S e si pensa ai nomi dei romanzieri inglesi e americani vissuti a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento e che sono entrati nell’immaginario collettivo, si pensa a Thomas Hardy, Edith Wharton, Henry James, D.H. Lawrence, Virginia Woolf. George Gissing è un nome che ricorre meno, e per questo Le donne di troppo (pubblicato nel 1893 e tradotto ora da Vincenzo Latronico per Baldini&Castoldi) è stato una piacevole sorpresa. Se Wharton e James raccontano alle vicende della classe medio-alta e Hardy a quelle del proletariato inglese, in Le donne di troppo Gissing punta lo sguardo sullo strato medio-basso della società, quello in cui le donne si aspettavano ancora di non lavorare per mantenersi, e la “rendita” era l’equivalente dello stipendio. Una classe che cerca disperatamente di mantenere il decoro, e che nel caso delle donne si scontra con un enorme divario in materia di diritti, istruzione e possibilità di affermarsi tramite l’indipendenza economica.
Il binomio “fine Ottocento” e “donne” in Inghilterra fa pensare automaticamente al movimento per il suffragio universale, ed è interessante come in una storia affidata quasi per intero alle figure femminili, in cui gli uomini compaiono come antagonisti o figure patetiche incapaci di affrontare il mondo o i propri sentimenti, non se ne faccia mai menzione. A Gissing, e ai suoi personaggi, la possibilità di essere cittadine interessa molto meno che la possibilità di affermarsi come esseri umani al di fuori dell’istituto del matrimonio: veicolo di questa posizione ideologica è la straordinaria, spigolosa Rhoda Nunn, eroina dai connotati decisamente moderni.
Rhoda – verrebbe da chiamarla “signorina Nunn” anche parlandone in una recensione, tale è il suo carisma e la capacità di suscitare timore e rispetto – è una donna non giovanissima, non bella, che ha scelto di non sposarsi e di lavorare per mantenersi e aiutare altre donne a farlo. È lei la bussola morale della storia, ed è lei a spiegare cosa sono le “donne di troppo”, le odd women, descrizione che in inglese gioca fra il doppio significato di odd, che è sia “spaiato” che “strano”:
I pessimisti le chiamano inutili, perse, vite sprecate. Io, ovviamente – dato che sono una di loro – la vedo in modo diverso. Io ci vedo una grande scorta di energia.
Fra le ragazze a cui Rhoda Nunn e la sua amica e mentore Mary Barfoot insegnano la dattilografia, in modo da renderle impiegabili come segretarie, c’è anche Monica Madden, graziosa ultimogenita di un medico morto in giovane età lasciando sei figlie, delle quali solo tre sono ancora vive al momento in cui inizia la vicenda. Le altre due, Virginia e Alice, sono ex istitutrici che faticano a trovare un impiego, e vivono presso un’affittacamere risparmiando sui pasti per farsi bastare la loro scarsa rendita. Monica vuole di meglio, per sé, ma il suo tentativo di rendersi autonoma si scontra con la vulnerabilità dell’essere donna nella sua epoca: a una vita di lavoro, Monica preferisce la sicurezza di un matrimonio con un uomo che non ama. Dal canto suo, Rhoda Nunn deve fare i conti con sentimenti che non ha cercato e che minacciano di mettere in crisi i suoi valori e la sua identità.
Il denaro, la mancanza di denaro, la difficoltà di procurarselo in maniera onesta, la tentazione di “sistemarsi”, l’impossibilità di reprimere i desideri del cuore e della carne, la nascita di una nuova coscienza nelle donne che le porta a ribellarsi al vecchio sentire che chiede loro di sottomettersi alla guida di un uomo fino ad annullarsi: dentro Le donne di troppo c’è tutto questo e molto altro. Il dato interessante – e di questo bisogna rendere merito alla traduzione di Latronico – è la grande modernità della narrazione, che pur nel suo incedere lento e tipicamente ottocentesco, da libro fatto per essere letto e non consumato, parla al lettore in una lingua diretta, con la voce di personaggi memorabili, e non concede nulla alla soddisfazione emotiva.