M ercoledì 22 aprile 1970, duemila college, decine di migliaia di scuole e qualche migliaio di comunità sparse per gli Stati Uniti d’America celebrarono il primo Earth Day della storia. Come raccontò Walter Cronkite nello speciale della CBS Earth Day – A Question of Survival, non fu proprio un successo di partecipazione, con la folla radunata, per esempio, al Fairmount Park di Philadelphia più che altro interessata alla musica suonata sul palco. Le immagini mostrano il biologo Barry Commoner, uno degli attivisti più noti, ammonire i presenti: “Questo pianeta è minacciato dalla distruzione e noi che ci viviamo siamo minacciati dalla morte. I cieli sono appestati, le acque sporche […] e viviamo sull’orlo dell’annientamento nucleare: siamo nel mezzo di una crisi di sopravvivenza”. Anche se non si direbbe, è l’inizio, in sordina, della grande stagione del movimento ambientalista.
Poco più di un mese fa, sabato 22 aprile, migliaia di scienziati e manifestanti hanno sfilato lungo il National Mall di Washington, tra la Casa Bianca e Capitol Hill. L’Earth Day 2017 è stata l’occasione per organizzare la prima Marcia per la Scienza, manifestazione ideata per tenere alta l’attenzione sui temi del surriscaldamento globale e i cambiamenti climatici, che Donald Trump nega, e opporsi alle minacce del presidente americano di ridimensionare i programmi di ricerca sull’ambiente.
Visioni diverse e contrastanti del rapporto tra società occidentale e natura hanno attraversato il Novecento in continua tensione. La domanda implicita da cui sono scaturite è allo stesso tempo politica e filosofia, e riguarda il posto dell’uomo nel mondo: siamo parte integrante della natura o ne siamo fuori, e la dominiamo? Un ruolo centrale in questo dibattito è occupato ancora oggi da Primavera silenziosa, un libro uscito nel 1962 a firma di Rachel Carson, una biologa marina che non ha vissuto abbastanza da poter partecipare alla prima Giornata della Terra.
La primavera ambientalista
Pubblicato a puntate sul New Yorker e poi raccolto in volume unico, Primavera silenziosa condensa diversi anni di documentazione e ricerca sui pericoli che i Paesi occidentali correvano a inizio anni Sessanta con l’impiego massiccio di insetticidi.
Rachel Carson si concentra sulle conseguenze per l’ambiente di sostanze come eptaclorano, aldrina, endrina, dieltrina, clordano, e DDT (dicloruro-difenil-tricloretano) il nome più noto e divenuto sinonimo di tossicità. Accanto a questi Carson aggiunge gli erbicidi che contengono arsenico che, in elevate concentrazioni, inquinano le riserve acquifere. Sono sostanze dal grande impatto sul controllo della diffusione di malattie trasmesse dagli insetti, come per esempio la malaria, e d’aiuto per i campi agricoli, dei quali aumentano la resa e facilità di coltivazione.
Visioni contrastanti del rapporto tra società occidentale e natura hanno attraversato il Novecento in continua tensione: un ruolo centrale è occupato ancora oggi da Primavera silenziosa, un libro del 1962 di Rachel Carson.
Un mondo con meno zanzare che trasportano la malaria e meno piante infestanti nei campi dove coltiviamo ciò che poi mangiamo sono due prospettive che nessun essere umano razionale si sentirebbe di ostacolare. Con i primi studi scientifici alla mano, Rachel Carson mostrò nel libro ciò che ancora non sapevamo bene fino in fondo: quali fossero gli effetti per gli esseri viventi, uomo compreso, sul medio e lungo periodo, visto che l’esposizione a queste sostanze agisce anche per accumulo progressivo dovuto alla ripetuta esposizione. “Come la piccola goccia che, con il suo continuo stillicidio, scava la roccia, i veleni entrano a contatto con il nostro corpo da quando nasciamo fino all’ora della morte determinando, talvolta, conseguenze funeste. Ciascuna di queste ripetute esposizioni – anche se di modesta entità – contribuisce al progressivo aumento di sostanze chimiche nel nostro corpo e di conseguenza al cosiddetto avvelenamento cumulativo”. A sostegno di questa tesi Carson racconta del declino della popolazione di un animale simbolo dell’America stessa, l’aquila calva (Haliaeetus leucocephalus), minacciata proprio dalle grandi quantità di pesticidi ingerite attraverso la propria dieta.
Capitalismo vs. natura
Le reazioni al libro di Rachel Carson sono immediate e in alcuni casi anche molto violente, ma per comprenderle bisogna contestualizzare storicamente Primavera silenziosa, e per farlo bisogna guardare ancora più indietro.
Nel 1905 il presidente americano Theodor Roosvelt si pose il problema di come gestire la conservazione di Yellowstone, il primo parco nazionale nato nel 1872. A questo scopo creò il Servizio forestale del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, un ente che avrebbe avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella conservazione della natura selvaggia del paese. Il primo direttore fu un politico della Pennsylvania, Gifford Pinchot, che rimase in carica fino al 1910. Pinchot era un progressista e un innovatore nell’ambito della conservazione, al punto che si deve a lui l’ideazione dell’espressione “etica della conservazione”, un’idea che contribuì a forgiare la politica dei parchi e delle riserve americane di inizio Novecento.
I principi che mossero il suo operato, però, appaiono oggi in contrasto con i principi ambientalisti che si sarebbero sviluppati dagli anni Settanta e che sono ancora ben presenti nel pensiero ambientalista contemporaneo. Nella sua autobiografia Pinchot riflette sugli immensi territori del Midwest e del nord degli Stati Uniti e scrive: “devono anche loro diventare parte dell’economia della Nazione”. A dover essere conservata secondo Pinchot, è l’economia e non la natura – commenta Donald Worster nella sua storia dell’ambientalismo (Nature’s Economy. The Roots of Ecology, San Francisco, 1977).
Per questo motivo in quegli anni troviamo pamphlet come “La distruzione del lupo e del coyote”, scritto dal naturalista Vernon Bailey nel 1908, che descrive gli animali selvatici che mettono a repentaglio allevamenti e fattorie come un ostacolo al pieno sviluppo economico. Si delinea uno scontro tra economia capitalistica (Worster parla propriamente di “capitalismo predatorio”) e natura, in cui quest’ultima “non è niente più e niente meno che un sistema economico”.
La nascita di un ethos manageriale americano vede nella scienza e nella tecnologia gli strumenti perfetti per il dominio su qualsiasi sistema complesso, compresa la natura.
Negli anni Sessanta quando esce Primavera silenziosa, il rapporto irrisolto tra natura e capitale è ancora tutto lì e a questo si va aggiungendo un elemento fondamentale: la nascita di un ethos manageriale americano, che vede nella scienza e nella tecnologia gli strumenti perfetti per il dominio su qualsiasi sistema complesso, compresa la natura.
Rachel Carson diventa quindi un bersaglio facile: il suo mettere in discussione la bontà incondizionata della scienza e della tecnologia sono visti come il frutto di un pensiero retrogrado e antiprogressista. Semplificando, se l’american way of life simbolizzata dal mito fondativo del buon fattore ha previsto fino a quel momento il dominio umano sulla natura, smentirlo significa per molti mettere in discussione le stesse basi su cui sono stati costruiti gli Stati Uniti d’America.
La costruzione del nemico, ieri come oggi
Gli attacchi diretti a Rachel Carson girano però attorno al nocciolo fondamentale della sua riflessione senza mai affrontarlo direttamente. A farla da padrone c’è l’argomento emotivo, esemplificato dalla recensione del libro scritta da Frederick J. Stare, nutrizionista della Harvard School of Public Health, e apparsa nel gennaio del 1963: “Fino a oggi grazie all’ampia applicazione di tecnologie straordinarie come l’uso dei prodotti chimici in agricoltura, l’uomo è riuscito a liberare dalla fame, dalla malattia e dell’insicurezza sociopolitica molte parti del mondo”. L’allarmismo della Carson non sarebbe, invece, basato su altrettanti solidi fatti e servirebbe solo a gettare inutile discredito sulla tecnologia e la scienza.
La dose viene rincarata, con argomentazioni simili, fino ai giorni nostri. Nel suo romanzo Stato di paura Michael Crichton fa dire a uno dei suoi personaggi che “proibire l’uso del DDT ha ucciso più esseri umani di Hitler”. Una posizione ripresa anche dal sito RachelWasWrong.org (oggi confluito nel portale safechemicalpolicy.org), in cui si può leggere che “oggi milioni di persone in tutto il mondo subiscono i dolorosi e spesso letali effetti della malaria perché una persona ha lanciato un falso allarme. Quella persona è Rachel Carson”.
Nel 2012, per il cinquantesimo anniversario della prima edizione, Primavera silenziosa è stato nuovamente pubblicato. Nel recensirlo sulle pagine di Nature, Rob Dunn lo ha definito “una luce che continua a risplendere”, un libro che “ha cambiato la normativa americana e internazionale e ha aiutato a dare vita al movimento ambientalista”. Primavera silenziosa ha descritto “il momento in cui l’umanità doveva scegliere tra due strade: una portava all’apocalisse, l’altra verso la ragione”. È la forza che ha portato nel 1970 al primo storico Earth Day e che ha alimentato l’impegno di molti scienziati e comuni cittadini fino ai giorni nostri, quando non sono più il DDT e i pesticidi al centro delle preoccupazioni della società, ma le conseguenze di un altro fenomeno provocato dall’uomo: il surriscaldamento globale.
Primavera silenziosa è la forza che ha portato nel 1970 al primo storico Earth Day e che ha alimentato l’impegno di molti scienziati e comuni cittadini fino ai giorni nostri.
Due settimane dopo la recensione di Dunn, però, la sezione delle lettere di Nature ha ospitato un intervento di Tony Trewavas, docente all’Università di Edimburgo. “Il DDT”, si legge nella lettera sottoscritta anche da altri undici firmatari, “è probabilmente il prodotto chimico di maggior efficacia mai sintetizzato contro la malaria e altre patologie trasmesse dagli insetti”. La stessa accusa di aver ostacolato il progresso sociale mossa dal sito RachelWasWrong, dietro cui c’è il Competitive Enterprise Institute, un’organizzazione pubblica americana no profit che si dedica alla promozione dei principi di scarsa presenza statale, libera impresa e libertà individuale.
L’efficacia del DDT nella lotta alle zanzare responsabili della diffusione della malaria è riconosciuta oggi anche del Global Malaria Programme dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che nella propria posizione ufficiale sull’argomento (aggiornata al 2011) sostiene l’uso, in casi circoscritti, del DDT “per l’applicazione indoor contro le malattie trasportate dagli insetti, soprattutto perché non esiste un’alternativa altrettanto efficace ed efficiente”. Nello stesso documento, però, l’OMS sottolinea che “il DDT è una delle dodici sostanze chimiche identificate come inquinanti organici persistenti che la Convenzione limita”. Il documento a cui fa riferimento è la Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti che nel maggio del 2007 contava 147 paesi aderenti – ancora una contrapposizione tra libero utilizzo in nome del progresso che viene però limitato dalle istituzioni internazionali espressione della volontà degli Stati.
Sul fronte dei pesticidi, altro tema portante di Primavera silenziosa, lo scorso marzo un editoriale della rivista scientifica The Lancet (Eliminare l’uso nocivo dei pesticidi) riportava un dato contenuto in un recente rapporto delle Nazioni Unite sugli effetti negativi dei pesticidi sulla salute: nel mondo ogni anno i casi di auto-avvelenamento per l’esposizione a queste sostanze sono stimati in oltre 200.000. Colpiscono soprattutto contadini e braccianti agricoli: “molto di più può essere fatto a livello statale”, scrive The Lancet, “per rafforzare i deboli regolamenti in vigore sull’uso e la sicurezza di queste sostanze chimiche al fine di proteggere la salute delle popolazioni e degli ambienti che li impiegano”.
Le preoccupazioni di Rachel Carson sono state, almeno in parte, accolte e non vengono più tacciate di antiprogressismo e antiscientificità nel dibattito pubblico. Forse, però, non ci siamo mossi molto dallo stesso punto sul piano del pensiero sottostante, lo scontro tra capitale e natura, sul cui sfondo sono ancora vive le tensioni tra due modi di intendere il rapporto tra uomo e natura, e tra politica e natura, che il libro della Carson ha contribuito a esplicitare e mettere su tavolo del dibattito pubblico, e che oggi possiamo ritrovare anche in altre preoccupazioni ambientali, come quelle legate alle conseguenze dei cambiamenti climatici:
“Ci troviamo oggi a un bivio: ma le due strade che ci si presentano non sono ambedue egualmente agevoli come quelle che Robert Frost ci descrive in una delle sue più note poesie. La via percorsa finora ci sembra facile, in apparenza: si tratta di una bellissima autostrada su cui possiamo procedere a elevata velocità ma che conduce a un disastro. L’altra strada – che raramente decidiamo di imboccare – offre l’ultima e unica possibilità di raggiungere una meta che ci consenta di conservare l’integrità della Terra”.