L’ Intruso si insinua in un luogo senza preavviso e in maniera tipicamente traumatica, forzando serrature reali o simboliche e alterando schemi e routine. Penetra in una dimensione personale di cui ciascuno determina i confini, e penetrandovi tocca l’identità di chi non può che sentirsi costretto ad accogliere o combattere l’intrusione. Quest’ultima ha un impatto sul soggetto e sul sistema del soggetto: non solo il corpo ma lo spazio e la rete di relazioni interpersonali possono essere modificate in maniera dinamica dall’ingresso di un elemento alieno. Nel 2017 una serie tv e almeno tre film basati sullo sguardo femminile hanno fatto dell’Intruso oggetto esplicito di messa in scena e analisi, nonché tema destinato a scolpire la personalità delle protagoniste: L’altra Grace, lo show Netflix tratto dal romanzo omonimo di Margaret Atwood, Elle di Paul Verhoeven, L’inganno di Sofia Coppola e Madre! di Darren Aronofsky.
La definizione dell’Intruso
L’etimologia del vocabolo unisce “in” e “trudere”, verbo latino tra i cui significati appaiono “spingere” e “cacciare” (la radice “tru” riporta al “passare attraverso”, “muovere”): quando si parla di intrusione si fa riferimento a una pratica in qualche misura violenta nella quale qualcosa o qualcuno viene inserito o si inserisce con prepotenza all’interno di un’unità dotata di equilibrio proprio. Secondo la definizione del dizionario Treccani, “intruso” designa una “persona che si è introdotta o si trova in un luogo dove non dovrebbe essere, cui è estranea, o che gode di un beneficio cui non ha diritto”; secondo il Nuovo De Mauro l’intruso è “chi si è introdotto di nascosto o in modo indebito in un ambiente o si trova in un luogo in cui non dovrebbe essere”. Eppure l’Intruso è anche una figura contemplata particolarmente nella psicologia di matrice junghiana, ed è così distinta come occorrenza (anche onirica) da essere divenuta funzione narrativa nella sua variante di Ombra.
L’Intruso come persona, incubo e proiezione negativa
Secondo la psicologa svizzera Marie-Louise Von Franz, l’Intruso pertiene alla dimensione negativa di ciò che Jung definisce Animus, ossia proiezione maschile interiorizzata del sesso femminile: “È un potere del male, distruttivo per la vita umana. Separa la donna dalla sua femminilità. L’allontana dal calore umano e dalla gentilezza, la isola in un mondo privo di senso, martoriata da mani invisibili. La donna si sente vittima, prigioniera, intrappolata dalle circostanze esterne oppure da un destino crudele”. Von Franz stessa, ne Il mondo dei sogni (1988), racconta di aver sognato un uomo che s’insediava nella sua casa e, svegliandosi, di aver percepito più forte l’inutilità del libro che stava scrivendo, legando così l’occorrenza a una sorta di Sindrome dell’Impostore; un’altra psicologa junghiana, Clarissa Pinkola Estés, in Donne che corrono coi lupi (1992) dedica un capitolo all’Intruso:
Il predatore naturale della psiche si trova anche nei sogni. Tra le donne c’è un sogno iniziatico universale, tanto comune che è fatto degno di nota se, avendo raggiunto i venticinque anni, una donna non l’ha ancora sognato. Dopo questo sogno le donne si risvegliano di colpo, in grande ansia. Questo è l’andamento del sogno. Colei che sogna è da sola, spesso in casa sua.
Fuori nell’oscurità c’è un vagabondo, o più di uno. Spaventata, chiama la polizia. D’improvviso si rende conto che il vagabondo è in casa con lei… vicino a lei… forse la sfiora… e non può telefonare. All’istante si sveglia, respirando a fatica e col cuore che batte all’impazzata. Il sogno dell’uomo nel buio presenta un aspetto fortemente fisico, è spesso accompagnato da sudori, lotte, respiro affannoso, battiti di cuore, e talvolta da grida e gemiti di paura.
Comune sia a Estés che a Von Franz è, dunque, la descrizione dell’Intruso come archetipo femminile personificato nella realtà o tramite l’immaginazione, coagulo di paure non meglio identificate che possono riguardare tanto una minaccia effettivamente esteriore oppure interiore; entrambe hanno conseguenze tangibili ma l’Uomo Nero o Predatore rifletterebbe comunque istanze non verbalizzate della psiche femminile cui cultura e società avrebbero imposto di dominare aggressività e pulsioni non considerate “decenti” per il genere d’appartenenza. Estés in particolare ricorre al Barbablù tagliateste e femminicida della favola omonima e alla sua sposa curiosa per evocare in maniera più nitida la duplicità dell’Intruso, in grado da un lato di rapire e uccidere (anche attraverso la seduzione nei confronti dell’ignoto) e dall’altro di fugarsi o essere fugato attraverso la consapevolezza e il coraggio. La storia è nota: una donna cui viene vietato di entrare in una stanza vi entra ugualmente (trasformandosi in Intrusa lei stessa, in un gioco di specchi), finendo per scoprire che l’uomo cui si era offerta collezionava le teste delle mogli. Salvata dalla domanda – “Cosa c’è dietro quella porta?” – la protagonista ha la forza di guardare in una camera buia che assume le caratteristiche di una “camera pulsionale” metaforica dove è custodito quanto represso nella quotidianità.
È difficile trovare strumenti di comprensione e interpretazione più efficaci di quelli offerti da Estés e Von Franz per L’Inganno di Sofia Coppola ed Elle di Paul Verhoeven, usciti la scorsa primavera ed entrambi presentati al Festival del Cinema di Cannes. In tutte e due le pellicole l’Intruso è un uomo in carne e ossa, ma la sua comparsa attiva un risveglio intimo scomodo soppresso grazie alla presa di coscienza delle proprie zone oscure.
L’inganno
Remake del film di Don Siegel del 1971 tratto dal romanzo omonimo di Thomas P. Cullinan, L’inganno racconta di una scuola per ragazze in Virginia durante la guerra di secessione americana. La tranquillità dell’istituto viene interrotta dall’arrivo di un caporale nordista ferito a una gamba, John McBurney, dal quale le donne e le ragazze si lasciano conquistare in modi diversi. In particolare l’uomo sembra corteggiare Edwina Morrow, una delle insegnanti, fino a che quest’ultima – aprendo la porta della camera da letto di una studentessa – non lo trova a letto con un’altra. Spinto giù per le scale, McBurney lesiona ulteriormente la gamba al punto da rendere necessaria l’amputazione dell’arto (a sua insaputa). Il caporale viene infine avvelenato e ucciso concludendo il ciclo dell’Intruso.
Il film di Coppola mette in scena in modo quasi didascalico la storia di Barbablù e della sua sposa.
Ben recitato e girato, ma non particolarmente ben scritto (i rapporti tra le donne della scuola sono cancellati dalla sceneggiatura rendendo gli accadimenti superficiali e la psicologia dei personaggi quasi assente), il film di Coppola mette in scena in modo quasi didascalico la storia di Barbablù e della sua sposa: la vera protagonista della vicenda è infatti la stanza in cui avviene quel che Morrow sospettava ma non aveva il coraggio di dire a se stessa, ossia che l’uomo cui si era quasi promessa in sposa era tutt’altro che leale. L’equilibrio viene ristabilito ma l’intervento del nordista pare aver esacerbato una solitudine finalmente portata alla coscienza dalla camera pulsionale aperta (il sesso e la morte sono le forze primarie in gioco).
Elle
Nello splendido film di Verhoeven, Michèle Leblanc è una donna forte a capo di una casa produttrice di videogiochi. Ha una madre anziana ancora arzilla dal punto di vista sessuale; un’amica sposata (che è anche un’amante) con il cui marito va a letto; un ex marito gentile con una giovane fidanzata che insegna yoga; un figlio alle prese con una ragazza incinta dal carattere difficile; dei vicini religiosi e simpatici. Soprattutto, però, ha un padre in galera: un serial killer che, quand’era piccola, le disegnava con le dita la croce rovesciata sulla fronte e una notte ha commesso un omicidio di massa.
Una mattina un Intruso penetra nella villa di Michèle e la stupra. Lei – poliamorosa e fiera – appare impassibile, ma lo stupro sembra svegliare la sua sessualità. Fantasticando sul dirimpettaio avvenente, scopre presto che è proprio lui ad averla violentata; scopre anche che forse è disposta a spingersi oltre, coltivando un vero e proprio rapporto malato. Fino a che suo figlio non la salva.
L’Intruso, uomo e tema, splende nella vicenda che tratta l’argomento in maniera schematica ma non prevedibile.
La potenza di Elle sta tanto nella descrizione minuziosa del sistema di Michèle (il contesto in cui si muove, utile a raccontarne con efficacia le sfumature caratteriali) quanto nell’implicazione di una camera pulsionale dove alberga un trauma così profondo da aver reso la protagonista amorale. Conosciamo una donna fredda, poco immersa nella sua stessa passione o valvola di sfogo che sembra essere il sesso; la scopriamo lentamente versata in una violenza codificata, desiderata con masochismo, cui pare fin troppo familiare.
L’Intruso, uomo e tema, splende nella vicenda che tratta l’argomento in maniera schematica ma non prevedibile, utilizzando un criminale mascherato e poi smascherato per rivelare gli strati sepolti di un dolore interiorizzato con grande costo personale.
L’Intruso come Ombra
Joseph Campbell e Chris Vogler, autori rispettivamente de L’eroe dai mille volti (1949) e de Il viaggio dell’eroe. La struttura del mito a uso di scrittori di narrativa e di cinema (2007), hanno incorporato tra le funzioni archetipiche della narrazione l’Ombra, concetto preso in prestito (ancora) dalla teoria psicanalitica di Carl Gustav Jung. Proprio come l’Intruso di cui è spesso esemplare, o cui è talvolta assimilata, l’Ombra nelle storie è l’antagonista o il cattivo umano, mostruoso o animale ma può essere anche rappresentata come conflitto interiore del personaggio che non riesce a venire a patti con una parte del sé complessa da gestire. Universale del racconto, l’Ombra è una costante più e meno didascalica: può essere nascosta o riconosciuta, incarnata o rarefatta e può essere impossibile sbarazzarsene. Può avere la forma di una vera e propria “ossessione”, vocabolo che condivide parte del senso di “intrusione” provenendo dal verbo latino obsidere, ossia assediare; la vittima dell’Intruso-Ombra è infatti sotto assedio, forzata a compiere un percorso preciso che di solito include una fase di identificazione, di mancata accettazione iniziale e infine di eliminazione o accoglienza.
L’altra Grace
L’Intruso-Ombra è l’oggetto de L’altra Grace, miniserie Netflix uscita lo scorso novembre che mette in scena – adattandola dal romanzo omonimo – la vicenda di Grace Marks, assassina (realmente esistita) processata nel 1843, incarcerata e poi liberata per il doppio omicidio di Thomas Kinnear e della sua domestica Nancy Montgomery.
Conosciamo Marks come una donna affascinante, intelligente, discreta e all’apparenza incapace di uccidere attraverso le sessioni di psicoterapia – che strutturano il racconto – con il Dottor Jordan: è grazie alla parola che, dalla psiche della protagonista, emerge lo spettro che dà il nome al romanzo, ossia l’Altra. Si tratta di Mary Whitney, migliore amica deceduta in seguito a un aborto clandestino sotto gli occhi di Grace, la quale non aprendo una finestra al momento della sua morte e non avendo, dunque, avuto occasione di liberarne l’anima avrebbe finito per accoglierla in sé come un parassita; ma anche come una presenza non consapevole in grado di commettere atrocità alle spalle dell’organismo ospitante.
Ai confini tra scienza ed esoterismo, sarebbe stata la parte oscura della protagonista a causare le tribolazioni di Grace Marks.
Ai confini tra scienza ed esoterismo, sarebbe stata la parte oscura della protagonista – l’Ombra negletta – a causare le tribolazioni di Grace Marks, malvagia donna perbene che ha imparato a convivere con un Intruso nel suo stesso corpo. Avendo assorbito abusi, morte e mostruosità nel corso della sua giovinezza, l’assassina avrebbe rimediato con una mano al trauma della perdita di Mary Whitney attraverso l’assorbimento dell’oggetto d’amore e con l’altra avrebbe alienato da se stessa un’aggressività impossibile da esternare nella cornice dei costumi dell’epoca. Ben prima dell’impatto della psicanalisi di Sigmund Freud e, naturalmente, dell’onnipresente Jung.
Lo strano caso di Madre!
Ombra, persona, incubo e rappresentazione della camera pulsionale è infine l’Intruso di Madre! di Darren Aronofsky, pellicola controversa poiché metafora calcata dall’inizio alla fine, esercizio di scrittura quasi puramente simbolica.
Il nucleo, se così si può chiamare, della narrazione è una donna dedita alla restaurazione di una casa; sposata con uno scrittore di cui appare possessiva, la sua vita e armonia domestica vengono turbate dalla visita inattesa di una famiglia di fan del marito in seno a cui avviene un fratricidio. Cacciata quest’ultima, e ristabilita la quiete, la donna rimane incinta ma mentre sta portando a termine la gravidanza una vera e propria orda di editori, giornalisti e fan invadono daccapo i suoi spazi distruggendo ogni parte del lavoro meticoloso sulla dimora. Il neonato viene infine dato (letteralmente) in pasto agli sconosciuti, portando la protagonista ad appiccare un incendio catartico. A cose fatte, lo scrittore sottrae il cuore dal corpo della moglie quasi esanime, e questo – per magia – ricostruisce l’abitazione dalle sue stesse ceneri.
Vera e propria fantasia surrealista a tema Intruso, se ci si vuole limitare al piano denotativo Madre! è la parabola patriarcale di una ragazza che pare aver abdicato la sua creatività introversa – espressa attraverso la cura del focolare – all’uomo famoso cui si è consacrata. Tra le tante letture possibili, la più semplice riguarda dunque l’incubo della donna che non desidera condividere il marito con nessuno, eppure è costretta a venire a patti con una gelosia autolesionista, una furia omicida che sembra tradotta in avvenimenti esterni quasi onirici e non sempre coerenti; ma per quanto l’Intruso plurale in Madre! venga identificato, non accolto e cacciato la ricorsività degli eventi apre a una quantità di interpretazioni differenti. La più importante probabilmente è che la protagonista, la madre stessa, non sia affatto una donna ma un agglutinato di concetti (confusi) di cui è manifestazione: la casa, prima di tutto, nelle cui mura batte un cuore che sembra essere il suo; l’ispirazione, dunque in qualche senso la musa totale; l’arte stessa, recalcitrante all’idea di essere offerta a fruitori che finiranno per dilaniarla. In altre parole, se un protagonista esiste nella pellicola di Aronofsky può essere che non sia lei ma lui, lo scrittore per cui – in un’interessante inversione – è la donna l’Intrusa con cui fare i conti nel viaggio che conduce alla consapevolezza del proprio egoismo.