L enti spesse, fronte aggrottata, guizzi di intelligenza che animano lo sguardo vigile. L’espressione di Alasdair Gray è quella che ti aspetti da uno degli scrittori più irregolari della letteratura anglofona. Scozzese di Glasgow, illustratore e pittore, Gray è autore di una trentina di lavori fra romanzi, raccolte e pièces teatrali, ma viene ricordato soprattutto per Lanark – il suo primo romanzo – definito “la Divina Commedia del cripto-calvinismo anglosassone”. Una definizione del genere può risultare aliena al lettore italiano che non ha mai sentito il nome di Gray: le ragioni di ciò vanno ricercate nella mancata traduzione di Lanark, che – pur essendo del 1981 – appare nel nostro mercato solo oggi, grazie alla pubblicazione in quattro volumi da parte di Safarà Editore.
L’opera vanta numerosi estimatori, da Anthony Burgess – che lo salutò con un profetico: “Era ora che la letteratura scozzese producesse il suo capolavoro della modernità”» – a Jeff VanderMeer, autore della prefazione all’edizione italiana, secondo cui “il romanzo rappresenta i limiti assoluti dell’eccentricità di Gray, dell’indagine postmoderna, e di quello che può essere definito unicamente come difficile genio”. Non potrebbe essere altrimenti per un’opera che coniuga il realismo emotivo della narrazione autobiografica con la grammatica fantastica e fantascientifica della speculative fiction volta alla critica sociale.
La struttura di Lanark è simmetrica: l’opera si suddivide in quattro volumi, il primo e l’ultimo – chiamati “Libro Terzo” e “Libro Quarto” perché ambientati dopo gli altri due – raccontano la storia di Lanark, un uomo che si ritrova nella città fantastica di Unthank, un posto grigio e industriale in cui manca la luce del sole. Gli abitanti di Unthank sono affetti da strane malattie: pelle che si ricopre di squame, muscoli che diventano di vetro, epidemie di bocche che ricoprono tutto il corpo. Nel primo libro Lanark esplora un demi-monde di pensioni luride, gigantesche strutture dall’incerta produzione bellica, pub immersi in un’atmosfera onirica in cui incontra personaggi surreali, primo fra tutti Sludden, il suo Virgilio nello strano mondo di Unthank, con il quale intrattiene conversazioni dal chiaro sapore beckettiano:
“La tua vita è un festino continuo?”
“Mi diverto. E tu?”
“No. Ma mi accontento.”
“Perché ti accontenti di così poco?”
“Che altro potrei avere?”
Spinto dal desiderio di rivedere il sole, dalla ricerca di una donna e dal tentativo di trovare una cura per la dragonite – una malattia che contrae nei primi capitoli del romanzo – l’uomo tenta di fuggire da Unthank ma dopo varie peripezie finisce rinchiuso in un gigantesco ospedale. In un’intervista riportata alla fine dell’ultimo volume l’autore ha raccontato di aver pensato a Lanark leggendo Franz Kafka:
Avevo letto Il processo e Il castello e America allora, e un’introduzione di Edwin Muir in cui questi libri venivano presentati come dei moderni Pellegrinaggi del Cristiano. Le città sembravano quelle della Glasgow degli anni ’50, una vecchia città industriale con un cielo velato di fumo grigio […]. Ho immaginato che ci arrivasse uno straniero, e facesse domande per scoprire lentamente di trovarsi all’inferno.
Nella seconda parte di Lanark l’intreccio è complicato da un cambio di prospettiva: l’autore interrompe la storia per raccontarci la vita di Thaw. Dalle atmosfere burroghsiane di Unthank passiamo al solido impianto modernista della biografia, l’ambientazione è la Glasgow pre-bellica. Thaw è l’alter-ego dell’autore, con cui Gray affresca la sua vita irregolare e il sentimento di precarietà di una generazione che ha attraversato il secondo conflitto mondiale e la povertà della ricostruzione. La frustrazione, la solitudine e i fallimenti artistici si riversano nel suo tentativo di raggiungere la catarsi nel campo dell’arte figurativa; ma quando a Thaw viene affidato l’affresco della facciata di una Chiesa, il conflitto fra il conseguimento di una visione personale e il dubbio sulla reale esistenza di Dio lo porteranno a una solitudine ancora più estrema: l’alienazione sfocerà ben presto in follia.
Libro Primo e Libro Secondo (secondo e terzo volume) rappresentano il vertice del romanzo: la scrittura di Gray riesce a esprimere in senso di esclusione sociale, la timidezza sessuale, la discesa nella follia, la maniacalità di chi concepisce solo la perfezione, una molteplicità di sfumature psicologiche che condizionano il rapporto di Thaw con l’ambiente circostante. Gray non fa mistero quando afferma di aver attinto a materiale autobiografico; le nevrosi di Thaw sono le ossessioni di Gray, come scrive nella postfazione all’ultimo volume:
Sono certo che le pantere e le anatre, se in salute, fanno vite migliori, ma avrei causato mali maggiori se fossi stato un banchiere, un agente di borsa, un pubblicitario, un fabbricatore d’armi o uno spacciatore. Ci sono persone migliori, ma anche peggiori al mondo, quindi io non mi odio.
La storia di Thaw si va a incastrare nella vicenda di Lanark, e il passaggio da reale a surreale si costituisce in modo naturale: Lanark è la reincarnazione di Thaw, l’elemento fantastico sconfina nel metafisico. La letteratura diviene il campo in cui trascendere, le vicende tragiche di una vita come tante nella Glasgow di metà Novecento si assolutizzano fino a diventare metafora del rapporto fra individuo e sistema sociale. Gli avvenimenti della vita di Gray trapassano nella parabola – con un’attitudine religiosa non estranea al milieu calvinista da cui proviene lo scozzese – e l’epopea fantastica di Lanark riprende nel Libro Quarto, in una città nuovamente trasfigurata, in cui all’industria bellica – chiaro riferimento al secondo conflitto mondiale – si è sostituita la pubblicità pervasiva, segno del passaggio alla società dei consumi del Dopoguerra. Lanark – in maniera opposta, quasi catartica, rispetto alla fine ingloriosa di Thaw – diverrà il baluardo del salvataggio della città, arrivando ad appellarsi a un fantomatico Governo Mondiale, e incontrando il suo autore, il suo dio, il dio che Thaw non riusciva a trovare, il dio che Gray ha trovato nella sua scrittura. L’incontro fra autore e personaggio segna l’apice speculativo del romanzo, e mostra come Gray si trovi a suo agio nell’uso delle tecniche narrative postmoderne.
Il motivo di interesse di quest’opera risiede nella capacità di Gray di costruire una narrazione simmetrica adottando due linguaggi radicalmente opposti: da una parte il realismo di stampo modernista – che si riflette nel modello del Ritratto dell’artista da giovane di James Joyce – dall’altra la letteratura fantastica, o sarebbe meglio dire psichedelica, poiché le visioni di Gray sono frutto di un mix che comprende letteratura di genere, fumetto underground (più che l’eleganza aerea di Moebius, la schizofrenia di Jim Woodring), fascinazioni della cultura hippie, distopie in odore di H. G. Wells e trasfigurazione onirica di parabole bibliche.
Sembra che Gray riesca a interecettare le inquietudini psichedeliche della sua generazione e, con i materiali più disparati, a intessere il controcanto letterario dei mondi altri della cultura underground degli anni Sessanta e Settanta (d’altronde l’autore racconta di aver composta l’opera nell’arco di trent’anni); le peripezie di Lanark potrebbero essere frutto di un’epopea dei Gong, Unthank non avrebbe sfigurato nelle suite apocalittiche dei Magma, gi elementi fantastici di Gray sono gli stessi delle sperimentazioni patafisiche di Robert Wyatt. In Lanark agisce in modo chiaro la dinamica della fiction speculativa: la storia di Thaw si riflette in modo allegorico nel mondo di Unthank, e dunque la Glasgow della realtà si trapassa nel bozzetto di un mondo grigio e impoverito. La libertà di allestire un universo con regole proprie permette a Gray di evidenziare i rapporti di forze del reale adoperando la grammatica del fantastico. Il meccanismo si disvela presto agli occhi dell’osservatore: alla lettura si aggiunge il piacere di cercare le corrispondenze fra i fallimenti di Thaw e la trasfigurazione onirica nelle vicende di Lanark.
L’oggetto della critica di Gray riguarda innanzitutto il piano sociale: ciò è declinato nell’attenzione per la malattia, le istituzioni e la povertà. Per Gray il potere si esprime in senso biopolitico: le strambe malattie che affliggono gli abitanti di Unthank sono diretta conseguenza dell’universo grigio che abitano. Allo stesso tempo l’asma e le malattie veneree di Thaw somatizzano il disagio e l’esclusione del ragazzo, l’autore mette in scena un corpo martoriato, disagiato, che manifesta la solitudine nel fisico, e l’incertezza della sua condizione nel metafisico, ovvero nel dubbio religioso. Le attenzioni di Gray sono rivolte al rapporto fra soggetto e leggi che lo sovradeterminano, Dio combacia con l’istituzione poiché rappresenta il potere che sta sopra. Il senso di colpa per la mancata identificazione fra individuo e società – dunque fra soggetto e istituzioni che lo governano, fra morale e leggi religiose che la regolano –, predispongono una schizofrenia che è reclusione del corpo, quanto follia della mente. Gray riesce a esprimere il disagio psicologico dell’escluso anche attraverso il dilemma morale:
Dio aveva la stessa faccia sottile e scura del figlio, e uno sguardo di pura angoscia senza amarezza o biasimo. Nonostante il trono dorato, né lui né il figlio sembravano gente coi soldi. Avevano i volti smilzi dei fornitori, non dei proprietari o dei direttori. Ed era il padre sofferente, non il figlio morto, ad attirare l’empatia di Thaw. Eccola la faccia di Cristo, e sapeva che non avrebbe mai potuto dipingerla. Nessuno può dipingere un’espressione che potenzialmente non gli sia propria, e quel volto era oltre le sue possibilità.
Lanark vive di doppi movimenti: il realistico e il fantastico, il fisico e il metafisico. Nel mondo fantastico l’azione corrosiva dell’istituzione si incarna nel gigantesco ospedale in cui si ritrova il protagonista, una clinica in cui i pazienti irrecuperabili vengono cucinati per la mensa dei medici, letteralmente assorbiti dall’istituzione. Gray conosceva bene le interminabili fili dell’ufficio di disoccupazione o le lotte per i sussidi: la burocrazia della clinica di Unthank – la pratica ospedaliera che porta alla dissoluzione dei malati – ricalca il socialismo disilluso dell’autore. Sembra che nel mondo infero di Gray l’unica via d’uscita sia l’arte, per il giovane Gray che inizia a pensare all’arte come a una forma di eremitaggio, una fede che soppianta quella in Dio. Una rivelazione avuta leggendo James Joyce:
L’ho provata nel climax del Ritratto dell’artista da giovane quando Stephen Dedalus vede la ragazza dalle gambe nude che cammina sulla spiaggia nell’acqua bassa, lei accetta la devozione del suo sguardo, e lui con un ‘Santo Cielo!’ pronunciato di cuore si volta e se ne va verso il tramonto sapendo che sarà un artista, il che è la più grande forma di sacerdozio.
Gray si confronta con il modello di Joyce poiché trova similitudini fra la sua condizione e quella dell’irlandese, d’altronde sia Scozia che Irlanda sono colonie di un impero che consolida il suo potere attraverso la lingua, l’economia, i costumi. Scozia e Irlanda vivono una condizione di subalternità che si esprime nella pratica burocratica, per lo scrittore che vuole confrontarsi con la realtà è indispensabile fare i conti con lo stato di cose, e dunque ragionare sull’istituzione.
In una contemporaneità in cui le promesse di felicità del capitalismo si danno solo come vuoti simulacri, leggere Lanark ci aiuta a mettere a fuoco il rapporto che intercorre fra realtà cognitiva e struttura economica. Allo stesso modo di altre opere che riflettono sulla dissoluzione di un sistema-mondo (e che tentano una sintesi epica) – come Terminus radioso di Antoine Volodine, Satantango di László Krasznahorkai e Abbaccinante di Mircea Cărtărescu – il romanzo di Gray stimola il pensiero laterale, permettendoci di fuggire da categorie razionali ormai stantie. Eppure – al contrario delle opere citate in cui la metafora politica si costituisce nel territorio del sogno – in Gray il controcanto realista riporta ogni descrizione del disagio al contesto della nostra società: l’opera dello scozzese quindi risulta essere più pericolosa, un solido galeone nel mare dell’epica europea. Non rimane che salire a bordo.