U n aspetto accomuna due grandi artisti del genere weird come Thomas Ligotti e David Lynch: l’idea che la vita umana è in qualche modo irreale e il libero arbitrio è un’illusione. Si potrebbe senza dubbio dire che proprio questa caratteristica è uno degli aspetti che rendono il loro lavoro disturbante. Nel suo ultimo libro, Mark Fisher sostiene che il sentimento dell’eerie (in italiano “inquietante”, ma la traduzione non copre tutte le sfumature semantiche del termine) deriva dalla domanda: chi agisce? Inquietante secondo questa definizione è “una presenza dove dovrebbe esserci un’assenza o un’assenza dove dovrebbe esserci una presenza” – rispettivamente un oggetto inanimato che prende vita, come nel caso del più classico perturbante freudiano, o di un essere vivo che si rivela un burattino privo di volontà propria. Quest’ultimo è sicuramente il caso di Ligotti e, in parte, anche di Lynch. Eppure i due autori non potrebbero rapportarsi al problema in maniera più diversa.
Thomas Ligotti ha sistematizzato la sua visione del mondo nel saggio La cospirazione contro la razza umana (2010, tradotto in italiano nel 2016). Nella lunga sezione del libro intitolata L’incubo dell’essere, Ligotti si dedica al problema della coscienza, a cui si approccia dalla prospettiva radicalmente pessimista proposta dal filosofo tedesco Thomas Metzinger, autore nel 2003 di un libro dal titolo significativo di Being No One. Per Ligotti/Metzinger, il senso di sé non è altro che un’illusione dietro la quale si nasconde il vuoto: al di là della rappresentazione di noi stessi prodotta dalla mente non si trova, letteralmente, nessuno. Da questa prospettiva, gli esseri umani non sono nient’altro che marionette imprigionate nell’illusoria convinzione di essere vive. Questo punto viene riecheggiato da Rust Cohle/Matthew McConaughey nella prima stagione della fortunata serie televisiva True Detective. In un celebre monologo della terza puntata, intitolata La stanza sigillata, Rust dice:
Dopo quattordici ore filate a fissare dei cadaveri, questo è quello su cui rifletti. L’avete mai fatto? Li guardi negli occhi anche se in foto. Non importa che siano vivi, o morti. Puoi ancora riuscire a capirli. E sapete cosa ci si legge? Gratitudine… non è immediato, ma… eccoli lì, nell’ultimo istante. Si legge un sollievo inconfondibile. Vedete, avevano paura… e poi hanno visto, per la prima volta, quanto fosse facile lasciarsi andare, e l’hanno visto… hanno visto, in quel nanosecondo… quello che erano. Che tu, tu stesso… quell’enorme tragedia… non erano altro che un insieme di supposizioni e insulse volontà. E puoi semplicemente lasciarti andare. E che finalmente, non dovevano più resistere… per capire che la vita… l’amore, l’odio, i ricordi, il dolore… era tutto la stessa cosa. Tutto lo stesso sogno, un sogno nascosto in una stanza segreta. Il sogno di essere… una persona.
La figura del detective ultra-nichilista creata da Pizzolatto (che scrivendo la sceneggiatura si è ispirato anche ad altri capisaldi della filosofia horror come In the dust of this planet di Eugene Thacker) ha portato l’opera di Ligotti fuori dalla nicchia per diffonderla a livello di mainstream. Fino a quel momento il culto dello scrittore di Detroit era relegato a un gruppo in crescita ma comunque non di massa che comprendeva gli amanti del genere horror, gli ambienti filosofici legati al pessimismo (dallo stesso Fisher a Ray Brassier, autore dell’importante Nihil Unbound) e gruppi musicali dalle ispirazioni esoteriche (come la band folk britannica Current 93, che comunque si richiamava anche a occultisti come Aleister Crowley).
L’opera di Ligotti può essere interpretata alla luce del weberiano “disincanto del mondo”, quella tendenza che per il sociologo sassone ha caratterizzato la modernità fin dalle sue origini e il cui progetto la filosofia ultra-pessimista del XXI secolo si propone di portare a compimento. Per Brassier, anche autore della prefazione della prima edizione della Cospirazione, la filosofia dovrebbe smettere di cercare antidoti al nichilismo. Piuttosto, il suo scopo sarebbe quello di celebrarlo come un “traguardo della maturità intellettuale” del pensiero razionalista emerso con l’Illuminismo e abbracciarne le “possibilità speculative”, molte delle quali hanno a che vedere con l’estinzione della specie, un esito caldeggiato anche da Ligotti in parecchie pagine del suo saggio. Nella poetica di Ligotti, l’orrore deriva proprio dalla presa di coscienza del “mondo-in-sé” (il “World-in-itself”, nelle parole di Thacker) una volta smascherato dell’illusione antropocentrica (il “World-for-us”). Come nel caso della filosofia buddhista, che Ligotti discute brevemente in un paragrafo della Cospirazione, il mondo è una rappresentazione; ma a differenza che nei Veda, per Ligotti una volta squarciato il “velo di Maya” ciò che ci si trova di fronte è semplicemente il nulla.
Il buddhismo gioca un ruolo molto importante nell’opera di David Lynch, che com’è noto pratica la Meditazione Trascendentale dal 1973 – “due volte al giorno, tutti i giorni”, senza mai mancare una singola seduta –, un’abitudine che caratterizza anche l’agente Dale Cooper nella prima stagione di Twin Peaks. Lynch, che ha istituito una fondazione dedicata all’insegnamento della MT, ha più volte raccontato come la meditazione sia una parte fondamentale del suo processo creativo, e come il suo universo artistico non potrebbe esistere se privato di questa ispirazione.
I film di Lynch possono essere agevolmente letti come messe in scena del pensiero vedico, nelle quali i personaggi attraversano il Saṃsāra alla ricerca di una dimensione più autentica dell’esistenza: Cooper da questo punto di vista è sicuramente un ottimo esempio di discepolo che si immerge nel Male per trovare l’illuminazione. Come ha fatto notare Eric G. Wilson nel suo The strange world of David Lynch del 2007, però, l’ispirazione orientale che pervade l’opera del regista è bilanciata da una tradizione altrettanto forte, questa volta di derivazione occidentale: quella gnostica. Ad accedere a una dimensione più autentica del reale sono personaggi che portano già in sé la scintilla della gnosis, una conoscenza di tipo mistico e innato. Un esempio classico di questo fenomeno lo troviamo in Twin Peaks: il ritorno quando Cooper/Duggie vede misteriose fiammelle comparire sulle slot machine vincenti, ma il tema è ricorrente. Per restare a Twin Peaks, ad esempio, basta ricordare la famosa scena della prima stagione in cui Cooper fornisce alla perplessa audience del dipartimento dello Sceriffo di Twin Peaks una dimostrazione del suo metodo decisionale, che consiste nel lanciare sassi e vedere dove atterrano.
I personaggi di Lynch vivono, amano, soffrono e muoiono come conseguenza di conflitti giocati in una dimensione che li trascende.
Tuttavia giungere alla conoscenza non è facile, e per farlo bisogna attraversare un mondo materiale profondamente intriso di orrore. Come nella più classica delle cosmogonie gnostiche, a plasmare questo mondo materiale è stato un demiurgo malvagio o, perlomeno, dagli intenti imperscrutabili. In tutti i film di Lynch questo aspetto è presente (la scena di Eraserhead in cui la testa mozzata di Spencer viene trasformata in una gomma per cancellare nella fabbrica di matite è il capostipite della tematica nella filmografia lynchiana), ma in Twin Peaks: il ritorno è particolarmente insistito: dai personaggi che vengono “fabbricati” (manufactured) al famoso ottavo episodio in cui il Gigante/Pompiere assume il ruolo del demiurgo che accoppia Bob e Laura attraverso uno strano macchinario, mandando il Male nel mondo – o salvando il mondo dal Male attraverso la morte di Laura, qui le interpretazioni divergono.
Anche i personaggi di Lynch, come quelli di Ligotti, sono privi di una libertà di scelta: mossi da forze che non comprendono se non in maniera imperfetta e inconscia, vivono, amano, soffrono e muoiono come conseguenza di conflitti giocati in una dimensione che li trascende. Ma – e questo è forse l’aspetto che differenzia maggiormente l’opera dei due autori – in Lynch non c’è traccia di nichilismo propriamente detto. Il carattere “irreale” dei personaggi lynchiani non priva la loro esistenza di dignità. Mentre le figure che popolano i racconti di Ligotti sono esseri insensati in preda all’agghiacciante illusione di avere un senso, in Lynch le ragioni del mondo “altro” che trascende l’esistenza materiale non rendono meno autentiche le passioni di questo mondo. Guardando i suoi film, è impossibile non parteggiare per Sailor e Lula di Cuore selvaggio nella loro fuga da Marietta o provare la stessa angoscia che prova Spencer di Eraserhead quando viene confrontato con l’agonia del suo mostruoso figlio.
A cambiare è l’approccio ai problemi connessi del materialismo e del nichilismo: mentre Lynch li aggira appellandosi a una tradizione mistica che dalla spiritualità orientaleggiante arriva fino alla psicologia junghiana e alla psichedelia anni Sessanta, Ligotti, come fa giustamente notare Brassier, spinge il problema alle proprie estreme conseguenze – una tendenza che rende lo scrittore di Detroit popolare tra i seguaci di avanguardie filosofiche come l’accelerazionismo.
Questa dimensione distopica è assente in Lynch, i cui mondi sono popolati tanto di estrema bellezza quanto di dolore e decadenza. La sua è una visione meno unidirezionale, in cui l’incubo è tanto più efficace e sorprendente proprio perché coglie di sprovvista lo spettatore, immerso fino a pochi istanti prima in una scena d’amore o in una gag comica. Nel grande regista però manca una caratteristica presente in Ligotti e che le “possibilità speculative” del nichilismo menzionate da Brassier rendono chiara. Portando il disincanto del mondo alle proprie estreme conseguenze, l’opera di Ligotti definisce anche una soglia: se oltre questo punto non c’è un altrove dove andare, siamo per forza costretti a pensare altri mondi possibili. Questa potenzialità di un pensiero “altro” è il grande non detto della Cospirazione, il punto in cui la più cupa delle distopie si apre alla capacità di pensare futuri nuovi. Proprio questo aspetto, credo, rende l’opera di Ligotti tanto importante per capire il presente, anche se la priva dell’universalità della poetica lynchiana.
In fondo il problema della spiritualità tanto radicalmente scacciato dalla porta in Ligotti non può che tornare dalla finestra: è stato fatto notare molte volte che l’unico oggetto non strettamente funzionale nella spoglia dimora di Rust Cohle è un crocifisso. Da Nietzsche in poi non c’è nichilismo che non sia un dio in absentia, piuttosto che un vuoto vero e proprio, e questo naturalmente vale anche per le distopie contemporanee. Come scrive di nuovo Lynch, anche il niente non è che un mondo sotto al quale sono pronti a fiorire altri mondi.