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el 1919, in una delle poche occasioni in cui mise il naso fuori Providence, Howard Philip Lovecraft si recò a Boston, per assistere a una conferenza di Lord Dunsany, l’immaginifico scrittore irlandese. Tornò da quel viaggio con la strana idea di creare un pantheon di divinità fantastiche, le quali influenzassero in qualche maniera l’ordito delle azioni umane. Questa idea in seguito si svilupperà nel grande ciclo di racconti e romanzi dei miti di Cthulhu. Quella conferenza cambiò la storia della letteratura soprannaturale e di fantascienza. Parecchi anni dopo, al principio degli anni Settanta, Alberto Breccia compra alla stazione di Madrid un’edizione economica de La maschera di Innsmouth per intrattenersi durante il lungo viaggio fino a Milano. L’autore di quel libretto è Lovecraft, e quel viaggio cambierà la storia del fumetto di tutto il mondo. Personalmente non credo nelle coincidenze, ma negli intrighi rocamboleschi, sì. Alberto Breccia nasce nel 1919, l’anno stesso, come abbiamo visto, in cui nella mente del narratore di Providence viene alla luce Cthulhu, la pietra angolare del suo nefando universo narrativo.
Howard Philip Lovecraft era morto da quarant’anni quando Alberto Breccia venne folgorato dalle sue storie. L’autore argentino aveva circa cinquant’anni, era tutt’altro che un permeabile appassionato di weird tales, non cercava astruse suggestioni, mostri abissali o gagliarde avventure comprate con due spicci, per di più aveva già messo le sue chine al servizio di Hector Oesterheld per il rifacimento politico dell’Eternauta, creando quello che sarebbe diventato in seguito un capolavoro del racconto a fumetti, eppure egli scorse nell’opera di Lovecraft una filigrana affascinante che lo stregò.
Mentre carezzava l’ispido pelo della materia lovecraftiana, Breccia stava per partire con un altro progetto bizzarro. Stava collaborando con l’amico scrittore Norberto Buscaglia per procedere a una grande impresa: ridurre Rapporto sui ciechi – il febbricitante terzo capitolo di Sopra Eroi e Tombe di Ernesto Sabato – per il fumetto. Il grande Sabato, comunque affascinato dallo stile di Breccia, forse timoroso del mondo delle historietas, fece però ostruzionismo e pose il suo veto sulla versione prodotta da Buscaglia. Supponenza? Fermezza? Chi lo sa, il fatto è che Rapporto sui ciechi, l’ennesimo disturbante capolavoro di Breccia, si arenò e tra titubanze e rimandi diverrà un libro solo nel 1991. Fu così che, dopo questa cocente scottatura, Breccia passò la pratica Lovecraft a Buscaglia, il quale, forse rincuorato dal fatto di non doversela vedere con un autore vivente, vi si gettò con audacia, esercitando il suo bisturi d’autore per sintetizzare in poche stoccate racconti lunghi anche un centinaio di pagine. Alla fine spuntarono fuori otto sceneggiature.
Il Richiamo di Cthulhu, Il Colore venuto dallo Spazio, L’Orrore di Dunwich, La Maschera di Innsmouth, La cosa sulla soglia, L’Abitatore del Buio, la Città senza Nome, Colui che sussurrava nel Buio – l’adattamento di un nono racconto, La ricorrenza, è firmato dallo stesso disegnatore argentino. Breccia e Buscaglia non hanno avuto nessuna forma di timore reverenziale: scorrendo questi titoli si snocciola il meglio della produzione del recluso di Providence.
Come se avesse subodorato la sfida insita nelle bestialità descritte da Lovecraft, ho il sospetto che Breccia abbia apparecchiato a dovere la situazione per entrare nella Storia, cercando di superare non solo le sue grandi capacità, ma le capacità stesse di raffigurazione del medium fumetto. A Breccia non basta infatti fare un bel fumetto: egli, scegliendo di formare, di plasmare l’invisibile dell’orrore soprannaturale, desidera operare come un esploratore, uno scout, intercettando le tracce di sentieri mai suggeriti al fine di raggiungere e scandagliare le terre incognite del racconto sequenziale. Questo intento farà la differenza, e permetterà al disegnatore argentino di costruire una pietra miliare del fumetto, stravolgendone, con selvaggia semplicità, le basi. Breccia scompone e ricompone vignette, sminuzza la materia visiva, sperimenta pennelli, tratteggi, gesti, sembra quasi scaricare sulla carta intere nevrosi, per piegare la sua professionalità alle ineffabili visioni delle deità cthulhiane.
Riesce in questo portento d’artista con la disciplina rigorosa, e come egli stesso scrive, recludendosi per due anni ad assimilare la letteratura lovecraftiana, muovendosi sui meridiani agghiaccianti di spaventosi racconti, in cui niente è ciò che sembra. Dove città portuali sono attraversate da rivoltanti maledizioni, dove le grotte sotterranee nascondono riti ancestrali, dove le campagne sterminate del Rhode Island segnano i confini con mondi ingovernabili, dove le piene di un fiume trascinano a valle le carcasse putrefatte di qualcosa di innominabile che si nasconde da sempre nelle foreste di conifere del Vermont. Tutto è così concreto da essere quasi tangibile, e al contempo tutto si sfalda sotto l’arco ridicolo dei nostri sensi. E il fumetto si sfalda parallelamente alla nostra razionalità: Breccia compone personaggi e paesaggi con pennellate fumose, schizzi di china formano tentacoli, solventi sciolgono e reagiscono all’inchiostro scolpendo le guglie dell’infernale R’leyh, casa natia di ogni abisso e del Richiamo di Cthulhu, usa il collage brutalmente conservandone addirittura i bordi strappati, quando decide di concedere al lettore un disegno accademico subito dopo si affranca con un contraltare sperimentale di sfrontata prodezza, fino ad arrivare all’astrattezza fenomenale dell’Abitatore del Buio dove tutto galleggia nell’oscurità, proprio come il suo infame protagonista.
La lettura di questi racconti sradica il lettore dalla realtà e lo precipita in angosce senza origine e senza tempo, eterne quanto i più oscuri miti creatori. Infatti, secondo lo stesso Breccia:
Non volevo limitarmi a dare al lettore la mia propria rappresentazione di questi mostri; volevo che ogni lettore vi aggiungesse del suo, che utilizzasse questa base informe che gli ho fornito per sovrapporci i propri timori, la propria paura.
Più che raccogliere una sfida, Breccia ha raccolto il testimone di Lovecraft: questo ciclo di racconti, apparentemente d’intrattenimento, d’origine popolare, almanacca attorno al più grande degli Orrori, ovvero l’inconscio. Se Yog Sothoth, Cthuluh, Shub Niggurath e la sua prole stellare arrivano da dimensioni e galassie superiori, il terrore che suscitano ha la sua scaturigine nello sprofondo dell’animo umano, dove i formicolanti fantasmi della nostra vita riflettono lumi tremolanti, sono sfocati, si rivoltano immersi in una semitenebra soffocante, quasi rancida.
Dentro di noi ci sono cose più antiche delle stelle, e forse più spaventose. Questa è la lezione, pura e essenziale, che ci ha tramandato Lovecraft. Breccia l’ha assunta in una maniera fino ad oggi del tutto ineguagliabile. Si moltiplicano infatti gli interessi e i fallimenti attorno al mare magnum lovecraftiano, ma tutti gli autori, dai principianti ai più scafati, a mio parere, peccano in eccesso. Mostrano laddove si dovrebbe solo suggerire. La grande abilità della prosa di Howard Philip Lovecraft, non esattamente esente da eccessi o rozzezze, è proprio il sapersi fermare al momento giusto, tenendo l’orrore più immane taciuto nel finale. E Alberto Breccia ha colto appieno questa cifra, sfracellando parallelamente la materia fumetto in nuvole fangose dove naufraga minuscola e codarda la figura umana.
L’encomiabile grande formato scelto da Comma 22 e l’eccezionale resa visiva delle tavole impacchettano un libro, recentemente ristampato per la terza volta, che non può mancare nello scrigno segreto di qualsiasi appassionato e che rende perfettamente le atmosfere della totentanz cthulhiana senza fine di umani, pazzi e dèi, i quali, mano nella mano, scandiscono l’insensato pellegrinaggio in un vuoto universo che è la sintesi di tutte le esistenze.