I l 1968 ebbe in Brasile caratteri peculiari: drammatici sul piano politico e avvincenti in termini culturali. Da quest’ultimo punto di vista ne fu apice un disco uscito a luglio, Tropicália ou Panis et Circensis: manifesto programmatico di un fenomeno musicale cronologicamente effimero eppure influentissimo sul corso degli eventi successivi. Ad animarlo furono anzitutto Gilberto Gil e Caetano Veloso. Nel racconto biografico del 2002 Verità tropicale, il secondo lo riassume così: “Una miscela genuina fra le aspirazioni ridicole degli americanofili, le buone intenzioni naif dei nazionalisti, la tradizionale arretratezza del Brasile e l’avanguardia locale – la nostra materia prima era costituita da qualsiasi cosa appartenesse all’autentica vita culturale del Paese”. E in un’intervista concessa ad Ana de Oliveira per l’eccellente sito tematico tropicalia.com.br:
Eravamo interessati alla conquista dello spazio, al rock’n’roll, alla musica elettronica. Quelle cose lì, nelle avanguardie e nell’industria dell’intrattenimento.
Intendendo cioè una relazione dialettica fra la cultura del posto e l’incontenibile pervasività del pop angloamericano, in una coniugazione pionieristica del motto “pensa globale e agisci locale” animata da un cosmopolitismo spontaneamente anarchico.
Su scala autoctona era evidente il legame con il Modernismo, che negli anni Venti aveva contribuito a definire l’identità culturale del Brasile a un secolo dall’indipendenza, essendo influenzato anch’esso da fattori allogeni (cubismo, futurismo, dadaismo e surrealismo). Insieme allo scrittore Mário de Andrade e al compositore Heitor Villa Lobos, ne fu esponente di punta il poeta Oswald de Andrade, autore nel 1924 del Manifesto Pau-Brasil e quattro anni più tardi del Manifesto Antropófago, dove affermava che per dare slancio al processo di emancipazione post-coloniale era necessario cannibalizzare le culture forestiere, valorizzando d’altra parte – attraverso il mestizo – la dimensione multirazziale del Paese, corrispondente in musica all’ascesa del samba. Il Brasile si trovava tuttavia alla vigilia del colpo di stato che nel 1930 portò al potere Getúlio Dornelles Vargas, dittatore per 15 anni e propugnatore dell’Estado Novo, sorta di populismo affine al fascismo nostrano, tornato poi in carica con le elezioni del 1950 e morto suicida il 24 agosto 1954. Gli subentrò nel 1956 Juscelino Kubitschek, che diede impulso alla modernizzazione del Paese, simboleggiata dall’edificazione di Brasilia.
Ciò nonostante, all’avvento degli anni Sessanta, il Brasile rimaneva una nazione sottosviluppata, poco istruita, con un’economia in prevalenza rurale: premesse della svolta autoritaria incarnata dal regime militare insediatosi con il golpe del 31 marzo 1964, favorito dietro le quinte dalla Cia, ancora scottata dalla rivoluzione cubana del 1959, che depose João Goulart, presidente dal settembre 1961, le cui politiche di sinistra – ridistribuzione della terra, salari più alti, la ventilata minaccia di costringere le multinazionali a reinvestire in loco parte dei profitti – lo avevano reso inviso ai potentati economici, locali e non. La democrazia venne sospesa così per ventuno anni: inizialmente l’oppressione era “soffice” e in un certo senso paternalista (nessuna censura dei media, né artistica o culturale), ma a fine decennio le cose cambiarono in peggio. Pochi mesi dopo il colpo di stato, la versione anglofona di Garota de Ipanema immortalata su 45 giri da Stan Getz e Astrud Gilberto divenne un successo discografico di proporzioni enormi e sancì la consacrazione su scala planetaria della bossa nova. Gli autori erano Antônio Carlos Jobim e Vinicius de Moraes, nel 1959 già implicati – il primo per le musiche, l’altro per la sceneggiatura – nella realizzazione di Orfeu Negro, film diretto dal regista francese Marcel Camus, premiato lo stesso anno con la Palma d’oro a Cannes e nel 1960 con l’Oscar come migliore opera in lingua straniera. Padre fondatore di quell’evoluzione in chiave jazz del samba era stato tuttavia João Gilberto, originario di Bahia.
Fino a metà del XVIII secolo lo stato del Nordeste aveva rappresentato il fulcro della nazione e la sua città principale, Salvador de Bahía, fra le più antiche dell’intero continente, battezzata così nel 1502 da Amerigo Vespucci, ne era stata capitale politica ed economica, poiché l’attività portuale favoriva ogni genere di traffico, compreso quello degli schiavi africani. A lungo andare, tuttavia, l’ostilità dell’ambiente circostante – l’arido sertão raccontato da Jorge Amado – l’avrebbe condannata a divenire una delle zone più depresse del Paese, mentre ricchezza e potere si concentravano a sud, fra Rio de Janeiro e São Paulo. Rimase comunque fertilissima da un punto di vista culturale, essendo culla delle tradizioni afrobrasiliane: il sincretismo religioso del candomblé, il rituale della capoeira, il folklore del Carnevale, le stesse radici del samba. E là fecero non a caso apprendistato i “tropicalisti”.
Caetano Veloso: nato nel 1942 a Santo Amaro, dal 1960 studente di filosofia a Salvador, dove familiarizzò con i poeti José Carlos Capinan e Torquato Neto, cominciando altresì a fare musica con i Bahians. Gilberto Gil: originario di Ituacu, coetaneo di Veloso e nero di carnagione. Gal Costa: nativa del capoluogo, classe 1945. E Maria Bethânia, di un anno più giovane: sorella minore di Caetano. Tenevano concerti insieme, come “Nos, Per Examplo” dell’agosto 1964, per l’inaugurazione del teatro Vila Velha, e “Nova Bossa Velha. Velha Bossa Nova”, al quale partecipò anche Tom Zé (nato nel 1936 a Irará): studioso di avanguardie musicali, fondatore dei Bahian Composers, scultore e agitatore culturale. Si nutrivano della bossa nova di João Gilberto, mescolandola però agli insegnamenti di John Cage, Bertolt Brecht e Albert Camus, e gravitavano intorno all’Universidad Federal de Bahía, cui faceva riferimento pure il cineasta Glauber Rocha, destinato a diventare alfiere del Cinema Novo. Quel polo scolastico era motore intellettuale della città al pari del neonato Museu de Arte Moderna, con annessa sala cinematografica d’essai: milieu nel quale prese forma l’idea di ibridare la cultura del posto con i linguaggi delle avanguardie euroamericane.
Frattanto il deficit di democrazia aveva spinto una parte dei protagonisti della scena musicale a reagire politicizzandosi: una delle interpreti più popolari, Nara Leão, nel dicembre 1964 stella a Rio del musical militante Opinião di Augusto Boal (teorico del Teatro do Oprimido), rimpiazzata poi da Bethânia nelle successive repliche a São Paulo, arrivò a disconoscere la bossa nova, giudicandola “alienante”, e contribuì così al suo superamento canonizzato dalla definizione Música Popular Brasileira. Ciò coincise con l’arrivo a sud dei bahiani nel 1965 per lo spettacolo Arena Canta Bahía, prodotto ancora da Boal. Ad aprire la breccia verso il successo fu Gilberto Gil, grazie a un’apparizione nello show televisivo di Elis Regina O Fino da Bossa: primo del gruppo ad avviare una carriera discografica, seguito da Veloso, Costa e Bethânia, attraverso l’impresario Guilherme Araújo. Il canovaccio rimaneva quello tracciato da João Gilberto (diceva Caetano: “Il nostro scopo era preservare l’essenza della bossa nova”), già affrontato però in maniera evoluta tanto in chiave stilistica quanto sul piano politico, con il rigetto del paternalismo piccolo borghese della classe media benestante di sinistra, in larga prevalenza bianca.
Stava germinando una ribellione artistica che in origine venne chiamata “Som Universal”. A potenziarne la densità culturale furono il contatto con gli esponenti paulisti della poesia concreta, in particolare i pionieri Augusto e Haroldo de Campos e Décio Pignatari, in seguito partner di Veloso nelle composizioni “verbivocovisual” (la lingua verbale, vocale e visuale sperimentata da James Joyce in Finnegan’s Wake), e la relazione con gli accademici dell’avanguardia post-cageiana Júlio Medaglia e Rogério Duprat, quest’ultimo allievo in Europa di Stockhausen e Boulez, nonché membro del collettivo Música Nova, curatore degli arrangiamenti per Panis et Circenses (da cui la nomea di “George Martin brasiliano”) e nel 1968 autore dell’album A Banda Tropicalista do Duprat.
Più che nei dischi editi durante l’anno da Gil (Louvação) e Veloso (Domingo, con Gal Costa), le avvisaglie del cambiamento divennero inequivocabili nell’ottobre 1967, quando i due parteciparono alla terza edizione del “Festival de Música Popular Brasileira”: gara canora in onda su TV Record di São Paulo. Affiancato dagli strumentisti argentini The Beat Boys, Caetano cantò Alegria, Alegria e Gil propose Domingo no Parque, accompagnato dai paulisti Os Mutantes, trio composto dai fratelli Arnaldo e Sérgio Dias Baptista insieme a Rita Lee. Lo “scandaloso” suono elettrico fece un effetto analogo a quello suscitato tre anni prima da Bob Dylan al raduno folk di Newport. I brasiliani stavano assorbendo l’energia vitale e visionaria del rock (il primo giugno i Beatles avevano pubblicato Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band) e la combinavano con le formule della Música Popular Brasileira. L’intuizione di usare il vocabolo Tropicália per definire quanto stava accadendo viene attribuita da Veloso al produttore cinematografico e sceneggiatore Luiz Carlo Barreto, che ascoltando una sua canzone ancora senza titolo la paragonò a un’installazione dell’artista Hélio Oiticica, chiamata appunto in quel modo ed esposta nel contesto della mostra Nova Objetividade Brasileira al Museu de Arte Moderna di Rio de Janeiro nell’aprile 1967 (i visitatori camminavano sulla sabbia in un ambiente tropicale per arrivare infine di fronte uno schermo televisivo).
Cosicché, mentre in primavera uscivano gli album realizzati da Gil, Veloso e Os Mutantes con gli arrangiamenti di Duprat, a maggio prese forma l’opera collettiva che ufficializzò l’avvento del nuovo corso, divenendone manifesto concettuale: una raccolta di dodici canzoni suonate e cantate da Veloso (l’elegiaca Coração Materno e l’astrattista Enquanto Seu Lobo Não Vem), Gil (il profano Miserere Nóbis d’apertura, Gelèia Geral e la sulfurea Bat Macumba), Os Mutantes (allucinogeni in Panis et Circensis), Gal Costa (la stilizzata Mamãe, Coragem) e Nara Leão (la pigra e aristocratica Lindonéia), con brani in coppia (il delizioso Baby di Gal e Caetano e la cover dello standard guajira del compositore spagnolo Augusto Algueró Dasca Três Carabelas da parte di Veloso e Gil) e due episodi corali (il satirico Parque Industrial e l’ironico Hino do Senhor do Bonfim). Unica assente: Marias Bethânia, che frattanto si era dissociata dai “rivoluzionari”.
A descrivere in modo efficace l’atmosfera del Sessantotto tropicalista è un reportage pubblicato ai tempi dal quotidiano “Jornal de Tarde”: racconta un happening con Veloso, Gil, Nara Leão e Maria Bethânia in una gafieira (sala da ballo di samba) di São Paulo. “C’era una gran folla di fronte al Som de Cristal, in via Rego Freitas. Dentro, il locale era stipato da oltre duemila persone: alcune vestite casualmente, altre in abito da sera. Qualche ragazzo indossava pantaloncini e magliette del Palmeiras o del Corinthians. Nulla di sorprendente: erano lì per la registrazione della prima puntata del programma ‘Tropicália ou Panis et Circensis’ di Gilberto Gil e Caetano Veloso. La pista era decorata con rami di palma. Sui muri, striscioni con frasi come ‘Nessun problema’, ‘Sei riconoscibile’, ‘Bimbo, non vedrai’, ‘E adesso, José?’, ‘Fai pure, è una fetta di torta’, ‘Lo farò’, ‘Cugino, sei tu quello felice’, ‘Non riusciremo a distruggerlo se non distruggiamo le rovine’, ‘Non rimarremo senza pesce nella settimana di Pasqua’”.
I “tropicalisti” stavano esplorando una terra di nessuno e finirono sotto attacco dei nazionalisti di sinistra, che li accusavano di sottomissione all’imperialismo colonialista. Plastica dimostrazione del conflitto culturale in atto fu il convegno organizzato il 6 giugno 1968 alla facoltà di Architettura e Urbanistica dell’università di São Paulo con Gil, Veloso, Pignatari, Augusto de Campos e altri: all’ingresso venne distribuito un pamphlet avverso al fenomeno basato su uno scritto di Boal (il quale evidentemente non aveva digerito l’abiura della tradizione) e in sala volarono banane e petardi all’indirizzo dei conferenzieri. Il 15 settembre, poi, in occasione del concorso “Festival Internacional de Canção”, promosso a Rio da TV Globo, Caetano (vestito di verde limetta e nero vinile con al collo una collana di cavi elettrici e denti di alligatore) e Os Mutantes (dall’aspetto e il suono alieni) eseguirono il rumoroso inedito É Proibido Proibir (titolo mutuato dal celebre slogan del Maggio francese) di fronte a un pubblico di studenti inferociti, dopo che Gil (con indosso un “dashiki”, costume tradizionale africano) era stato fischiato sonoramente per Questão de Ordem, canzone ispirata a Jimi Hendrix. Un’apparizione in stile happening conclusa da Caetano – mentre sul palco pioveva di tutto: tazze, frutta, uova e pezzi di legno – arringando la folla con queste parole: “E così voi sareste i giovani che dicono di voler prendere il potere! Se in politica vi comportate allo stesso modo, siamo fregati!”.
Se c’era un problema a sinistra, figurarsi a destra. Il 26 giugno Veloso, Gil e altri tropicalisti avevano partecipato alla “Paseata dos Cem Mil”, organizzata a Rio in risposta all’assassinio di uno studente a una manifestazione precedente, e a inizio ottobre furono protagonisti con Os Mutantes di una serie di concerti in città avendo dietro di sé sul palco del club Sucata uno stendardo firmato da Oiticica raffigurante il corpo martoriato di Cara de Cavalo, malavitoso della favela vittima – prima in assoluto – degli squadroni della morte appena costituiti, con sotto lo slogan Seja marginal, seja herói (“Sii criminale, sii eroe”). La cerimonia di commiato ebbe luogo sugli schermi televisivi in autunno con lo show tropicalista “Divino, Maravilhoso”, trasmesso dalla paulista TV Tupi e intestato come un brano marcatamente rock registrato da Gil e Veloso: in una puntata Caetano intonò un vecchio samba puntandosi una rivoltella alla tempia e nell’ultima, in onda il 23 dicembre, venne inscenata una simulazione delle esequie del movimento (un po’ come il corteo funebre The Death of Hippie organizzato il 6 ottobre 1967 dai Diggers a San Francisco per seppellire l’Estate dell’Amore).
Quattro giorni più tardi, il 27 dicembre, Veloso e Gil furono arrestati a São Paulo per attività sovversiva: un effetto del provvedimento A1-5, emesso un paio di settimane prima (e in vigore fino al 1979), che metteva fuorilegge l’opposizione politica, sospendeva i diritti individuali e censurava arte e cultura. Trascorsero due mesi in carcere e quattro agli arresti domiciliari senza alcun processo, per poi essere invitati a lasciare il Paese. Dovendo pagarsi i voli per l’Europa, allestirono uno spettacolo al teatro Castro Alves di Salvador (doppio appuntamento: pomeridiano e serale) il 20 luglio 1969, giorno del primo sbarco dell’uomo sulla Luna, con replica il 21 (da quegli show fu ricavato l’album dal vivo Barra 69). Dopo di che partirono quasi subito per l’esilio, facendo scalo inizialmente a Lisbona e quindi a Parigi, per stabilirsi infine a Londra, dove soggiornarono due anni e mezzo (nel marzo 1970 si esibirono in coppia alla Royal Albert Hall e il 27 agosto, insieme a Gal Costa, al festival ospitato sull’isola di Wight). Poterono rientrare in patria all’inizio del 1972, quando ormai lo slancio tropicalista si stava smorzando e incombeva il “vazio cultural” (“vuoto culturale” che noi chiameremmo riflusso). Li attendeva un futuro da artisti di grande successo e insigni personaggi pubblici: Gil sarebbe diventato addirittura ministro della cultura con Lula dal 2003 al 2008, mentre la fama di Veloso venne moltiplicata su scala globale nel 2002 dal cammeo in Parla con lei di Pedro Almodóvar, nel quale canta Cucurrucucú Paloma.
A conti fatti la vicenda era durata una ventina di mesi, dall’esposizione dell’opera di Oiticica all’epilogo televisivo, eppure tanto bastò a segnare un punto di svolta nella storia culturale del Brasile. Nulla fu più lo stesso dopo che quell’impulso sperimentale spinse la Música Popular Brasileira fuori dal suo alveo per incontrare i nuovi oracoli angloamericani (Dylan, Hendrix, i Beatles), accogliendo d’altra parte suggestioni cinematografiche (dalla nouvelle vague di Godard e Truffaut al neorealismo italiano) e letterarie (Joyce, Ezra Pound, E.E. Cummings), in una pratica aggiornata del “cannibalismo” predicato quattro decenni prima da Oswald de Andrade messa in atto ondeggiando con disinvoltura warholiana fra quei riferimenti alti e certi altri viceversa “bassi” (ad esempio l’icona kitsch di Carmen Miranda, diva da esportazione negli anni Quaranta). L’eco di Tropicália è arrivata così fino a noi, influenzando artisti delle generazioni seguenti: anzitutto David Byrne, che nel 1989 produsse l’album Rei Momo, com’è detto cioè a Salvador il Re del Carnevale, e creò l’etichetta discografica Luaka Bop, editrice dei due volumi dell’antologia tematica Beleza Tropical e delle successive ristampe delle opere di Os Mutantes e Tom Zé (meno popolare degli altri tropicalisti, a causa del suo stile concettuale). Potremmo citare poi Beck, il cui lavoro del 1998 Mutations conteneva un brano intitolato Tropicália, e i Tortoise, paladini statunitensi del post rock che nel 1999 hanno affiancato Zé nella sua prima tournée americana. E nel gennaio 1993, quando i Nirvana suonarono al festival “Rock in Rio”, intervistato alla vigilia da MTV Brasil, Kurt Cobain pronunciò un’apologia entusiastica di Os Mutantes. Sette mesi più tardi Gil e Veloso avrebbero pubblicato il disco celebrativo Tropicália 2.