G iordano Tedoldi non è il narratore italiano tipo. Non scrive storie realistiche; non propone trame lineari; intesse la sua prosa di richiami alla musica classica e operistica, che ormai rischiano di sembrare oscuri o inattuali; tocca spesso tematiche “politicamente scorrette” (basta pensare a Deep lipsia, opera singolarissima e inclassificabile autopubblicata dall’autore su Amazon nel 2012, che narra, per così dire, dall’interno le gesta di un drappello di giovani neonazisti). Ciò non ha impedito a Tedoldi di guadagnarsi un notevole consenso critico, fin dalla raccolta di racconti d’esordio Io odio John Updike (Fazi, 2006, fatta ristampare da Nicola Lagioia e Christian Raimo nel 2016 per Minimum Fax).
Dopo l’uscita della raccolta e dello scomodo intermezzo di Deep Lipsia, Tedoldi era atteso al varco del romanzo, ma chi si aspettava una normalizzazione in linea con la grande editoria è stato smentito. Il suo primo romanzo, I segnalati (il titolo si rifà a un’opera primo-novecentesca del compositore austriaco Franz Schreker, Die Gezeichneten, «i segnati», «i predestinati»), edito da Fazi del 2013, è stato giudicato dai più troppo massimalista, ambizioso, digressivo, del tutto remoto, quindi, da ogni standard minimamente commerciale.
Come I segnalati, incentrato su una storia d’amore a tinte dostoevskijane da cui si spalancano abissi perturbanti con sconfinamenti nel genere fantastico e horror, così anche il nuovo romanzo Tabù – accolto nella collana di narrativa Tunué diretta da Vanni Santoni dopo essere stato tenuto a lungo in standby dalle major –, comincia con un amore travagliato, quello di Piero, protagonista e narratore delle prime parti del romanzo, nei riguardi di Emilia, la moglie del suo migliore amico Domenico, intellettuale di successo. Approfittando di una momentanea assenza di quest’ultimo, Piero riesce a sedurre Emilia, infrangendo il sacro tabù sancito dal nono comandamento biblico; sarà soltanto il primo di tanti tabù (incesto compreso) che verranno trasgrediti nel libro. Oggi l’infrazione dei tabù sembrerebbe un fatto poco rischioso e le opere che li infrangono non corrono più il rischio di censure vecchio stile, eppure, come recita un passo significativo del libro:
La polizia e la censura più astute sono quelle che ci portano a bruciare i libri nel momento in cui li leggiamo nella comoda tranquillità della nostra camera. La nostra raffinata e logica attenzione, li arde. La cultura, non l’ignoranza; la luce, non l’oscurità sono i segni di un incendio: così siamo fatti noi oggi, censori senza odio, che sulla pira alleggeriscono il mondo dell’ingombro di valori e pesi smisurati e insostenibili.
Per Tabù si può parlare – caso raro, non solo nel panorama letterario italiano contemporaneo – di romanzo “antropologico”. E ancor prima che Freud, Lévi-Strauss e Girard (che sicuramente Tabù presuppone e, più o meno esplicitamente, evoca), indicherei come riferimento imprescindibile l’antropologia negativa di Leopardi, che nello Zibaldone giunge a dimostrare il carattere irriducibilmente funesto di ogni forma di aggregato sociale. In Tabù Tedoldi mette in discussione con la stessa radicalità sia i legami sociali tradizionali (la coppia, il matrimonio, la famiglia), sia quelli alternativi (i rapporti a tre, le comunità basate sul libero amore).
Oltre al triangolo di personaggi già nominati, nel romanzo entra in gioco anche Dolores, detta Dolly, amante spagnola di Piero, la quale, a sua volta, è legata sentimentalmente a Marco, di cui Piero finirà per diventare amico, tanto da condividere l’appartamento con lui per un certo periodo. Si creano così intrecci tra coppie che riprendono, stravolgono e portano alle estreme conseguenze i classici archetipi sentimentali del romanzo occidentale come Le relazioni pericolose di Laclos e Le affinità elettive di Goethe.
Ci troviamo di fronte ad un’opera difficilissima da riassumere, e lo stesso intreccio, così articolato e ricco di cortocircuiti, rappresenta per Tedoldi un campo di invenzione e sperimentazione. Ci saranno inattesi cambi di scenario e perfino la voce narrante cambierà e verrà affidata a un prete (Eusebio), che si presenterà come una sorta di biografo di Piero. Le parti centrali del libro si svolgono in un luogo imprecisato sulle sponde di un fiume, presso il quale Piero, prima di uscire di scena, aveva fondato una comunità basata sulla promiscuità sessuale, che verrà poi chiamata Xanadu, come la leggendaria città mongola cantata da Coleridge (ma c’è una possibile allusione anche all’omonima dimora del protagonista di Quarto potere di Orson Welles).
Alla comunità si aggiungeranno, oltre a personaggi già noti, la giovane e avvenente Messabianca (nome quanto mai allusivo) e una studentessa universitaria, Barbara. Inizialmente quest’ultima vorrebbe svolgere una ricerca sociologica sulla comunità, analizzandola con distacco scientifico, salvo poi rimanere completamente invischiata negli ambigui rapporti che si instaurano tra i personaggi. Qualcosa di simile accade anche a Eusebio, che a un certo punto confida a un altro sacerdote:
Ho confusamente bisogno di loro […] e di capire come funziona questa specifica tribù, come l’hai chiamata. Per me dico, egoisticamente. Perdonami il paragone triviale e estremamente sgradevole, ma suppongo che gli antropologi facciano qualcosa di simile: vivere insieme agli indigeni, diventare loro. Devo diventare come loro, perdere la mia civilizzazione e aderire alla loro.
I cambi di rotta e ambientazione, a volte un po’ bruschi, non rendono la vita facile al lettore, e le molte allusioni (a volte compiaciutamente) colte possono in certi casi infastidire. D’altra parte, rispetto ai Segnalati, in Tabù c’è una maggiore attenzione all’architettura complessiva della trama e alla limpidezza della lingua, spesso efficacissima. Insomma: Tedoldi si conferma uno dei nostri narratori più autentici e imprevedibili, e chi sarà disposto a leggere questo libro fino in fondo con adeguata, anzi, complice, attenzione, ne sarà senz’altro ripagato.