L e hanno cantate tutti, da Omero a Max Gazzè, da Wagner a Rilke e Debussy. Ne hanno scritto Ovidio, Apollonio Rodio, Cicerone, Kant, Celine, Kafka, Blanchot, Tomasi di Lampedusa, Joyce, Robert Walser, Tanizaki, Kōbō Abe. Le sirene incantano. Le sirene divorano. Le sirene non si innamorano. Le sirene sono ibride e feroci. Cangianti e seduttive. Le sirene sono bellissime, anche se in realtà Omero, il loro primo cantore, non fa cenno al loro aspetto fisico. Di volta in volta sono state uccelli rapaci, mostri, pesci, ondine, serpenti. Icone queer ante litteram, simboli della nostra tensione verso l’infinito, esseri mutanti e, per questo pericolosi, divinità “meridiane” come le ninfe e il dio Pan, incarnazioni dell’amor fati. “Sirene: ipotetico animale marino”, sintetizzava Jorge Luis Borges nel “Libro degli esseri immaginari”. Dal greco “syrizo” (zufolare, fischiare) oppure dal sostantivo “seira”, “corda”, “colei che avvince” o anche dal radicale semitico “sir”, “incantamento”. Le etimologie si sovrappongono, e così le sirene incantano e confondono anche linguisticamente. Per uscire dallo smarrimento che provocano questi esseri ci vorrebbe una guida, una bussola, una mappa. Un atlante.
Da non confondere con altri titoli simili pubblicati sulla scia di una recente moda editoriale, quello edito da Il Saggiatore è un libro iconograficamemente ricco, ma sempre traboccante di contenuto. L’Atlante delle sirene di Agnese Grieco non è certo il primo tentativo di intrappolare le sirene in un volume – ottimo dal punto di vista dell’erudizione Il mito delle Sirene di Maurizio Bettini e Luigi Spina (Einaudi) -, il libro di Grieco riesce tuttavia nel compito più arduo: quello di rendere lo smarrimento, di confonderci ancora a proposito delle “creature che ci incantano da millenni”. Non solo perché l’Atlante è un “viaggio sentimentale”, come recita il sottotitolo, e perché l’autrice stessa si dichiara vinta dal fascino paralizzante delle sirene; ma anche perché a mescolare ancora di più le carte qui trovano posto anche le storie di alcune figure, reali o letterarie, che della sirena propriamente detta condividono i tratti e la natura (come ad esempio l’Iguana di Anna Maria Ortese o le Ondine germaniche).
Drammaturga e traduttrice, Grieco si mette “in ascolto”, consapevole che molte sono le “sirene che sono rimaste fuori dalla porta ad aspettare”. Il saggio si concentra infatti sulla sirena europea – quella greca, le sue colleghe mediterranee, nordiche e scandinave, per arrivare fino in Cina e Giappone dove la sirena è curiosamente un’icona occidentale – e in misura minore sulle sue versioni extraeuropee. (Peccato, perché in certi paesi il culto delle dee del mare è ancora molto vivo. In Brasile, soprattutto nel Nordest, la sirena nella sua rivisitazione yoruba è adorata come un vero e proprio culto con il nome di Yemanjá e celebrata ogni anno il 2 febbraio. Entrate in una pousada a Bahía e troverete una statuetta di una sirena laddove in Europa ci potrebbe essere un crocifisso). Rimangono fuori dalla porta anche le infinite variazioni “sireniche” del pop, da Tim Buckley (“Song to the Siren”) a Nick Cave (“I believe in God, / I believe in mermaids too”), da Carmen Consoli a Vinicio Capossela e De Gregori.
Perché in fondo qualsiasi cosa si scriva su di loro è un testo mancante: la sirena nei secoli ha subito varie metamorfosi, anche nelle rappresentazioni di sé. Se la sirena greca è un essere metà donna e metà uccello e i bestiari medioevali contengono spesso entrambe le tipologie (tanto che la lingua inglese ha mantenuto due termini, “siren” e “mermaid”), è difficile stabilire un momento di passaggio preciso da una all’altra forma. Come sa Agnese Grieco le sirene sono “creature altamente ermeneutiche”, non basta analizzare la letteratura, ma conviene indagare anche tra testi di naturalisti, memorie di esploratori o giornali d’epoca in cui si raccontano “apparizioni straordinarie” di sirene. Cristoforo Colombo annotò nel suo diario che aveva avvistato tre sirene, e aggiunge “non sono così belle come le dipingono”. Del resto fu Kant a guastare come sempre le feste e dichiarare che di questi “esseri rari e bizzarri di natura incerta” dovrebbe occuparsi la zoologia, e non l’antropologia. Nel 1842 al Barnum’s American Museum venne offerta alla curiosità del pubblico una mummia di sirena.
Molte false sirene si trovano nelle collezioni di scienze naturali. Nei secoli la sirena diventa “soggetto queer” per eccellenza, sostiene l’autrice. Mutanti, seduttive, talvolta divinità buone, altre “icone di passioni rovinose”. Nel 1948 la sirena, in una delle sue prime apparizione sul grande schermo, è la protagonista della bizzarra commedia Miranda di Noël Coward. Rimasta impigliata in una lenza, si trasferisce a vivere in terraferma (in Cornovaglia) fingendo di essere paralizzata e vivendo su una sedia a rotelle, ricoperta da abiti ampi. Cosa c’è di più queer di questa “madre, single e transgender”? Forse è per questo che le sirene ci attirano tanto. O perché, come ha scritto Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo capolavoro La sirena (1958) sono esseri “pericolosi come tutti i doni del mare che dà la morte insieme all’immortalità”. In tutti i casi, come leggiamo in questo preziosissimo atlante, “le sirene sono dentro di noi”.