A d agosto, su Netflix, è stata resa disponibile la prima stagione di Disjointed. Lo show co-creato da David Javerbaum e dall’autore di The Big Bang Theory Chuck Lorre vede Kathy Bates nei panni di Ruth Whitefeather Feldman, hippie ultrasessantenne proprietaria di un dispensario di marijuana in California dove, tra l’altro, l’8 novembre del 2016 è stata approvata la Proposition 64: la proposta di legge mirata a legalizzare e regolare l’uso ricreativo dell’erba tra adulti.
L’aspettativa nei confronti della serie, oltre che sul talento comico di Lorre, poggiava sull’eccellenza dell’attrice protagonista calata in un ruolo poco consueto, basato sulla sovversione dello stereotipo dell’anziana perbene, educata e decorosa, attenta al contegno e all’opinione della collettività. Un meccanismo che, proprio in relazione all’erba, era già stato messo in atto dal personaggio di Grace Trevethyn ne L’erba di Grace di Nigel Cole (2000). Così gli spettatori hanno fatto la conoscenza di una nuova signora della droga, molto diversa negli attributi dalla buontempona che beve il tè alle cinque del pomeriggio e modellata, invece, su quella che riconosceremmo – andando a spanne, per luoghi comuni – come una sacerdotessa: lunghi capelli grigi, tuniche liberatorie che somigliano a talari e una genuina passione per lo sballo.
Disjointed è l’affermazione della female stoner comedy, la commedia sballona al femminile.
Di episodio in episodio, scopriamo che Ruth è una guru. È definita dall’impegno politico nei confronti della valorizzazione dei benefici della cannabis, è saldamente cucita nel tessuto sociale che le ha conferito il privilegio di gridare in un megafono più potente degli altri ed è riconosciuta come alfiere di un diritto civile a lungo negato. A contraddistinguerla davvero, però, è il controllo: l’età offre la dimensione della sua abilità nell’entrare e uscire da stati di coscienza alterati e di mantenere saldo tra le mani il potere matriarcale. Perché la protagonista di Disjointed, infatti, è madre un po’ per tutti. Lavorano con lei il figlio, nato da un’avventura libertina e naturalmente alla ricerca della sua identità, e un’allegra gang di ragazzi con svariati problemi psicologici, tutti impiegati in quello che Ruth gestisce prima di tutto come un business.
Tra risate gregarie insopportabili e umorismo trito, purtroppo Disjointed fa acqua da tutte le parti. È trascurabile, e non è escluso che non veda mai l’alba di una seconda stagione. Eppure è una pietra miliare se lo si osserva in una cornice più ampia: l’affermazione della female stoner comedy, la commedia sballona al femminile.
L’erba di Nancy
Legare una donna all’uso saltuario di marijuana non è una novità né per il piccolo né per il grande schermo, ma al di là del già citato L’Erba di Grace restano solo una manciata di ruoli-cammeo di femmine consumatrici. Da Lily Tomlin, Dolly Parton e Jane Fonda in Dalle 9 alle 5… orario continuato a Annie Hall oppure Goldie Hawn e Susan Sarandon in Due amiche esplosive; da Milla Jovovich in La vita è un sogno a Bridget Fonda in Jackie Brown o Blanca Portillo in Volver fino a Jennifer Aniston in Friends With Money – passando per That ‘70s Show in televisione – il sentiero è stretto, impervio e poco battuto. Una prima breccia nella rappresentazione del connubio donne/droghe leggere avviene con Weeds, lo show di Jenji Kohan che, oggi, è decisamente più famosa per aver scoccato una freccia al cuore di un altro genere prettamente maschile – il cosiddetto prison drama, il “dramma carcerario” – con Orange Is the New Black.
Con Weeds abbiamo una prima rappresentazione del connubio donne/droghe leggere.
È il 2005 e la storia è quella di Nancy Botwin, interpretata da una Mary-Louise Parker il cui ruolo di ragazza acqua e sapone con uno spirito ribelle in Pomodori verdi fritti sembra aver spianato la strada a quello di pupa con la pistola in Weeds. La protagonista eredita le caratteristiche specifiche dell’unica altra spacciatrice familiare agli spettatori, ossia Grace Trevethyn: divenuta improvvisamente vedova, si reinventa criminale nel sobborgo californiano di Agrestic per bisogno, abbracciando un mondo ignoto per prenderci, infine, gusto.
Così comincia a delinearsi la relazione a lungo termine – primitiva ma complicata – tra femmine e marijuana nell’intrattenimento audiovisivo nei primi Duemila, procedendo quasi per opposizione binaria sul doppio asse del passatempo senza pensieri, della piccola rottura delle regole pure socialmente sanzionabile e la costrizione, la necessità, il bisogno. Infatti Botwin fuma poco o nulla nella serie: la sua forza motrice è quella seriosa del commercio e del denaro, specie considerato che non c’è piacere, almeno all’inizio, nel trafficare una sostanza illegale. È il copione o meglio ancora è la vita stessa a mettere personaggi come lei e Trevethyn nelle condizioni di sporcarsi le mani.
Una definizione di genere
In otto stagioni Botwin (ispirata peraltro a una donna in carne e ossa, Dr. Dina, celebre proprietaria di un vecchio dispensario sul Sunset Strip di cui i creatori della serie sarebbero stati clienti) finirà per diventare una boss della malavita, svelando la scarsa vocazione di Weeds a raccontare l’erba nella sua galassia di uso e consumo; eppure il sodalizio tra la femminilità e la sostanza stupefacente è un successo e il 2007 e il 2008 sono anche gli anni dell’emersione prepotente della poetica di Judd Apatow, gran maestro di una fucina creativa nella quale la marijuana è ampiamente celebrata. Dagli uomini.
Nelle pieghe di commedie sballone in piena regola come Strafumati e Molto incinta, infatti, si annida una concezione piuttosto esclusiva della droga leggera; perché se è vero che viene sbandierata come stile di vita e mezzo di fuga dai tormenti della vita coniugale costellata di obblighi, è anche vero che provoca sensi di colpa potenti nei maschi che l’assumono, accusati di essere sfaccendati, eterni ragazzini, perdigiorno. Dalle donne.
Nei film di Judd Apatow c’è una concezione esclusiva della droga leggera: sono gli uomini a celebrare la marijuana.
Che invece sono rappresentate come insopportabili portavoce della Retta Via, dell’adempimento ai compiti della vita domestica e professionale. Sono loro a portare i soldi a casa e sono loro ad assumersi (tra le altre cose) la responsabilità di accudimento e reintegrazione nella società degli slacker, gli scansafatiche.
L’eccezione alla regola, sempre nel 2007, viene da Gregg Araki: che nella sua pellicola Smiley Face, la cui protagonista è Anna Faris nei panni di Jane F., racconta di una consumatrice di marijuana che, in seguito a un’intossicazione da dolci all’erba, combina una sequela di disastri. Due anni dopo due comiche danno il via a una serie per il web intitolata Broad City che cattura, tra gli altri, l’attenzione di Amy Poehler.
Broad City e l’affermazione della commedia sballona femminile
“Se è vero che c’è un cambiamento, non ha eco nella cultura pop”, scrive Ann Friedman sulla testata The Cut nel 2013 in un articolo intitolato Why Aren’t Women At Home in the World of Weed?. “Quando le donne fumano marijuana è sempre un atto di ribellione o un momento di rottura per il personaggio, e solo ogni tanto ci si imbatte una mamma-hippie in stile Ti presento i miei da prendere in giro”.
Nel 2014 la webserie creata da Ilana Glazer e Abbi Jacobson, Broad City, parte su Comedy Central in veste rinnovata e sancisce la nascita di un genere: la commedia sballona femminile. Non molto più del ritratto di due amiche che faticano a campare tra coinquilini insopportabili, amanti occasionali e lavori saltuari, la peculiarità dello show è proprio l’amore che le due protagoniste nutrono per la marijuana, che stavolta è tutt’altro che coatto o dettato da contingenze esterne. No. Glazer e Jacobson fumano per gioco. E l’uso dell’erba non è soltanto ricreativo: è creativo.
La peculiarità di Broad City è l’amore che le due protagoniste nutrono per le droghe leggere, che funzionano da collante nei rapporti umani.
Il coté psichedelico è l’aspetto più vibrante delle avventure di due persone molto normali e viene raramente suggerito che si tratti di una forma di semplice escapismo. Nel corso delle varie stagioni le canne funzionano piuttosto da collante nei rapporti umani, espressione della propria diversità e affermazione dell’identità – quella di sballone, appunto – mettendo in evidenza una femminilità istintuale, aliena alla sanzione sociale con cui avevano combattuto personaggi come Nancy Botwin in Weeds.
Abbi e Ilana assimilano l’archetipo dello scansafatiche senza preoccupazione nei confronti della messa in scena del genere, e il risultato è assai diverso da un semplice copia-incolla. I personaggi di Broad City sono autentici, contraddittori, tutt’altro che mascolinizzati nella scelta di non portare le mutande, esplorare il sesso, mantenere le apparenze o decidere di non dare alcun peso alla questione. Ed è in un certo senso proprio la marijuana a restituire loro la proiezione sepolta della donna selvaggia e affamata, in cerca di scampoli di gioia e nutrimento per l’anima nella grande metropoli.
La televisione come agente di normalizzazione
La storia legislativa degli Stati Uniti in materia di cannabis si divide tra la legalizzazione per uso medico e per uso ricreativo. Nel 2012 lo stato del Colorado e quello di Washington aprono le porte all’accettazione di una dimensione ludica della marijuana, ma le statistiche del periodo suggeriscono che gli uomini restino al 50% più inclini a farne uso rispetto alle donne, relegate nei dispensari al ruolo di bambole in bikini destinate a sorridere e fomentare la clientela abituale. Eppure le consumatrici cominciano a venire allo scoperto, lamentando l’assenza quasi completa di rappresentazione in un ambito che non sembra essere di loro pertinenza. Da questo sommovimento culturale nasce la serie web High Maintenance: la storia ruota attorno a un ragazzo che fa da fattorino a New York recapitando a domicilio dell’erba a chi lo richiede. Morbido e compassionevole, lo show (recentemente adottato da Hbo) è scritto da Ben Sinclair e Katja Blichfeld, una coppia. Proprio Blichfeld dichiara di aver esitato a definirsi una fumatrice in pubblico: “Non è mai stata nostra intenzione promuovere l’uso di erba, ma normalizzarlo certamente sì”.
Dati i pochi canovacci disponibili, nel 2016 MTV dà il via a un piccolo show femminile che incorpora High Maintenance e Broad City: si chiama Mary + Jane ed è la storia di due amiche che mettono in piedi un servizio di consegne a Los Angeles. Prodotto, tra gli altri, da Snoop Dogg e creato da Deborah Kaplan e Harry Belfont, secondo quest’ultimo “l’idea ha perfettamente senso. Chi vorresti si presentasse alla tua porta, un tizio losco o una ragazza giovane e attraente?”. L’esperimento non funziona: senza la forza iconoclasta di Glazer e Jacobson né l’umanità di Blechfeld e Sinclair la serie viene cancellata dopo una sola stagione.
La curandera e il futuro
Torniamo quindi al nostro punto di partenza: siamo al 2017, e Disjointed sposa il consumo e la vendita di erba come sistema di valori alla figura matriarcale di Ruth Whitefeather Feldman interpretata da Kathy Bates.
Ruth Whitefeather Feldman è il personaggio femminile più completo nella storia della rappresentazione televisiva del consumo di marijuana.
È sempre lo spirito della donna selvaggia l’istanza chiamata in causa dal personaggio che, dato lo slittamento d’età rispetto alle millennial di Broad City, viene tradotto ed esplicitato nella funzione della curandera: Feldman è una sorta di sciamana, lenisce ogni tipo di ferita attraverso il suo dispensario, offre una casa agli spettri di una comunità disfunzionale, sostiene con l’ascolto mogli nevrotiche e veterani di guerra. Non giudica e non è cieca di fronte a se stessa. È la donna più completa della storia della televisione per quel che concerne la rappresentazione della marijuana: attivista, imprenditrice, madre, amante. È eccentrica, certo; ma è sempre in perfetto possesso delle sue facoltà cognitive.
Nel frattempo un nuovo studio (su campione californiano) porta il consumo femminile al 32%. Debutta Queens of the Stoned Age, format affine alla docuserie prodotto dal sito Merry Jane, nel quale l’uso di erba da parte delle donne viene ulteriormente normalizzato tramite numerose testimonianze. Il network statunitense TNT ordina il pilota di Highland, show della comica Margaret Cho ambientato nuovamente in un dispensario. Il momento è propizio. Un tabù è (quasi) sgretolato.