N ella prima puntata di Downton Abbey, una serie televisiva ambientata nell’Inghilterra dei primi del Novecento, il personale della magione in cui si svolge la vicenda discute una recente innovazione arrivata nelle camere dei signori, la corrente elettrica.
ANNA: Perché non hai acceso le luci?
DAISY: Avevo paura!
GWEN: Beh, è elettricità, non il diavolo. Dovrai abituarti, prima o poi.
ANNA: A Skelton Park l’hanno messa anche in cucina.
DAISY: Per farci cosa?
“Per farci cosa?” è quello che la maggior parte delle persone pensa e dice di fronte a qualcosa che non capisce e che disapprova: la storia delle invenzioni è piena di aneddoti di clamorosi errori fatti da imprenditori di enorme successo incapaci di capire perché qualcuno avrebbe dovuto volere un telefono su ogni scrivania, un computer in ogni casa o fotografie digitali sgranate quando poteva averne di perfette stampate su carta fotografica. Per gli appassionati del genere, Louis Anslow e Jason Feifer curano il podcast Pessimist Archive, dedicato a “sottolineare la tecnofobia, gli allarmismi, il protezionismo e il puritanesimo del passato, perché il miglior antidoto della paura del nuovo è guardare alle paure con cui abbiamo accolto il passato”.
La storia della diffusione della tecnologia ha un andamento regolare, caratterizzato da entusiasmi di nicchia e rifiuti di massa, con pochissime eccezioni per innovazioni talmente desiderate da diffondersi immediatamente, come il telefono cellulare o il Viagra (e, probabilmente, anche il fuoco e la ruota, anche se in Il più grande uomo scimmia del Pleistocene, forse il più bel libro sulla resistenza al cambiamento, il giornalista Roy Lewis ironizza sulla capacità dei nostri antenati di accettare le novità senza problemi).
Gli entusiasmi di nicchia, soprattutto se amplificati dai mass media, spesso fanno pensare che ci sia già stata un’adozione diffusa senza una corrispondenza nella realtà, come sintetizzato dal ciclo dell’hype di Gartner: un’innovazione tecnologica scatena una serie crescente di “aspettative inflazionate” che raggiungono velocemente un picco da cui si precipita nel “trogolo della disillusione”, per poi risalire sul “pendio della comprensione” fino a godersi l’“altopiano della produttività”. È solo in questa fase che si può dire se qualcosa è entrato nelle nostre vite per migliorarle davvero, il che di solito significa che non lo notiamo più.
La storia della diffusione della tecnologia è caratterizzato da entusiasmi di nicchia e rifiuti di massa, con rare eccezioni per innovazioni talmente desiderate da diffondersi immediatamente.
Molto spesso la notiziabilità delle invenzioni le brucia prima che possano diffondersi, per magari riapparire da sole nascoste in altre oppure silenziosamente usate da centinaia di migliaia di persone senza più farsi notare. È il caso per esempio della realtà virtuale, più volte considerata finita prima ancora di iniziare. L’Oculus Rift, il visore per sperimentare video immersivi, è stato acquisito da Facebook che vuole probabilmente farne il perno della sua strategia per diventare la nuova televisione, riaprendo i giochi in un settore considerato una causa persa. La stessa Second Life, per fare un esempio, inizialmente protagonista di un’incredibile attenzione mediatica e poi apparentemente scomparsa, è un mondo ancora abitato e che ha avuto ancora molti partecipanti dopo essere stato dimenticato dai mass media. Per essere più precisi: nessuno sa davvero quanti partecipanti abbia e abbia avuto (a meno di credere ai dati della proprietà), ma quello che è interessante è che la sua scomparsa dalla scena pubblica non significa la sua fine, anzi.
Second Life continua a essere l’ambiente giusto per sperimentare esplorazioni dello spazio e relazioni tra persone che hanno scelto un corpo diverso dal loro senza uno scopo predefinito, a differenza dei mondi di simulazioni di giochi, come per esempio World of Warcraft, che offrono esperienze simili ma con una dinamica di gioco a guidarci. Perché è importante tutto questo? Perché siamo a un passo dall’immergerci in ambienti simulati e Second Life è uno dei pochi spazi per sperimentarlo senza abbandonare (ancora) la guida dei sensi. Ho provato gli Oculus grazie a Meet the Media Guru che ha organizzato la visione di “Clouds over Sidra”, un documentario girato in un campo profughi: la tecnologia è ancora da perfezionare, soprattutto in termini di qualità dell’immagine, ma la sensazione di sentir sparire il mondo intorno a sé, sostituito da una ripresa video, è già potentissima.
Fare attenzione alla correlazione tra tempo e visibilità mediatica nel processo di adozione delle tecnologie aiuta a capire la maggior parte delle reazioni al cambiamento tecnologico, anche se per completare il quadro abbiamo bisogno di un ulteriore elemento, e cioè l’abitudine. Douglas Adams, scrittore e umorista inglese noto soprattutto per la Guida galattica per autostoppisti, descrive ne Il salmone del dubbio (tradotto da Laura Serra nel 2002) il comportamento umano nei confronti delle novità:
- Qualunque cosa esista nel mondo quando nasciamo ci pare normale e usuale e riteniamo che faccia per natura parte del funzionamento dell’universo
- Qualunque cosa sia stata inventata nel ventennio intercorso tra i nostri quindici e i nostri trentacinque anni è nuova ed entusiasmante e rivoluzionaria e forse rappresenta un campo in cui possiamo fare carriera
- Qualunque cosa sia stata inventata dopo che abbiamo compiuto trentacinque anni va contro l’ordine naturale delle cose
Ogni volta che qualcuno proclama di volersi disintossicare dalla tecnologia dovremmo rispondere benissimo, fai pure. Il contatore generale per staccare la corrente sai dov’è? Se sei fortunato puoi comprare il ghiaccio al mercato generale, ma prega di non ammalarti, perché senza antibiotico e senza anestesia potresti passartela male. Nessuno pensa al ghiaccio o alla lavatrice quando si dichiara stanco di tutta questa tecnologia, così come non pensiamo ai voli intercontinentali, alle medicine o alla TAC. Interstellar, il film di fantascienza di Christopher Nolan, è ambientato proprio in una società che ha rinnegato qualsiasi forma di tecnologia, al punto di punire un bambino perché insiste nel sognare i viaggi nello spazio. Cooper, padre del bambino ed ex pilota di astronavi, sentendole definire “macchine inutili” risponde sarcastico “inutili come la risonanza magnetica, che avrebbe salvato la vita a mia moglie”. Pochissimi fuori dei film però pensano alla risonanza magnetica quando si lamentano dell’eccesso di tecnologia nelle nostre vite e quasi tutti, una volta o l’altra, ci lasciamo andare a una dolce nostalgia di quando il mondo era “naturale” e potevamo passare i pomeriggi su un prato a disegnare con la matita su un foglio di carta ascoltando la radio.
Una tecnologia smette di sembrare tale quando viene accettata e adottata da persone che noi consideriamo un valido esempio.
Torniamo a Downton Abbey, precisamente alla seconda puntata della quinta stagione: Lord Grantham, il padrone di casa, secondo in amore della tradizione solo al suo maggiordomo e a sua madre, rifiuta da diverse puntate all’amata nipote il permesso di portare una radio in casa. Ha ceduto al telefono, ma la radio – in inglese wireless – proprio no. Cosa succede nella seconda puntata della quinta stagione? Re Giorgio V usa la radio per trasmettere il discorso inaugurale della British Empire Exhibition a Wembley: è il 1924 ed è il primo sovrano a farlo, aprendo una lunga stagione di uso dei mass media da parte dei potenti. “Se il re vuole usare la radio per parlare al suo popolo forse dovremmo ascoltarlo”, dice Lord Grantham, aggiungendo un altro tassello al processo di adozione delle innovazioni: l’esempio.
Non è solo l’età a fare la differenza, anche se noi continuiamo a preferire l’esempio dei nostri coetanei: una tecnologia smette di sembrare tale quando viene accettata e adottata da persone che noi consideriamo un valido esempio. Magari non un re, non per forza, ma se siamo renitenti al cambiamento ci serve l’esempio di qualcuno di simile a noi o che è per noi un modello di riferimento.
In tutto questo non vi sarà sfuggito che le funzionalità dell’innovazione sembrano giocare un ruolo di secondo o terzo piano: contrariamente a quanto viene ossessivamente ripetuto dai mass media, non è la tecnologia a determinare l’azione umana, ma l’azione umana a dare forma alla tecnologia, anche solo scegliendo di adottarla. Anzi, è un po’ più complicato di così: come diceva già (forse) McLuhan “noi diamo forma ai nostri strumenti e i nostri strumenti danno forma a noi”. È un sistema aperto e incredibilmente complesso, esattamente il contrario di un sistema deterministico: se le tecnologie determinassero il nostro comportamento, la nostra società sarebbe molto diversa, anche se non sappiamo se migliore o peggiore. Avendo accesso immediato e gratuito a un’infinità di informazioni, per esempio, potremmo avere tutti parità di conoscenze, ma chiaramente così non è. In teoria i professionisti dell’informazione possono creare una rete di fonti verificate e affidabili in tutto il mondo e usarla per evitare di dare informazioni sbagliate, ma questa è una semplificazione che richiede un enorme lavoro e non garantisce la veridicità delle notizie. Siamo e restiamo umani: se bastasse un software, anche ben programmato, per farci leggere buoni libri, o diventare gentili con tutti, o premiare il merito, i migliori di noi l’avrebbero già programmato.
Quello che è interessante in questo momento storico è che abbiamo accumulato una quantità di innovazioni così grande da aver scambiato il mondo in cui siamo nati con uno stato di natura e non come il frutto di un’altrettanto incredibile serie di innovazioni (l’orologio, il telegrafo, le auto, le strade, il treno, la televisione, la chirurgia, l’elettricità).
Torniamo sul nostro prato: persone intelligenti sarebbero pronte a giurare sulla naturalità di un comportamento artificiale come disegnare con la matita su un foglio di carta ascoltando la radio. E se accanto a noi un amico leggesse un libro e un altro parlasse al telefono con una persona cara e un altro ancora dipingesse, non sarebbe tutto straordinariamente bucolico? Eppure non possiamo davvero ignorare che tutto in questo quadro, prato compreso, è un’invenzione umana ed è stato, ai suoi tempi, respinto, discusso, chiacchierato e problematizzato.
In questo momento storico abbiamo accumulato una tale quantità di innovazioni da aver scambiato il mondo in cui siamo nati con uno stato di natura.
La matita, per esempio, è stata inventata (pare) nel 1565, quando viene scoperto il primo giacimento di grafite; è stata usata inizialmente per marcare il bestiame e poi in sostituzione delle penne ed è stata prodotta industrialmente nel 1795, da Conté. È naturale, la matita? Magari è naturale la grafite, ma lo è anche il silicio, cioè uno dei minerali che fanno funzionare i microprocessori dentro i nostri computer.
È naturale, il libro? Stracci pressati fino a diventare carta, stampati usando il piombo, legati insieme e venduti in cambio di altri foglietti che, come selvaggi, pensiamo abbiamo valore? È naturale la moneta? E ascoltare in un ricevitore la voce di una persona lontana, lontanissima, è naturale? In Hysteria, il film di Tanya Wexler che racconta l’invenzione del vibratore, o meglio “elettromassaggiatore portatile”, usato per curare le pazienti di un ginecologo procurando loro “parossisimi” curativi, l’inventore protagonista ogni tanto cerca qualcuno con cui testare un altro apparecchio, un telefono, perfettamente inutile se non sai a chi telefonare. Telefona alle poche altre persone che ne hanno installato uno, senza avere niente da dire. Vuole solo usarlo: “Pensi che prenderà piede? Non ne ho idea, ma immagina se tutti ne avessero uno”.
Andando molto indietro nel tempo possiamo arrivare a vedere il linguaggio stesso come una tecnologia, esattamente come possiamo considerare la voce umana uno strumento al pari di un pianoforte o di un violino; sicuramente è una tecnologia la scrittura e, di pari passo, la lettura. Maryanne Wolf scrive in apertura del suo saggio “Proust e il calamaro”: “Non siamo nati per leggere. È passato solo qualche migliaio di anni dall’invenzione della lettura. L’invenzione ha portato con sé una parziale riorganizzazione del nostro cervello, che, a sua volta, ha allargato i confini del nostro modo di pensare mutando l’evoluzione intellettuale della nostra specie. La lettura è una delle invenzioni più straordinarie della storia; la possibilità di documentare i fatti storici è una delle sue conseguenze.”
Forse “per farci cosa?” è una domanda più intelligente di quanto possa sembrare guardando indietro, se la facciamo guardando al presente. La tecnologia è diventata come il cibo, qualcosa da venerare o da temere: invece dovremmo semplicemente usarla, se e quando ci serve.