O
ggi leggere Guido Buzzelli vuol dire scoprire Guido Buzzelli. In Italia di questo autore del fumetto si ha poca se non scarsa memoria; un occhio miope, il solito occhio miope, ne ha fatto deviare la traiettoria dagli allori delle continue ristampe al dimenticatoio che spesso spetta ai più grandi.
Perché questo disguido? Molte le risposte, ma la migliore è quella fornita dallo stesso Buzzelli, che trapela attraverso le tavole di questa raccolta di tre storie lunghe, oscure, acrobatiche che con difficoltà avrebbero potuto trovare un posto comodo nel mercato del fumetto italiano a cavallo tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, anni roventi di lotta, anni in cui usciva ad esempio Una Ballata del Mare Salato di Hugo Pratt e il respiro avventuroso di Corto Maltese rielaborava i canoni del fumetto italiano, anni veramente poco addatti alle chine febbrili dei grotteschi episodi de La Rivolta dei Racchi. Nonostante tutto è proprio in quei mesi che Buzzelli sceglie di scrivere e disegnare una storia senza commissione, una storia lunga, composta da molte tavole, una splendida scelta da fanzinaro, e quindi per niente scontata per quegli anni. Era la meravigliosa scelta di uno spirito ribelle, lo stesso spirito che aveva portato un pittore, un disegnatore squisito, che esegue anatomie degne di un Michelangelo, a diventare – con pervicacia – un fumettista.
Nel paese di Goduria esiste una suddivisione ben precisa tra Belli e Racchi. I Racchi servono e riveriscono i Belli, i quali vivono e regnano solo per soddisfare ogni loro vizio e desiderio. Tra queste due caste c’è permeabilità: ad esempio alla corte dei Belli vive Spartak, un Racchio con la mansione del giullare, addetto all’intrattenimento del Re. Già dal nome, versione degradata di quello del ribelle Spartaco, riusciamo a capire che questo povero diavolo, niente di più che un italico profittatore impiegato dei Belli, è destinato a guidare la rivolta che porterà i Racchi al potere.
Nelle 45 tavole di questo fumetto si arriva già al cuore dell’esperienza della lettura buzzelliana. Tra la bestialità dei Racchi, il cieco edonismo dei Belli e la mediocrità del protagonista, il lettore non sa esattamente per chi parteggiare. Tutte le sue aspettative vengono debitamente eluse dallo sviluppo della storia, la trama cresce e si mescola ai temi, la direzione della storia cambia in continuazione componendo un affresco, più che una soluzione finale. Il lettore si sente spaesato, ed è proprio questo il sottile prestigio del lavoro di fino di Guido Buzzelli.
Strambi quadri d’insieme, tavole babeliche, materiali degni di Francisco Goya, dialoghi surreali, intuizioni feroci, sillogismi paralizzanti, crudo realismo, visioni dal futuro.
La Rivolta dei Racchi non trovò facile sponda in Italia, dove comunque comparve a Lucca in occasione della fiera del fumetto per poi essere pubblicato interamente sul sesto (e ultimo) numero della rivista Psyco. Pochi anni dopo finirà nelle mani di Georges Wolinski, che pare ne abbia recuperato una copia in un mercatino di albi usati. Wolinski accoglie quello strano italiano nella grande famiglia di Charlie Hebdo dove La Rivolta dei Racchi puggò essere gustata e soppesata da un pubblico vasto e preparato, e la Francia adotta Buzzelli. È il 1970. La risposta del nostro alla meravigliosa accoglienza d’oltralpe è un altro cocktail fatale. Viene alla luce nel 1971 I Labirinti, una nuova storia autoconclusiva. E questo titolo va probabilmente inteso come una dichiarazione d’intenti: Buzzelli non crea un personaggio da gettare in decine di avventure in serie, non crea appigli al suo lettore, sembra anzi che voglia prenderlo in giro.
L’anarchia che regna in questa storia ha tinte sovrannaturali. Giocando di sponda con una feroce critica sociale, freddamente angosciante, punta dritta al cuore del paradosso umano: com’è criminale essere vivi. Siamo nel cuore dell’incubo, la storia comincia proprio come il peggior incubo nato nel clima da guerra fredda dell’epoca: un’apocalisse (nucleare?) stermina mezzo mondo (o solo gli abitanti di una città?). Il protagonista miracolosamente si salva (non si capisce bene come) e inizia una serie di incontri stravaganti: prima entra in contatto con eteree creature aliene, poi con una colonia di scienziati pazzoidi in lotta tra loro. Il protagonista, inorridito dalle prime e affascinato dalla seconda, sarà esiliato da entrambe. Affidarsi a Buzzelli è una scommessa persa in partenza: i dedali sotterranei popolati da esperimenti, i cunicoli trasparenti della luna aliena, la devastata città piegata da una forza indefinibile ed indefinita, la spiaggia del finale che è una vera e propria discesa nell’inspiegabile, sono le declinazioni dell’incubo buzzelliano. Igort, nell’introduzione del volume, riporta una definizione di Wolinski dell’angoscia-buzzelliana: “Ha sempre paura di non farcela, di svegliarsi un giorno e di non essere più Buzzelli. Questo gli fa venire gli INCUBI, lo fa essere Buzzelli.” Buzzelli composto da incubi. Buzzelli scomposto in un incubo.
E l’autore romano stesso diventa protagonista dell’ultimo episodio di questa ipotetica trilogia. Nel 1972 su Charlie Hebdo inizia la pubblicazione a puntate di Zil Zelub, un anagramma che è copertura dello stesso Buzzelli. Sempre in francese. Buzzelli in tutto questo periodo vive in Italia, in piena libertà creativa grazie alla disponibilità del mercato francese ma diviso in qualche maniera tra due paesi. Forse c’è questa disarticolazione alla base del geniale impianto di questa novella degna de Il naso di Nikolaj Gogol. Il mediocre contrabbassista Zil deve fare i conti con un piccolo contrattempo: il suo corpo si smembra. E mentre fa i conti con questa umiliante inefficienza, la città è stritolata da una lotta politica che lo vedrà vittima, carnefice, e ancora vittima. Impossibile cercare di descrivere gli intrecci di questa storia, uno scanzonato horror psicanalitico, dove le visioni de I Labirinti e la sagacia de La rivolta dei Racchi si mescolano in una resa instabile e impeccabile. Strambi quadri d’insieme, tavole babeliche, materiali degni di Francisco Goya, dialoghi surreali, intuizioni feroci, sillogismi paralizzanti, crudo realismo, visioni dal futuro. Un capolavoro nato quasi cinquant’anni fa.
La trilogia, edito da Coconino Press, segna il ritorno di Guido Buzzelli nelle librerie in splendida forma, grazie a un’edizione che sa di monumento: erotica nei materiali, morbosa nelle dimensioni. Dopo queste tre storie, indipendenti, sonoramente di rottura, visivamente esplosive, l’Italia offrirà uno scranno al Buzzelli autore con premi, offerte di partecipazioni a riviste e tutto il resto. Buzzelli è già nato, è già sbocciato, già rugge. E noi possiamo solo fermarci, tornare indietro e recuperare.