorita dell’approvazione della legge anticorruzione, dall’istituzione dell’Anac, ma anche da nuove norme sugli appalti e dalla recente tutela dei whistleblower. Eppure rimangono ancora diversi angoli bui da normare, a partire dalle forme di finanziamento dei partiti, che è necessario illuminare per rendere finalmente l’Italia e la sua Capitale una preda meno appetibile.