A lan Pauls mostra un legame particolare con l’Italia, o forse come ogni argentino che si rispetti ha nel suo DNA questa affinità elettiva, a discapito di un cognome e di un aspetto teutonici. Anche per questo è molto amato dai lettori italiani, benché la sua letteratura, per dichiarazione propria, non accondiscenda le mode e le richieste editoriali del momento, ed anzi le avversi rivendicando una poetica della complessità e della noia come principio estetico anti-utilitaristico. Pauls ama d’altronde l’Italia del cinema di Antonioni, del quale si dichiara fanatico senza requie, cita Fellini nel suo ultimo romanzo riedito in Italia (Il passato, uscito da Sur a novembre 2017, con il suo Rimini, che si chiama così proprio, mi dice Alan, per omaggio alla città natale del cineasta). Segue però anche Nanni Moretti, con interesse. E si professerà oltretutto avido lettore di narrativa italiana degli anni Ottanta: mi sorprenderà citando Cavazzoni, I narratori delle pianure di Celati, la prosa di Bufalino, ma non solo – annovera il nostro giovane autore italiano meno italico, Luciano Funetta, tra le sue recenti letture.
Ci incontriamo a Firenze, da Todo Modo, la libreria fiorentina di Pietro Torrigiani e Maddalena Fossombroni, maestro di cerimonia il suo editore italiano Marco Cassini, che promuove da anni Pauls come autore in modo coerente e strutturato. Parleremo molto di Argentina, e del legame tra la Storia vissuta e le sue storie scritte, spesso in Pauls veri e propri teoremi di ossessioni, come nel caso de Il passato – un tour de force unico su un moderno amor fou degno a mio avviso del miglior Henry James – o della Trilogia della Perdita (Storia dei capelli, Storia del pianto – di prossima ripubblicazione sempre per Sur, e Storia del denaro). Ovviamente torneremo anche più volte nell’ambito cinematografico (lui sceneggiatore e critico cinematografico, i suoi fratelli attori) per comprendere il rapporto tra il grande schermo e la pagina scritta. Ci soffermeremo infine, attorno al saggio Il fattore Borges, sul suo interesse per le biografie letterarie di quegli artisti che attraverso la loro opera, dice Pauls, paiono ricreare interamente la loro vita (e non viceversa, ci tiene a precisare).
Partiamo dall’Argentina di oggi. Hai scritto opere come Il passato o i tre romanzi della Trilogia della Perdita dove la Storia con la S maiuscola diventa fondale di ricerche nell’intimità dei personaggi (o meglio dall’intimità di una relazione – Il passato – fino all’esteriorità assoluta dei soldi contanti di Storia del denaro). Parli in un’intervista di aver compiuto una scelta di “testimonianza”, descrivendo l’Argentina degli ultimi quasi cinquant’anni, evitando il romanzo politicizzato, più engagé. Qual è però il ruolo della letteratura oggi in Argentina, come testimonianza di quello che accade? Che ruolo hanno ancora gli scrittori argentini come intellettuali?
C’è solo a mio avviso una persona che è effettivamente un’intellettuale, alla vecchia maniera d’intenderlo: Beatriz Sarlo [tradotta in Italia da Quodlibet nel 2005 con Una modernità periferica. Buenos Aires 1920-1930; N.d.A]. Beatriz è un’accademica che almeno da 10 anni ha deciso in modo lampante di compromettersi nell’arena politica, con una chiara autorità. Lei è l’ultima e l’unica figura. Bisogna dire però che con il governo dei Kirchner si è lavorato affinché gli intellettuali potessero fornire alla politica un discorso più “denso”, più elaborato – e questo è qualcosa che in Argentina non si vedeva da molto tempo, dai tempi di Alfonsín [Raúl Ricardo Alfonsín, presidente argentino dal 1983 al 1989] che si contornò degli intellettuali della cosiddetta ex-sinistra radicale.
L’Argentina degli intellettuali e dei letterari è anche l’Argentina degli anni Trenta del Novecento, di grandi scrittori tra loro contrapposti attraverso la stagione di riviste importanti come Sur, Martín Fierro, il gruppo Boedo, alcuni più stilisti e snob, altri più militanti, di sinistra. Su tutti le due figure dicotomiche: Borges e Arlt. Tu come ti posizioneresti oggi?
Ritornando al rapporto tra la Storia argentina e i tuoi libri, vorrei concentrarmi su Il passato. C’è una frase che recita: “Quali creature sono così forti e tenaci da sopravvivere al vero e proprio cambiamento di era geologica che è la fine di una storia d’amore durata dodici anni?”. Il passato è un corpo a corpo con questa tenacia e la sopravvivenza dei fantasmi concreti di una relazione, un teorema amoroso dove le ossessioni e persecuzioni dei due personaggi, Rimini e Sofia, sembrano schiacciare sul fondo l’Argentina, per farne una storia ubiqua, universale. Come si inserisce questo romanzo nella tua produzione passata, e come getta idee per il futuro della Trilogia? Quali sono state le sue fonti d’ispirazione?
Il protagonista de Il passato, Rimini, fa di professione il traduttore. C’è un capitolo dove viene descritto rapsodicamente drogato a tradurre, nudo e strafatto di cocaina: in quel testo traducción fa rima con addición, dipendenza (che in spagnolo assume il valore proprio di una sommatoria) che è soggiogamento, subordinazione a qualcosa di impellente, che però è allo stesso tempo liberatorio: penso anche all’ossessione feticista per i capelli di Storia dei capelli, oppure al trauma di non poter piangere di fronte al golpe contro Allende di Storia del pianto… Credi che queste due categorie di dipendenza e ossessione siano applicabili tutt’oggi alla tua opera, oppure stanno piano piano svanendo, magari in categorie come disaffezione o rabbia, o peggio nell’odio tanto oggi citato e studiato?
Il turismo mette in campo un certo gioco tra distanza e familiarità, estraneità e prossimità, che è molto attuale. Soprattutto nell’idea di entrare e uscire dalle esperienze, dalle relazioni, dalle opportunità. Oggi vogliamo viaggiare però anche star comunicando da lontano con persone lontane, vogliamo assentarci, ma anche stare sempre presenti, “connessi”, con le persone che ci stanno accanto. E questo è forse parte oggi dell’orizzonte della mia ricerca. Io stesso ho scritto cronache di viaggio [Temas lentos, a cura di L. Guerriero, UDP, 2012; N.d.A], sebbene non sia per fortuna un turista nel senso più puro. Ho viaggiato molto per lavoro come scrittore, e poco come turista.
Dal punto di vista stilistico, vedo Il passato come una sorta di lungo piano sequenza sulla vita di Rimini, i frammenti e le fotografie sparse di un amore, le stanze e gli interni dove lui cerca di ricomporre i pezzi della propria vita (con altri pezzi, non quelli soli di Sofia)… La stessa costruzione della frase, fatta di lunghi periodi, di ipotassi e subordinate a volte ardite, ricorda una macchina da presa che mai riesce a staccare dal suo soggetto. A voler esse pigri, anche buttando un occhio sulla tua biografia, si può legare la tua attività a quella del cinema: ma mi pare che tu abbia una volta affermato che non guardi film mentre scrivi. Ma piuttosto che sia la tecnica cinematografica che ti intessa, e che transcodifichi nelle parole. Credi che il cinema possa oggi avere un’influenza negativa sulla scrittura? Che rapporto instauri con il cinema?
Certo è che ha avuto negli anni Ottanta del Novecento un effetto negativo sulla letteratura: imponendo l’idea dell’immagine come materiale e ideale assoluto da perseguire per la letteratura. L’effetto? Fu il realismo “sporco” di Bret Easton Ellis o David Leavitt. A ben vedere, poi, oggi il cinema è in crisi rispetto ad anni fa – anche perché non esiste quasi più l’esperienza di “andare al cinema”, ma si consuma questa esperienza sul computer, a casa, sul divano. Il cinema che resiste si è convertito di contro in un cinema di avanguardia, che già gioca a confondersi con l’arte contemporanea: film che sono da vedere come installazioni. Non solo Lynch, ma soprattutto il cinema asiatico di Tsai Ming-liang, Apichatpong, loro veramente mi interessano, sono cineasti con un piede fuori dal cinema, che vanno oltre lo spazio della sala cinematografica. Per tornare poi al rapporto tra cinema e letteratura credo sia importante una cosa: l’idea di comunicare è per me il vero nemico della letteratura. E la letteratura non deve avere certi valori “comunicativi” da rispettare: valori quali la velocità, la brevità, l’immediatezza. Non è così per me. Per me la noia può essere oggi la forma estetica più innovativa, perché implica una certa disposizione sensibile, e non una soddisfazione immediata.