S
econdo Martin Ford, siamo vicini allo “scontro finale” tra tecnologia e istruzione. Sappiamo che milioni di posti lavoro rischiano di scomparire a causa dell’automazione, ma il fenomeno non riguarderà solo le professioni meno qualificate: oggi anche i colletti bianchi sono a rischio. È questo il monito dell’autore de Il futuro senza lavoro (Il Saggiatore).
Negli ultimi anni sono usciti parecchi saggi sul futuro del lavoro. Nella maggior parte dei casi si concentrano su Watson, il supercomputer di IBM, quello che ha partecipato al quiz show Jeopardy!, o offrono un richiamo al movimento luddista. Tutte storie molto suggestive a cui Ford, futurista e scrittore, preferisce un’altra vicenda, più recente: l’ideazione della macchina che si guida da sola di Google. Presentata nel 2011, la tecnologia alla base del veicolo “non si proponeva di replicare il modo in cui guidano le persone”, poiché sarebbe stato impossibile anche per i mezzi del gigante californiano. Piuttosto si basava su “un’accurata conoscenza della propria ubicazione grazie al Gps”, e ai dati raccolti da sensori, radar e altri sistemi, “permettendo alle vetture di adattarsi a nuove situazioni”.
La differenza è sostanziale: invece di insegnare tutto al computer (la strada, il concetto di movimento, di codice stradale, di eccezione ed imprevisto), gli si insegnano le basi, caricandolo di informazioni, esempi e casistiche. Fatto questo, lo si spinge a imparare a comportarsi, a non sbagliare. Anche se “la guida non è una professione da colletti bianchi”, conclude l’autore, “la strategia seguita da Google può essere estesa a moltissimi settori”, che credevamo al riparo dai tentacoli dell’automazione.
Uno dei paragrafi più interessanti è intitolato “Come si trasforma l’istruzione superiore” e racconta del progetto americano di affidare a un’intelligenza artificiale l’attribuzione dei voti finali dei test standardizzati, esami particolarmente importanti negli USA. Da tempo esistono macchine in grado di correggere test a crocette ma ciò necessità di una tecnologia molto più sofisticata, un algoritmo in grado di analizzare e decidere sulla base di informazioni più eterogenee di una serie di risposte multiple. Questi algoritmi “vengono formati impiegando un campione di numerosi scritti a cui degli insegnanti umani hanno già dato un voto”, e poi programmati per seguire le loro orme. Si ritorna sempre alla capacità di un computer di apprendere e migliorarsi, concetto legato al deep learning e alle reti neurali, che come spettri infestano ogni pagina de Il futuro senza lavoro. Invece di immaginare una scuola piena di robot e macchine, Ford prova a indagare un modello diverso d’istruzione, quello dei Mooc (Massive open online courses, corsi aperti online di massa). A partire dal 2011, quando Stanford ha inaugurato un Mooc dedicato alle intelligenze artificiali, il settore è esploso, ha attraversato qualche scandalo, si è circondato scetticismo rispetto il suo valore e infine è sopravvissuto in chiave ridotta, come una possibile alternativa per il futuro.
Si tratta di corsi universitari specializzati, spesso tenuti da docenti prestigiosi, a cui possono partecipare tutti, sostenendo degli esami online e ricevendo, in caso di superamente del test, un attestato di frequentazione. In questo scenario i Mooc farebbero diminuire il costo di un diploma, una cosa positiva visto l’aumento delle rette registrato negli ultimi anni.; al contempo, però, contribuirebbero anche a togliere valore al “pezzo di carta”. Come scrive Ford:
Un titolo accademico potrebbe facilmente diventare meno costoso (…), ma al tempo stesso la tecnologia potrebbe devastare un settore (…) di grande importanza per i lavoratori con un alto livello di istruzione. Inoltre, in quasi tutti gli altri settori il progresso del software di automazione continuerà ad avere ripercussioni su molti degli impieghi qualificati che questi neolaureati cercheranno probabilmente di ottenere.
Le scuole potrebbero quindi perdere parte della loro funzione e sacralità. Del resto, ad oggi, non sappiamo dire con certezza a cosa serviranno in futuro, in termini occupazionali: è il grande enigma dei nostri tempi, una domanda a cui nemmeno Martin Ford è riuscito a dare risposta. Nel frattempo la letteratura sul post-lavoro continua ad arricchirsi: sarà interessante rileggerla tra qualche decennio, quando tutto, forse, verrà chiarito.