N el suo romanzo più conosciuto, Le Morte, Jorge Ibargüengoitia si ispira a un fatto di cronaca nera per raccontare la storia di due sorelle tenutarie di un bordello, Arcángela e Serafina Baladro, e la scia di omicidi che coinvolge la remota provincia messicana di Guanajuato. “Alcuni fatti qui narrati sono reali. Tutti i personaggi sono immaginari”, avverte l’autore nell’epigrafe del romanzo.
La stessa indicazione si può in qualche modo applicare anche a Messico istruzioni per l’uso (Sur, 2018, a cura di Francesca Lazzarato), una raccolta degli articoli pubblicati da Ibargüengoitia tra il 1968 e la morte, avvenuta nel 1983 per un incidente aereo. Autore di opere teatrali, romanzi, saggi e numerosissimi interventi dal taglio satirico su riviste e quotidiani, Ibargüengoitia è stata una delle voci sudamericane più forti del Novecento. Emigrato con la moglie in Francia nel 1976, non ha mai smesso di osservare, criticare, adulare, parodiare e romanzare la madrepatria. Un Paese bellissimo, dice lui, “solo che il Messico ha dei difetti. Il principale è quello di essere popolato da messicani, molti dei quali sono complessati, impiccioni, avidi, sconsiderati e intolleranti. Ah, e molto chiacchieroni”.
In pezzi brevi e pungenti, Ibargüengoitia descrive la vita quotidiana messicana come un’avventura epica. La macchina burocratica è lenta e pesante, i governanti ottusi, i politici corrotti, ma anche attraversare la strada è un’impresa micidiale, finché il diritto di passaggio “spetta agli innumerevoli uomini di Neanderthal che circolano a ottanta chilometri all’ora in macinini sul punto di sfasciarsi”. Per non parlare delle difficoltà di ricevere un pacco, se l’organizzazione delle Poste ricorda quella dell’impero azteco:
Torno alle Poste. Stavolta entro direttamente nell’ufficio del capo, che è il re. Mi riceve come Montezuma deve aver ricevuto Cortés. Tremante, e tuttavia maestoso. Gli spiego il problema. Lui manda a chiamare l’amministratore incompetente.«Si occupi del signore», gli ordina il re.
Ora l’amministratore incompetente è un agnellino.
Nei suoi interventi giornalistici, Ibargüengoitia non si accanisce solo contro il sistema postale messicano, che l’ha costretto ad abituarsi “a leggere i giornali con due settimane di ritardo, a cominciare lettere con la formula idiota: “Non ci crederai, ma ho appena ricevuto la tua di tre settimane fa…”, e a pregare per un pacco (“caddi in ginocchio e mi raccomandai fervidamente a Nostra Signora delle Poste”); riflette sulla storia del suo Paese, il passato coloniale, l’egemonia del PRI e le lotte interne che hanno portato il partito rivoluzionario a imporre la sua egemonia in quella che Mario Vargas Llosa chiama la dictadura perfecta, la dittatura perfetta.
La critica di Ibargüengoitia alla società messicana corre sul filo del paradosso, si appoggia all’ironia, esagera teatralmente. Rende eroiche le vite degli impiegati, liriche quelle dei semplici cittadini:
Ultimamente, di sera, mi capita spesso che la realtà si trasformi all’improvviso, e ogni cosa sprofondi in una penombra crepuscolare. All’inizio credevo che il fenomeno fosse frutto di uno stato d’animo, «è che sono depresso», mi sono detto, «e vedo tutto nero»; poi l’ho attribuito a segni premonitori dell’epilessia, e infine all’età. Adesso so che nessuna delle tre supposizioni era esatta. Il fatto è che stiamo attraversando un’altra crisi dell’energia elettrica.
Questi bozzetti di vita messicana, di riflessione storica e politica, raggruppati nel corso di vent’anni di attività, si collocano a metà tra racconti di costume e un giornalismo narrativo dalle tinte teatrali. Contribuiscono a rendere il Messico un paese che nei suoi aspetti più reali sconfina nel fantastico e sotto lo strato di inefficienze, ostacoli, lentezze, raccomandazioni, nasconde una dose di mistero. Come nell’aneddoto che riguarda l’involontario e rocambolesco coinvolgimento dell’autore nella cattura di un delinquente da parte della polizia:
Per qualche tempo la vergogna ci impedì di capire che ci trovavamo davanti a un enigma così oscuro che in ventisette anni non sono riuscito a risolverlo: quale rapporto può esserci tra un bambolotto di plastica, una bottigliata e un’osteria?
Sono spiragli come questo, enigmi che alludono a interpretazioni diverse della realtà, a versioni alternative della storia ufficiale, che hanno permesso agli articoli di Ibargüengoitia di non perdere la loro freschezza. È uno dei motivi per cui leggere le cronache di Messico istruzioni per l’uso a quarant’anni di distanza dalla pubblicazione, in un paese dall’altra parte del mondo. Si può avere un assaggio della scrittura di Ibargüengoitia, un punto di accesso alla sua opera, come un boccone delle storiche tortas sfornate a Città del Messico, impastate secondo un processo che immagino simile a quello con cui nascono i suoi libri: “La torta di Armando è una creazione barocca in cui intervengono all’incirca venticinque elementi – tra i quali si contano il filo del coltello e l’abilità dell’operatore nel tagliare la lattuga – in un ordine rigoroso”. Ma anche avere uno scorcio del Messico del tempo, del rapporto di amore e odio di uno scrittore con la sua patria, di un migrante con il suo paese, di un critico con la materia criticata, che nonostante tutto non può fare a meno di ammettere:
La verità è che più sono arrabbiato con il mio paese e più vado lontano, più mi sento messicano.