Ospitiamo un breve saggio del prof. Ferdinando Boero, docente all’Università del Salento.
I l primo scopo della scienza è identificare l’ignoranza, il secondo è di cercare di ridurla. La fisica, per gli epistemologi, è paradigma di scienza matura, che “prevede” il comportamento della natura attraverso leggi espresse matematicamente. Oltre a prevedere il futuro (scienza predittiva), la fisica usa informazioni attuali, come la radiazione cosmica, per ricostruire il passato, come l’origine dell’universo. La fisica ha individuato limiti alla possibilità di ridurre l’ignoranza e ha identificato l’ignoranza irriducibile, ad esempio con il principio di indeterminazione di Heisenberg: quanto più conosciamo la posizione di una particella tanto meno ne conosciamo la velocità, e quanto più ne conosciamo la velocità tanto meno sappiamo della posizione. Più riduciamo l’ignoranza di un fenomeno, più aumenta l’ignoranza su un altro. All’aumentare della complessità, inoltre, la fisica identifica sitemi caotici, non lineari, in cui piccole cause possono avere effetti smisuratamente grandi. La teoria del caos spiega perché sia intrinsecamente impossibile prevedere il tempo atmosferico nel medio e lungo termine. Se conoscessimo perfettamente tutte le condizioni iniziali potremmo prevedere anche i fenomeni atmosferici, ma le condizioni iniziali sono talmente tante che possiamo dire che il comportamento dei sistemi complessi sia indescrivibile con i mezzi con cui descriviamo i sistemi semplici.
Le previsioni del tempo hanno enormemente migliorato la loro accuratezza a breve termine, ma sappiamo che possono fallire nel medio e lungo termine (e, a volte, falliscono anche nel breve). I meteorologi non si azzardano, a gennaio, a prevedere il tempo di marzo, per non parlare di quello di agosto. Possono però analizzare i dati meteorologici del passato, elaborarli, e confrontarli tra loro. Ricostruiscono così la “storia” del tempo meteorologico e definiscono il “clima”, con le sue regolarità e irregolarità. Ogni anno è diverso dagli altri, se prendiamo ogni giorno di un anno e lo confrontiamo con tutti i giorni corrispondenti di ciascun anno della serie considerata. Ma sappiamo che i giorni di aprile di ogni anno saranno più simili tra loro di quanto non lo siano con quelli di agosto o di dicembre, e così per tutti i mesi. La variabilità del clima ha una sua regolarità.
La teoria del caos, infatti, pur spiegandoci l’impossibilità di prevedere con precisione il futuro dei sistemi complessi, ci dice che questi sono governati da “attrattori”. L’attrattore del clima “attrae” tutti i giorni di aprile entro un certo intervallo di variazione. Ogni aprile è diverso da tutti gli altri, ma tutti gli aprile sono comunque più simili tra loro di quanto non lo siano rispetto a tutti i gennaio. Il cambiamento climatico avviene quando questa regolarità viene meno. A un certo punto, anche nel tempo meteorologico, la precisione (e l’accuratezza) della fisica cede il passo alla storia: dalla meteorologia si passa alla climatologia: dalla cronaca alla storia. La cronaca ci dice quel che succede oggi e lo mette in relazione con quello che è successo nei giorni precedenti. La leggiamo sul giornale. E sul giornale leggiamo anche proiezioni che tentano di prevedere il futuro dei giorni successivi.
Chi vincerà le elezioni? Come andrà la borsa? A volte le previsioni si avverano, a volte no. Ma nessuno si azzarda a dire cosa succederà a lungo termine (la storia del futuro), a parte gli oroscopi di inizio anno. La storia tratta del passato, e non si azzarda a prevedere il futuro semplicemente perché non si può: il futuro non esiste. La storia descrive gli eventi del passato e cerca di identificarne le cause, delineando scenari degli eventi passati e, volendo, identificando tendenze che ci possano suggerire scenari futuri. Ma non con le equazioni.
Darwin, ne L’origine delle specie, spiega la differenza tra scienze storiche e a-storiche con la metafora delle piume:
“Gettate in aria una manciata di piume, e tutte dovranno cadere al suolo secondo leggi definite. Ma come è semplice questo problema se confrontato con l’azione e la reazione delle innumerevoli piante ed animali che hanno determinato, nel corso dei secoli, i numeri proporzionali e i tipi di alberi che ora crescono su quelle vecchie rovine indiane!”
L’azione e la reazione di innumerevoli piante e animali rappresenta una serie di “contingenze” che, tutte assieme, determinano la storia e la rendono imprevedibile, allentando i vincoli che la renderebbero prevedibile.
I vincoli sono le leggi (la gravitazione universale): essenziali per comprendere il mondo che ci circonda, ma non sufficienti per comprenderne la “storia”. Come sono “semplici” i problemi che affrontano, ci insegna Darwin. “Nel corso dei secoli”, nella frase di Darwin, è la storia. La foresta che vediamo è frutto di una storia, fatta di innumerevoli azioni e reazioni. Non si può descrivere con un’equazione.
Una singolarità
Da sempre studiamo due tipi di storia: la storia naturale, e la storia dell’umanità. L’origine dell’universo è l’inizio della storia naturale che continua con l’espansione dell’universo stesso. La fisica la ricostruisce e ne prevede addirittura l’esito finale. Questa storia dominata da vincoli, però, è caratterizzata da una contingenza: su un pianeta del sistema solare la materia ha assunto uno stato inatteso e inaudito, è diventata viva. Comincia così un’altra storia: la storia della vita, una singolarità nell’universo conosciuto, che richiede altri strumenti per essere studiata.
La geologia e la paleontologia ci insegnano che per miliardi di anni la terra è stata come tutti gli altri corpi celesti, ma poi la materia ha preso vita. Prima con esseri molto semplici, dei quali probabilmente non troveremo mai traccia, e poi con esseri semplici, simili ad alcuni batteri attuali. Per miliardi di anni la materia vivente è rimasta in uno stato abbastanza semplice, ma poi si è trasformata in forme sempre più complesse e quella serie di trasformazioni non si è ancora fermata. La biologia studia questa unicità dell’organizzazione della materia. Come sono “semplici” gli altri problemi, rispetto a questo. La fisica studia universalità, la biologia studia una singolarità.
Enunciati universali e esistenziali
Dovunque vada, un fisico trova qualcosa da studiare. Persino nel vuoto. Le leggi della fisica valgono dovunque, e i fisici si impegnano a trovare l’equazione del tutto: una formula che spieghi l’intero universo. Non male come programma. La chimica studia espressioni un pochino più complesse, con una serie di fenomeni che hanno generalità sempre più ristretta.
Nel secolo scorso il filosofo Karl Popper ebbe una grande influenza sulla scienza e propose un sistema operativo per praticarla: il falsificazionismo. Non possiamo dimostrare che qualcosa sia vero: la verità non esiste. Possiamo solo cercare di dimostrare che qualcosa è falso, e se non ci riusciamo possiamo solo dire che non è falso, ma non che sia vero. Popper chiede alla scienza di formulare enunciati a valenza universale e le chiede, quindi, di essere fisica.
Nel secolo scorso il filosofo Karl Popper propose un sistema operativo per praticare la scienza: il falsificazionismo. Non possiamo dimostrare che qualcosa sia vero, possiamo solo cercare di dimostrare che qualcosa è falso.
Per spiegare il falsificazionismo, però, Popper non usa la fisica, sceglie l’ornitologia: tutti i corvi sono neri. Non ha importanza quante volte troviamo un corvo nero, non potremo mai essere sicuri di aver visto tutti i corvi (l’universo corvi). Ogni volta che troviamo un corvo nero non verifichiamo tutti i corvi sono neri, dimostriamo la sua non falsità. Un corvo bianco falsifica tutti i corvi sono neri. Inutile invocare la genetica che spiega l’albinismo. Tutti i corvi sono neri è falso e la “legge” crolla: si deve togliere tutti. Cosa possiamo dire, allora, sul colore dei corvi di fronte a un corvo bianco? Esiste un enunciato universale applicabile al colore di tutti i corvi, se troviamo un corvo albino? La risposta è: non esiste. Possiamo però formulare un enunciato che “preveda” che statisticamente i corvi siano in gran parte neri, ma che sia anche possibile l’esistenza di corvi bianchi. In questo caso è possibile “verificare” statisticamente la prevalenza di corvi neri, e trovare i meccanismi genetici che prevedono la probabilità statistica che ne nascano di albini. Ma altre “leggi” possono entrare in gioco, oltre a quelle della genetica. Se esistesse un predatore che predilige i corvi neri e disdegna i corvi bianchi, la “legge” ecologica della selezione naturale canalizzerebbe i corvi verso il bianco, e l’enunciato la maggior parte dei corvi è nera, ma alcuni sono bianchi potrebbe richiedere una nuova formulazione: la maggior parte dei corvi è bianca, ma alcuni sono neri.
Il corvo bianco falsifica l’universalità della presunta legge universale sul colore dei corvi e considera singolarità che, a loro volta, si possono presentare con frequenze differenti a seconda delle interazioni tra “leggi” che agiscono assieme. La variabilità della materia vivente è il motore dell’evoluzione per selezione naturale. I vincoli possono cambiare nel corso dell’evoluzione, e le “leggi” sono statistiche, gli enunciati sono esistenziali: prevedono l’esistenza di diverse possibilità: le variazioni. Non è quello che chiede Popper alla scienza! Ma dobbiamo adattare la scienza alla realtà e non la realtà alla scienza! La materia vivente trasmette le sue caratteristiche da una generazione all’altra attraverso processi genetici, ma la selezione naturale, con le leggi dell’ecologia, canalizza l’espressione di queste caratteristiche governate dalle leggi della genetica.
La biologia è la scienza storica per eccellenza (storia naturale) e si basa su enunciati esistenziali perché è l’espressione di una singolarità governata da causalità multiple (ecologiche, genetiche, anatomiche, fisiologiche, etc.).
Le leggi dell’evoluzione
L’ipotesi della Regina Rossa potrebbe essere considerata una “legge” dell’evoluzione: ogni adattamento di una specie svantaggia le specie che con essa interagiscono e queste sopravvivono solo se adattano una risposta all’adattamento che le ha svantaggiate. Il che significa che l’evoluzione è una reazione a catena in cui ogni cambiamento genera cambiamento. Questa “legge” però non prevede, spiega. Ai cambiamenti delle specie dobbiamo aggiungere i cambiamenti ambientali, anch’essi generatori di altri cambiamenti nelle specie. La rete di cause ed effetti diventa inestricabile, proprio come avviene con la storia dell’umanità.
Le condizioni al contorno continuano a essere regolate da leggi fisiche immutabili. La gravitazione, le proprietà degli elementi, la natura delle particelle elementari, del sistema solare e dell’universo intero rispondono alle leggi universali della fisica ma, su altre scale di spazio e tempo (quelle in cui opera la vita), la singolarità della materia vivente può rispondere alle “contingenze” da essa stessa generate e cambiare le proprie caratteristiche.
Le scienze che producono enunciati universali sono “predittive” e chi le pratica ama chiamarle “dure”. Mentre le scienze che producono enunciati esistenziali sono chiamate “descrittive” e chi non le pratica le chiama “molli”. I biologi, spinti dal paradigma popperiano, hanno sviluppato un’insana invidia per la fisica e provano da tempo a proporre leggi predittive, matematizzate. Ma l’evoluzione stessa mostra come sia intrinsecamente impossibile prevedere la storia naturale. Possiamo identificare qualche “legge” genetica e qualche “legge” ecologica, ma quando queste interagiscono la situazione diventa talmente complessa che le previsioni “dure” diventano intrinsecamente impossibili.
Scienza è musica
La fisica usa un approccio riduzionista. “Riduce” la complessità di un fenomeno ai minimi termini e cerca di comprendere le leggi universali che lo governano. Ma il tutto è più della somma delle parti che lo compongono. Gli effetti sono cumulativi e spesso non sono lineari. Il riduzionismo basta per comprendere l’universo, con l’eccezione del mondo: su questo pianeta, il pianeta vivente, la fisica è necessaria ma non è sufficiente. E non sono sufficienti neppure le singole branche della biologia, anch’essa sviluppata in modo riduzionista. Non basta la genetica, come non basta l’ecologia. Ci vuole la storia naturale.
L’analisi riduzionista deve evolvere in una sintesi olistica in cui le varie branche della scienza collaborino per comprendere la realtà. La scienza è come la musica suonata da un’orchestra. Non si può comprendere ascoltando il suono di ciascun strumento (disciplina), separato dagli altri. Mettere assieme i risultati delle varie scienze, elaborando una scienza unificata, è impresa non solo scientifica ma anche filosofica. L’universalità del pensiero Popperiano si applica alla fisica. La biologia ha bisogno d’altro e non deve rincorrere la fisica sperando di poter fare altrettanto. Com’è semplice questo problema… ammonisce Darwin. Fuori dal nostro pianeta la biologia è completamente inutile, e domina la fisica. Possiamo vagare nello spazio e nel tempo universale, ma se vogliamo continuare a vivere dobbiamo tornare con i piedi per terra.
Solo un fisico come Stephen Hawking potrebbe suggerire la colonizzazione di altri pianeti per salvare l’umanità dalla catastrofe che sta preparando per se stessa. Sugli altri pianeti non ci sono ecosistemi simili a quelli che ci permettono di vivere su questo: c’è una sola terra. Se i fisici vogliono andarsene, si accomodino. In questo caso possiamo facilmente formulare una predizione “dura”: faranno una brutta fine.