S intetizzare la figura di Franco Basaglia è un compito arduo, non solo perché la sua figura sia incredibilmente complessa – anzi, per certi versi il percorso di Basaglia rappresenta un rapporto di incredibile linearità, coerenza unite a curiosità intellettuale quanto mai raro. È arduo cogliere la peculiarità di un intellettuale reale capace di farsi tramite, ossia nodo attivo di una rete capace potenzialmente di rigenerarsi all’infinito. Basaglia ha compreso che nel contemporaneo il nodo non era un oggetto da sciogliere, ma da stringere in quanto strumento più efficace per una comunicazione complessa e diffusa, capace di sostenere un cambiamento radicale attraverso un’azione capillare. Stringere quel nodo ha significato mettere in atto, come scrive Franca Ongaro Basaglia nella prefazione del 1981 agli Scritti di Franco ora ripubblicati da Il Saggiatore,
una lotta di liberazione, dunque, che parta da una critica della scienza, dei suoi dogmatismi, delle sue istituzioni, della sua falsa neutralità, per arrivare ad una critica ed un coinvolgimento dell’organizzazione sociale di cui scienza e istituzioni sono dei sistemi di controllo.
Due parole definiscono al meglio un’azione che oggi pare sempre più latitare: critica e coinvolgimento. Dove l’una, la critica è totalmente scomparsa trionfa l’altra, il coinvolgimento, ma in maniera pateticamente priva di senso: questo avviene in politica come nella retorica di una quotidianità pubblicitaria defraudata da qualsiasi ambizione, per non dire possibilità di cambiamento. La latitanza della critica, ormai derubricata quasi ad una sorta di cattivo umore di pochi, è forse una delle perdite più gravi proprio oggi che sarebbe quanto mai necessario riflettere per agire, pensare per definire dando così forma e pratica alle parole. Tutto questo al momento non si palesa all’orizzonte: anzi una continua e sottile reazione sembra sempre più attorcigliare le trame verso un pensiero (se mai possa definirsi tale) unico e unificante, una melma stagnante al cui odore ci si sta sempre più pericolosamente abituando.
Quindi a quarant’anni dall’approvazione della legge 180 – simbolo tangibile ed elemento vivo di cambiamento frutto di una lotta condotta da Franco e Franca Basaglia, con intelligenza e intransigenza insieme ad un gruppo di colleghi, amici e veri e propri compagni di vita – cosa resta dunque, è proprio il caso di dire, di quel maggio?
Intanto resta una delle più famose frasi di Franco Basaglia che al meglio definisce il senso di una lotta e di un cambiamento che come tale non è mai staticamente dato: “non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse, è importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente, ora sappiamo che c’è un altro modo di affrontare la questione; anche senza la costrizione”. E poi restano gli scritti che illuminano – prima ancora che sugli specifici temi – sulla qualità unita alla capacità di riflettere sul contemporaneo in una logica di tempo lungo, seppur sostanzialmente in tempi brevi e rapidissimi. Resta la qualità di un lavoro intellettuale – pare banale dirlo, ma non lo è – messo al servizio di una pratica di cambiamento.
Il lavoro intellettuale di Franco Basaglia è fatto di riflessioni istantanee come di analisi approfondite, la sua stessa lingua unisce rigore e sintesi, profondità e una sorta di indocile ironia. Leggere gli Scritti non significa cogliere con esattezza il senso di una lotta (per questo si rimanda alla bellissima e puntuale antologia curata da Franca Ongaro Basaglia, L’utopia della realtà pubblicata nel 2005 e disponibile da Einaudi), ma prendere possesso del materiale a disposizione, dell’organizzazione di un lavoro culturale, dell’architettura di un pensiero diffuso, colto, ma capace di accogliere l’ingenuità non come elemento di pura naïveté, ma quale elemento reale di stupore, motrice essenziale per rendere ciò che ora sembra impossibile.
Giustamente Il Saggiatore riprende in quarta di copertina la frase di apertura di Franca Ongaro Basaglia, che scrive: “Questa raccolta di scritti è la storia di una vita, di un’impresa, di un pensiero”. E la storia di una vita è qualcosa che assomiglia per verosimiglianza più ad un romanzo che ad un’autobiografia, e in una certa misura gli Scritti sono un romanzo contemporaneo proprio per la loro forma esplosa, il cui nucleo è dato da uno sperimentalismo che si fa vita e non solo narrazione.
Chiaramente gli scritti affrontano l’esperienza di pratica psichiatrica, gli anni a Gorizia, le dinamiche patologiche e cliniche dei malati, il senso di una comunità terapeutica, la crisi dell’istituzione, l’analisi del corpo delle persone. Temi che si susseguono senza una stretta organizzazione proprio perché dall’argomento più strettamente medico a quello più tipicamente politico o legislativo non esiste mai una linea di separazione. La lettura è unica, l’azione anche. Gli Scritti sono un corpo solo, compatto, vivono nel loro tempo e per questo sanno essere universali nella loro interezza: chiaramente non senza contraddizioni, un elemento di movimento che apre alla discussione, apre agli spazi sempre possibili.
Franco Basaglia, oltre a una raffinata analisi del rapporto tra malattia e istituzione, tra cura psichiatrica e società, restituisce non solo il senso di una lotta vecchia di quarant’anni, ma il senso di una lotta di liberazione che può essere tale solo se perenne, solo se partecipata da una comunità tanto coesa quanto aperta, capace di comprendere la diversità come valore primo di innovazione. La figura di Franco Basaglia è quella di un intellettuale il cui pensiero ha cambiato la vita a molte persone, migliorandola e magari complicandola un po’, ma è proprio in quella complessità che è possibile individuare il piacere, il godimento felice e anche il rischio di una vitalità innegabile e irriducibile, qualunque sia la reazione, qualunque sarà il futuro nel mare aperto.
Homme libre, toujours tu chériras la mer!La mer est ton miroir; tu contemples ton âme
Dans le déroulement infini de sa lame,
Et ton esprit n’est pas un gouffre moins amer.