L e competenze matematiche dei nostri quindicenni sono migliorate negli ultimi quattro anni. Questo sembrano evidenziare i dati del Programme for International Student Assessment (PISA) 2015, l’ultimo studio sulla preparazione degli studenti delle nazioni sviluppate condotto dall’OCSE e diffuso lo scorso dicembre. L’Italia si colloca allo stesso livello di molti paesi industrializzati, anche se lontana dai vertici rappresentati dai paesi asiatici e dell’Europa del Nord.
Storicamente il nostro paese ha vantato e vanta prestigiose punte di eccellenza in campo matematico. Eppure non è raro, in Italia, sentire intellettuali di formazione umanistica o personaggi famosi affermare quasi con vanto di non saper nulla della materia. Qual è allora la situazione? Come sta la matematica in Italia? Lo abbiamo chiesto agli addetti ai lavori, che hanno espresso opinioni articolate, in qualche caso polemiche, di chi pratica e vive la matematica nella scuola, nell’università e nella ricerca.
Esiste in Italia un pregiudizio verso la matematica, una sorta di “diffidenza storica” di origine culturale che contribuisce tuttora alle difficoltà della penetrazione della cultura matematica nella società?
“Sì, nonostante ci siano miglioramenti, rimane diffusa l’idea che la matematica è molto utile, ma che è meglio che se ne occupino gli altri”, secondo Roberto Lucchetti, professore di Analisi al Politecnico di Milano, dove attualmente è il presidente del corso di studi di Ingegneria Matematica. “A me sembra comunque di osservare che il rispetto nei riguardi dei matematici sia aumentato parecchio. Anche se il matematico continua a essere visto come un personaggio molto singolare”.
L’arretratezza tecnologica della nostra industria e la frammentazione del tessuto industriale italiano sono fattori chiave, molto più di qualsiasi diffidenza ideologica, secondo Roberto Natalini, direttore dell’Istituto per le Applicazioni del Calcolo “M. Picone”, direttore della storica rivista di divulgazione Archimede e coordinatore del sito MaddMaths!. “Il tessuto produttivo non ha mai avuto la massa critica per porsi il problema di formare una classe di scienziati al passo con i bisogni dell’economia. Viviamo in un tessuto parassitario rispetto alla crescita scientifica, in cui i risultati della scienza sono di solito utilizzati di seconda mano, comprando tecnologia sviluppata altrove. Gli Stati Uniti e i paesi più avanzati hanno sviluppato la loro forte richiesta di scienza sui loro successi militari e industriali. In Italia, invece, l’industria e la pubblica amministrazione sono sempre stati arretrati e poco interessati all’interazione con la ricerca. Ci sono state eccezioni, ovviamente: Volterra, Olivetti, Natta, sono figure in controtendenza. Ma non hanno inciso più di tanto”.
Secondo Giampiero Negri, redattore della rivista Euclide, bisogna considerare il carattere peculiare di “scienza teoretica” che la matematica ha assunto nella storia del nostro paese: “Nei paesi anglosassoni la valorizzazione delle applicazioni tecniche e del calcolo numerico hanno determinato una fitta connessione tra la crescita di un sapere matematico trasformatore della società e la sua applicazione come strumento per i meccanici, ossia gli ingegneri. In Italia, invece, la speculazione ha, generalmente, prevalso nel contesto accademico, determinando un gap sempre più considerevole tra la cultura matematica e le sue applicazioni tecnico-pratiche”.
Per Ciro Ciliberto, presidente dell’Unione Matematica Italiana, “quando si parla di ‘cultura’ in Italia non si pensa alla matematica, né alle scienze in generale. In altri termini, la cultura in Italia non è scientifica. In aggiunta, per scienza si pensa sempre e solo a quella, spettacolare, facilmente divulgabile, di certe trasmissioni televisive che abbondano di buchi neri, onde gravitazionali e neutrini, ma in cui di matematica non si parla mai, senza notare che questi oggetti e concetti sono ben descrivibili solo in termini matematici. E ai matematici di professione difficilmente si dà accesso nei media. A ciò si somma un più recente atteggiamento, molto diffuso tra i politici e da chi detiene il potere economico, di esclusivo apprezzamento per discipline di tipo utilitaristico immediato, che, a fronte di investimenti che comunque nel nostro paese sono esigui, danno risultati economici a breve termine. Una cosa che difficilmente fa la ricerca scientifica teorica, che spesso richiede decenni, talvolta secoli, per dare frutti tangibili. Altro difetto, legato al precedente, è quello di dare una marcata preferenza alla tecnologia rispetto alla scienza, senza tener conto che non esiste buona tecnologia senza scienza teorica di alto livello”.
Che cosa fa e che cosa può fare la scuola per la diffusione delle competenze matematiche?
Giovanni Salmeri, responsabile tecnico della rivista Euclide – giornale di matematica per i giovani, vede due tendenze recenti che militano contro la considerazione della matematica nella scuola e nell’Università. “La prima è l’avversione, evidente nella politica scolastica ma che un poco alla volta si sta infiltrando anche nell’Università, verso ciò che è rigoroso e difficile. L’idea del successo formativo garantito, che pur potrebbe avere un senso accettabile, diventa così la scusa per abbassare il livello finché sia considerato sufficiente quello raggiunto da qualsiasi studente con qualsiasi, anche inesistente, impegno. La matematica è rigorosa e impegnativa, e in questo modo viene uccisa. La seconda tendenza è quella che sottovaluta tutto ciò che non serve immediatamente, considerando ovviamente come punto di riferimento il mondo del lavoro. Evidentemente le scienze pure ne fanno le spese, e la matematica per prima”.
Lorenzo Meneghini, della redazione di Euclide, aggiunge che le difficoltà rimosse da un’applicazione distorta della normativa si ripresentano amplificate nella vita reale, quando si cerca un lavoro. Sembra che la scuola non possa più fare la selezione che faceva nel passato e questo ha causato un progressivo impoverimento del livello medio dell’istruzione italiana. “Gli insegnanti italiani, negli ultimi vent’anni, hanno perso molta considerazione sociale. Bisognerebbe restituire agli insegnanti la possibilità di “pretendere” che i propri studenti studino e siano ben preparati. La matematica richiede molta fatica da parte di studenti e docenti, fatica che oggi si cerca di evitare”.
“Il fattore sociale e familiare (ed economico) è fondamentale per capire l’efficacia dell’insegnamento”, secondo Roberto Natalini. “Non c’è paragone, in termini di opportunità, tra chi proviene da una famiglia già istruita e chi no. Ovviamente, la preparazione degli insegnanti può avere un ruolo. Gli insegnanti della scuola primaria sono in media meglio preparati di quelli della secondaria di primo grado, e questo soprattutto per la matematica. Innalzare il livello di questi ultimi, sia chiedendo requisiti maggiori per poter insegnare matematica, sia cercando di attirare qualche insegnante bravo, sarebbe cruciale per avvicinare maggiormente i ragazzi alla matematica. Per quanto riguarda la secondaria superiore, oltre a liberare i docenti dal peso di un esame di stato troppo difficile (sic!), andrebbe migliorato il supporto formativo agli insegnanti. Dovrebbe essere il MIUR a gestire una vera e propria formazione permanente del docente. Per quanto riguarda le indicazioni, trovo solo che siano un po’ troppo vaste e irrealistiche. Credo che un buon docente dovrebbe puntare a fornire alcuni contenuti di base molto solidi e un po’ di curiosità sulla materia, ma non molto di più”.
Secondo Ciliberto, “la scuola ha le sue responsabilità ed è anche vero che ci sono grandi differenze di rendimento tra primaria e secondaria dei due gradi. A fronte di tanti docenti molto preparati e motivati, ci sono anche docenti insoddisfatti dal punto di vista economico e/o organizzativo. In alcune realtà problematiche, la disciplina degli allievi non viene curata a sufficienza e dunque risulta difficile insegnare. La formazione iniziale (soddisfacente solo a livello di primaria, per la quale c’è una laurea dedicata) è assai inadeguata: non esistono, anche se previste dalla legge, lauree dedicate alla formazione di docenti della secondaria. La formazione in servizio presenta nel nostro paese ritardi e lacune che vengono colmati solo parzialmente da privati, sulla cui competenza ci sarebbe da indagare e discutere. È invece questo un territorio assai importante da battere: la matematica, contrariamente a quel che molti pensano, non è ferma alle conquiste degli antichi, ma in continua, poderosa espansione. È necessario che i docenti abbiano la percezione di questo sviluppo per poter dare ai loro allievi la misura di quanto questa sia una scienza vitale, che incide sulle nostre vite quotidiane come mai prima di oggi”.
Qual è la situazione della matematica nelle Università, non solamente nei Corsi di Laurea in Matematica, ma in tutti gli indirizzi in cui essa ha un ruolo importante nel curriculum?
“I test d’ingresso obbligatori, che avrebbero dovuto attribuire dei debiti formativi, dovevano essere seguiti da corsi di recupero. Ebbene, con rarissime eccezioni, questo non è stato fatto”, racconta Vincenzo Nesi, Preside della Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali a “La Sapienza” di Roma. “Quando è accaduto, sia pure tardivamente, come nel caso della Sapienza, si sono visti dei frutti positivi. Il primo frutto è combattere l’ipocrisia. Se circa il 40% delle studentesse e degli studenti che si vuole iscrivere in una materia scientifica ha il debito su contenuti che spesso risalgono ai primissimi anni delle superiori, che senso ha continuare ad insegnare al primo anno dell’università presupponendo un livello di entrata molto maggiore? E, ancora di più, che senso hanno libri di testo per le superiori dove si tratta il calcolo, le derivate, gli integrali e tanto altro ancora, se poi la somma di frazioni crea difficoltà? L’Università si è adagiata colpevolmente sull’idea che non fosse un problema proprio”.
Ciliberto sostiene che la matematica italiana, sia quella teorica che applicata e industriale, ha un ruolo di grande rilievo nella comunità matematica mondiale. “Siamo nel gruppo di testa delle nazioni matematicamente più avanzate. I matematici italiani sono costantemente invitati a parlare in prestigiosi convegni internazionali e sono pubblicati sulle riviste di maggiore impatto. La fuga dei cervelli, pur nella sua drammaticità, testimonia che i nostri giovani laureati in matematica sono tanto ben preparati da trovare posto nelle migliori istituzioni scientifiche e di ricerca straniera. Quindi non esiterei a definire i corsi di laurea in matematica in generale un’eccellenza nazionale. Purtroppo è vero che la matematica ha invece subito un arretramento di ore ad essa dedicate in altri corsi di laurea, tipicamente in quelli in ingegneria, dove viene ingiustificatamente compressa”.
Natalini, sulla base della sua esperienza, afferma che l’Italia ha un’ottima scuola, collegata ai filoni di punta della ricerca mondiale. “Le problematiche principali sono tre: a) mancanza di reclutamento e di promozione, che porta molti validi ricercatori ad andare (con successo) all’estero. Ciò alla lunga rischia di indebolire la ricerca italiana – sia perché risulta meno attrattiva per studenti mediamente motivati, sia per la mancanza di massa critica in certi settori. Siamo anche poco attrattivi per studenti e ricercatori stranieri. b) La matematica non è menzionata nei Piani Nazionali della ricerca, e, a differenza degli altri paesi, il supporto nazionale non compensa la mancanza di riferimenti espliciti alla matematica in Horizon 2020 [la rete europea per la ricerca e l’innovazione]. Questo rende difficile il finanziamento della ricerca di base. c) Per la matematica applicata, la carente sensibilità delle industrie porta ad uno scarso sviluppo delle ricerche direttamente connesse alle applicazioni e a una visione spesso settoriale e accademica”.
Per concludere, parlando in generale, le competenze matematiche specialistiche sono apprezzate dalle imprese italiane? Ci sono opportunità lavorative per chi le possiede?
Lucchetti esprime “l’impressione molto forte che chi ha una solida preparazione matematica non abbia grandi difficoltà a trovare lavoro, da qualunque laurea arrivi. Esperienza illuminante è quella dei laureati in Ingegneria Matematica, che probabilmente, anche perché si collocano geograficamente in un’area privilegiata, trovano lavoro con estrema facilità. Anzi, un numero significativo di loro lavora già durante lo svolgimento della tesi”.
Per Natalini, “In realtà, quando alla fine si riesce ad entrare in contatto con delle industrie, e si è preparati a farlo, si scopre che c’è tanto bisogno di matematica e anche una scarsa conoscenza delle sue potenzialità. Questo non influenza tanto il reclutamento dei nostri laureati magistrali (il tasso di occupazione a 5 anni è del 95%, e quel 5% è principalmente è prevalentemente composto da persone che vorrebbero ancora provare a fare ricerca), ma potrebbe espandere il bacino degli studenti interessati. Una solida conoscenza dell’ottimizzazione vincolata, della gestione dei dati avanzata, della modellistica, sono apprezzate dalle aziende, che però in media non pensano di potersi permettere di investire in ricerca. Insomma, le competenze ci sono già, sono di interesse, ma manca la comprensione delle loro potenzialità nelle aziende e anche manca, nel laureato medio, la capacità di comunicare efficacemente”.
Secondo Ciliberto, le qualità dei migliori laureati in matematica sono apprezzate non solo nel comparto scuola (dove sono indispensabili) ma anche in attività più specificamente produttive: “I matematici sono ben preparati, flessibili, capaci di risolvere problemi anche apparentemente lontani dalle loro specifiche competenze, grazie alla capacità di razionalizzare e opportunamente modellizzare le situazioni loro proposte. Da una recente indagine effettuata in Gran Bretagna, è emerso che ben il 16% del PIL di quel paese è da attribuirsi in forma diretta o indiretta all’apporto scientifico e lavorativo dei matematici. In Italia non abbiamo dati simili, ma mi azzardo a ritenere che, pur in una situazione industriale probabilmente meno florida e intraprendente di quella d’oltre Manica, i dati sarebbero paragonabili. Questo dovrebbe spingere politici e detentori del potere economico ad investire di più e meglio nella matematica”.
Nesi, un po’ provocatoriamente, chiosa che “paradossalmente l’Italia crea ottimi talenti che regala alle nazioni concorrenti semplicemente perché sono troppo bravi per le condizioni di lavoro offerte in Italia”.