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Islanda è sempre stata una finisterrae in grado di scatenare l’immaginazione, anche perché per molti anni la piccola isola che lambisce il circolo polare artico è stata una meta non alla portata di tutti. Oggi le cose sono cambiate, complici la crisi del 2008 e i voli low coast, e d’estate il paese, che conta poco più di trecentomila abitanti in tutto, si riempie di gente attratta dalla sua natura arcaica. Uno dei modi per visitare il paese è affittare una macchina e fare il giro dell’isola seguendo la ring road, l’unica arteria del paese che fa il giro completo dell’isola. Ma per ogni luogo che lascia a bocca aperta per la sua bellezza, c’è una storia altrettanto incredibile che lo accompagna. Le storie sono invisibili, ma questo sembra non costituire un problema per un paese dove ancora molta gente – nonostante l’alfabetizzazione e la secolarizzazione tipiche di un paese scandinavo – dice di credere all’esistenza degli Huldufólk, la “gente nascosta” che comunemente chiamiamo elfi.
Se siete appassionati di storie simili, o avete intenzione di cercare cosa c’è dietro ghiacci, cascate, vulcani e pareti di roccia in un prossimo viaggio, un libro che può venirvi in aiuto è l’Atlante leggendario delle strade d’Islanda. Curato da Jón R. Hjálmarsson e corredato di una mappa che localizza ogni storia, è un compendio interessante e godibile delle leggende della gente d’Islanda. In Italia lo ha tradotto Iperborea, casa editrice specializzata in letteratura dei paesi del nord. Perché di questo in fondo si tratta, di una forma laterale e gustosa di letteratura. Una letteratura che pesca nella coscienza collettiva, un po’ come le fiabe raccolte da Calvino, ma anche un libro affascinante per chi ama la letteratura di catalogo. E, cosa non indifferente, si può usare in modo pratico come una guida.
Ho fatto un viaggio in Islanda di recente. Purtroppo l’atlante non era ancora uscito, ma un esercizio divertente è stato ripercorrere con la mente quei luoghi alla luce della sua lettura. E scoprire ad esempio che vicino Hólmavík, nei fiordi del nord ovest, si racconta di una maledizione che colse un impavido cappellano di nome Jón Hjálmarsson. Il cappellano derise un uomo che si vantava di praticare l’occultismo e lo sfidò a dimostrare ciò che sapeva fare. Quello, piccato, gli disse che avrebbe mandato uno spettro a disturbarne il sonno. Il cappellano rise e la cosa finì lì. Ma non accadde nulla e il reverendo se ne tornò al suo paese. Se non che, un anno dopo, cominciò ad essere disturbato da un piccolo spettro che gli punzecchiava i piedi durante il sonno… La storia prosegue con una serie di altri fantasmi che fanno visita al prete e con lui che resiste grazie alla fede in Dio usata in modo, a dir poco, “magico”. Non deve stupire più di tanto questa dialettica tra occultismo e religione e il pensiero magico onnipervasivo.
Molti islandesi, nonostante l’alfabetizzazione e la secolarizzazione tipiche di un paese scandinavo, dice di credere all’esistenza degli Huldufólk.
L’Islanda è stata l’ultima terra d’Europa a essere cristianizzata, attorno all’anno mille. Della dialettica che si creò tra cristianesimo e paganesimo, che continuò a essere praticato in privato per secoli, ce ne sono diverse tracce proprio da queste parti, dove almeno ventuno persone furono bruciate dalla Chiesa per stregoneria. Lo ricorda un curioso Museo della stregoneria, iniziativa privata di un ristoratore di Hólmavík che ha raccolto dati, oggetti, realizzato mappe. Tra una statua posticcia e un dato storico, si leggono ad esempio i testi degli incantesimi e dei riti “occulti” che avevano molto spesso lo scopo di alleviare le condizioni materiali di chi li praticava (immaginate cosa doveva essere il medioevo islandese) o di vendicarsi di qualcuno. Insomma, a leggere tra le righe viene da domandarsi se dietro la contrapposizione tra le arti magiche praticate dai contadini, che sono un lascito della religione norrena, e il cristianesimo dei ricchi convertiti non ci fosse anche uno scontro di tipo sociale.
Proseguendo a nord una tappa irrinunciabile è la maestosa Cascata di Godafoss, la cascata degli dei. Già il suo nome racconta uno snodo cruciale della storia islandese, che ancora una volta ha a che fare con la conversione dell’isola. Le fu assegnato, si dice, dopo che Thorgeir di Ljósavatn – prete pagano che propugnò la conversione al cristianesimo per evitare le scontro con la Norvegia – scagliò nelle sue acque i suoi idoli norreni. È una storia molto conosciuta, mentre pochi sanno che in quelle acque il bandito Grettir Ásmundarson si gettò, assicurandosi prima ad una fune che aveva affidato a un sacerdote, che però decide di abbandonarlo. Grettir era a caccia di troll, avendo avvistato pochi giorni prima un’orrida trollessa che aveva tentato di ucciderlo. Nella sua avventura ucciderà un grande troll, riuscirà a tornare portando con sé i resti di alcuni malcapitati per dare loro degna sepoltura. E da quel giorno non si sentirà più parlare di esseri simili in tutta la zona.
Di zone come queste è ricca l’Islanda, così come di meraviglie naturali. Dalle acque sulfuree vicino al lago Myvatn (un luogo simile alla più celebre Laguna Blu del sud, ma assai più remoto e assai meno battuto dai turisti), dove pure si racconta dei misfatti di una trollessa, che provocava molti problemi ai pescatori del luogo; oppure andando verso la parte meridionale dell’isola, a Scaftafell, dove tra i panorami mozzafiato del lago glaciale Jökulsárlón e i ghiacciai perenni si racconta che le trollesse fossero bendisposte verso gli umani, tanto da restare legate anche ai loro discendenti nel corso della loro lunghissima vita. In una fattoria vicino a Egilsstadir, nella zona dei fiordi orientali, si racconta del fantasma di Manga, una donna morta giovane che aveva chiesto invano al marito di non risposarsi dopo la sua morte; la fattoria, rimasta disabitata a causa degli spettri che la infestano, fu usata come riparo dai viandanti che però non dormono mai sonni tranquilli. Mentre dall’altro lato dell’isola, sulle scogliere dell’Ovest, si racconta che il diavolo in persona amasse sfidare i verseggiatori del luogo a delle tenzoni poetiche.
In fondo, al netto delle meraviglie naturali, quando visitiamo un luogo lo facciamo perché rincorriamo una storia. Shakespeare, nel Coriolano, scriveva What is the city but the people? – e le persone, a loro volta, sono le loro storie. Ma se questo è ovvio nel tempio dell’ominazione che è la metropoli, è forse meno ovvio ma altrettanto vero nelle lande vuote d’Islanda, uno dei paesi con minore densità abitativa al mondo. L’atlante di Iperborea ci suggerisce che anche dietro ogni roccia, cascata, scogliera si nasconde una storia. Vederla, come per chi riesce ancora a vedere il popolo nascosto, è una questione di immaginazione.