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l pubblico italiano ha conosciuto Han Kang, scrittrice sudcoreana, grazie a un romanzo potente e visionario pubblicato da Adelphi, La vegetariana. Nella vicenda di Yeong-hye, che a causa di un sogno incredibilmente vivido decide di smettere di mangiare carne, mettendosi contro l’autorità del marito e del padre, si sommano aspetti onirici, simbolici e conflitti reali, sempre giocati sul corpo di Yeong-hye figlia, moglie, amante e da ultimo folle – tutti ruoli determinati in qualche modo da un’autorità esterna ai suoi sentimenti, al suo mondo intimo. Se tutti questi piani di racconto non formano un insieme fumoso, ma anzi danno vita a un racconto vivo e pulsante, che imprime le sue immagini come marchi a fuoco nella mente del lettore, lo si deve alla scrittura di questa autrice nata nel 1970, al suo stile limpido e affilato.
La Vegetariana è un libro del 2007, mentre la nuova traduzione che Adelphi ha proposto al pubblico italiano riguarda l’ultima delle sue opere, Atti Umani, uscito nel 2016 in patria e l’anno successivo da noi. Siamo in un contesto del tutto diverso, che parte da una delle pagine della storia recente della Corea del Sud più controverse: il colpo di stato, avvenuto successivamente all’assassinio del dittatore Park Chung-Hee, che portò all’ascesa di Chun Doo-hwan, che governò la Corea del Sud dal 1980 al 1988. Uno dei fatti più sanguinosi di questo cambio di regime fu un massacro di civili, principalmente studenti, che si svolse nella città natale di Han Kang, chiamata Gwangju. Studenti e civili si autorganizzarono sperando nell’avvento della democrazia, ma le loro speranze furono spazzate via di una violenza feroce che lasciò dietro di sé una scia di sangue impressionante. Il principale responsabile delle violenze dell’esercito fu proprio il presidente Chun, che successivamente fu condannato a morte negli anni Novanta per i suoi crimini ma fu amnistiato dal capo di stato dell’epoca.
Di questa vicenda in Italia si conosce molto poco. Abituati come siamo a parlare soprattutto della bizzarra dittatura nordcoreana della dinastia Kim, considerata pericolo per l’occidente e per il mondo, è assai raro che i media approfondiscano la storia di un paese alleato, che dal punto di vista dei diritti e della democrazia ha avuto anch’esso una storia travagliata. Han Kang, tuttavia, non sembra interessata a un’operazione divulgativa, o semplicemente a dare corpo a un dramma che nella storia recente del suo paese ha posto centrale. Ciò che muove la sua scrittura, anche questa volta, è l’interesse per quanto di disturbante e irrisolto c’è nei rapporti tra gli uomini.
(La conversazione che segue è avvenuta negli studi di Radio Rai 3, a Roma, in occasione della partecipazione di Han Kang a Fahrenheit. Potete ascoltare l’intervista completa in streaming sul sito della trasmissione.)
Questo libro è molto diverso da La vegetariana, il libro con cui il pubblico italiano ha conosciuto la voce di Han Kang. Qui ci troviamo di fronte a una vicenda politica. Perché ha sentito la necessità di raccontare questa storia?
Nell’ottobre del 1979 il presidente Park Chung-hee, che fu il primo dittatore della Corea del Sud, fu assassinato dopo 18 anni di dittatura. Tutta la popolazione si riversò per le strade quando fu assassinato e ci furono tantissime manifestazioni studentesche, finché, nel maggio del 1980 ci fu un nuovo colpo di stato. In quel mese fu emanata la legge marziale dalle forze armate e dal nuovo governo. A Gwangju ci fu una grande rivolta popolare e, proprio nel maggio del 1980, le rivolte furono soppresse brutalmente dall’esercito, che si scagliò contro la popolazione. Grazie alle rivolte popolari la città era stata gestita autonomamente per circa una settimana, e i militari furono spinti fuori dalla città. Fu un periodo molto pacifico, durante quella settimana si realizzò per la prima volta una vera convivenza pacifica. Ma dopo quei giorni, all’esercito fu ordinato di rientrare in città, che fu completamente isolata. Da quel momento in poi, per alcuni giorni, ci fu un massacro ancora più brutale di quello che era stato perpetrato prima.
Il bilancio delle vittime è stimato tra i duemila e i tremila morti , un evento increbibilmente sanguinoso. E il sangue e la violenza sono al centro della narrazione di Atti umani. Che nella sostanza è un racconto corale ma con un personaggio al centro, Dong-ho. Un ragazzo molto giovane la cui sorte viene segnata fin da subito, e la narrazione si rivolge in seconda persona: tu. Assieme alla scelta dell’indicativo presente, il “tu” e come se rendesse presente la morte di Dong-ho, materializzandola davanti al lettore. Perché ha scelto questa formula di racconto?
La narrazione in seconda persona è a mio parere più efficace della comune narrazione in terza persona, perché implica dialogo diretto con l’interlocutore. Dong-ho è già morto, noi lo sappiamo fin dall’inizio del romanzo, però la sua storia viene narrata in cinque capitoli da personaggi differenti, più un epilogo in cui ci si riferisce direttamente a Dong-ho in forma di dialogo, per fare in modo che lui in qualche modo diventi un interlocutore diretto e ritorni a noi. Il pubblico che legge questo dialogo si sente parte in causa, nel senso che in qualche modo viene colpito in prima persona. Quando si parla di “te”, ci si riferisce al tu come all’interlocutore, e la persona che legge si sente parte di questo dialogo. Il riferirsi a “te” è come se si scagliasse una freccia che entra dentro di noi e va a colpire quella persona ideale che andrebbe in qualche modo a interloquire con la persona alla quale ci rivolgiamo. In questo modo Dong-ho viene a noi, e si mette accanto a noi. In questo modo lui è presente, anche se non c’è più.
È un vero e proprio tentativo di evocazione. Da un lato c’è l’evocazione di chi è morto, dall’altro c’è una ricostruzione, anche molto spietata, di quelle che sono state le violenze dei militari. Al centro della violenza c’è il corpo. Il corpo che viene esposto, alla violenza politica ma anche alla narrazione. Il corpo era anche un tema presente nella Vegetariana, sempre in una chiave che potremmo definire “disturbante”. Che ruolo ha il corpo nel suo universo narrativo?
Penso che questi due romanzi possano essere accomunati perché hanno a che fare sia con l’idea di violenza che con l’idea di dignità. Anche nella Vegetariana la protagonista, usando il proprio corpo, rifiutando in qualche modo, attraverso il proprio corpo, l’ingerimento di carne, rifiuta la violenza. In Atti umani Dong-ho cerca di rifare più o meno lo stesso atto. Anche Dong-ho cerca invano il suo amico, cerca di capire se è in grado di ritrovarlo o se è morto, lo cerca tra i corpi delle persone cadute. In qualche modo si adopera profondamente per provare a cercare di portare sollievo anche alle persone che si recano in cerca dei propri cari. Dong-ho si prodiga nell’accensione di candele in segno di lutto per onorare i defunti, porta dei fiori, cerca di fare tutti questi atti per cercare di rendere questi corpi non soltanto “corpi”. Le persone cadute, affinché non siano semplicemente corpi morti, affinché non siano pura carne, vengono onorati da Dong-ho. In questo modo lui restituisce loro la dignità che gli era stata tolta.
L’episodio delle candele accese torna anche nell’epilogo. Nella ricostruzione corale della storia di Dong-ho prendono parola l’amico del ragazzo, la redattrice, il prigioniero, l’operaia, la madre e infine l’autrice stessa, Han Kang. Da dove nasce l’esigenza di prendere parola direttamente all’interno di un’architettura che altrimenti è puramente narrativa?
Il titolo originale in coreano di questo romanzo è 소년이 온다, che significa in italiano Il ragazzo viene da noi. La narrazione corale fa scorrere uno a presso all’altro i punti di vista dei personaggi che sono vissuti nel tempo presente del ragazzo morto, quindi nel 1980, per poi proseguire verso gli anni successivi, fino al 2000. Ho deciso di inserire la mia narrazione personale, perché, appunto, io appartengo al tempo presente. L’evocazione comincia dal 1980 attraverso i personaggi ma giunge al presente attraverso la mia personale evocazione. Volevo utilizzare la mia voce di oggi come un ponte temporale, che portasse dal passato della narrazione al presente del lettore.
Il tema della dignità trova forse una sua immagine chiave nelle candele accese, una forma di omaggio e rispetto verso la vita umana non necessariamente religiosa, ma comunque sacra. L’omaggio ai defunti è anche un modo per contrastare idealmente la violenza che li ha strappati alla vita?
L’immagine delle candele accese è certamente qualcosa legato all’idea di lutto, qualcosa che noi associamo alla morte, però è allo stesso modo qualcosa di legato al calore della vita, qualcosa che ci riporta anche alla possibilità di immaginare un presente. Ovviamente è un qualcosa che ci lega all’idea di funerale, è un’immagine che va a onorare le persone che non ci sono più.
Dicevamo che Atti umani e La vegetariana sono due libri legati. Entrambi, parlando di dignità, disegnano anche delle forme di violenza, il suo opposto. Rispetto alla violenza, qual è il ruolo della letteratura?
Sinceramente non saprei dire se la letteratura è capace di cancellare i traumi. Ma in qualche modo i traumi possono essere compresi e possono essere fissati. In qualche modo possiamo celebrarli, possiamo ricordarli, e possiamo porci delle domande. Possiamo porci delle domande a proposito del nostro presente come esseri umani e poi possiamo anche chiederci come poter migliorare in futuro. Però sono anche convinta che il ruolo della letteratura debba fermarsi qui. Possiamo soltanto aprire delle questioni, lanciare delle domande.