I n Italia chiunque si occupi di matematica lo conosce. Vincitore della medaglia Fields nel 2010, è il matematico che più ha saputo risvegliare la curiosità per la propria categoria negli ultimi anni. In Francia Cédric Villani è un vero e proprio personaggio pubblico: appare in tv, scrive sui giornali. A un matematico non accade spesso, e nel suo caso alla notorietà ha certamente contribuito la riconoscibilità del suo look, dato che va in giro in un completo da fine Ottocento, immancabilmente impreziosito da qualche spilla a forma di ragno di cui si è sempre rifiutato di spiegare il significato.
Quando ci siamo incontrati ha aperto due grosse scatole e mi ha mostrato la sua collezione di ragni gioiello, per poi sceglierne uno sul verde, intonato ai miei vestiti. “Capita che ci siano colleghi un po’ infastiditi, a volte, dal mio apparire”, ammette Villani: “pensano che io esageri. Ma io credo, anzi sono certo, che oggi sia giusto – oltre che utile – avere un’impronta mediatica. Per esempio alcuni mesi fa con dei colleghi abbiamo protestato pubblicamente, e con decisione, quando il governo francese ha deciso di tagliare i fondi per la ricerca. Si parlava di una cifra significativa – qualcosa come 200 milioni di euro decurtati in un colpo solo. In quell’occasione siamo stati ricevuti dal Presidente della Repubblica e abbiamo recuperato fino all’ultimo euro: ci siamo riusciti perché avevamo visibilità mediatica. Oggi, per portare un progetto a buon fine, la visibilità bisogna averla. Questo vale per tutti i campi della scienza.” Erano anni che volevo intervistare Cédric Villani, e finalmente eccolo davanti a me, che mi parla del manifesto programmatico dietro il suo primo libro divulgativo, Il teorema vivente.
“Prima di scrivere quest’opera avevo stabilito dei punti fermi, molto netti. Il primo era far sentire il mestiere, senza necessariamente farlo comprendere. E poi volevo mostrare le cose così come sono, senza trucchi”. In effetti definirlo un libro “divulgativo” è improprio. “È un po’ il contrario, o forse è una scelta complementare rispetto al solito”, racconta Villani. “Generalmente noi matematici spieghiamo una versione semplificata del nostro lavoro. Qui invece non ho usato trucchetti, non volevo far capire niente: volevo far sentire. Perciò ci sono le paginate di equazioni, ci sono le formule, ci sono le parole difficili: l’idea era creare un quadro impressionista che facesse immergere il lettore nell’atmosfera che la comunità matematica vive.”
Cédric Villani, matematico vincitore della medaglia Fields, parla del manifesto programmatico dietro il suo primo libro divulgativo: far sentire il mestiere e mostrare le cose così come sono, senza trucchi.
Dire che Villani abbia scelto una via facile per la notorietà è in realtà un po’ paradossale, dato che contemporaneamente ha percorso la strada più difficile: diventare famoso dimostrando teoremi. Gli chiedo qual è, secondo lui, il problema aperto più importante in questo momento. “Difficile nominarne uno che sia più importante degli altri. Ci sono però aree della matematica sulle quali oggi si scommette di più, in cui c’è più tensione, più attesa. Ne fanno parte certamente due: il sodalizio tra biologia e matematica, e tutto quel che concerne l’intelligenza artificiale.” Qui mi sfugge un commento: quindi lei non è un fanatico della matematica pura! Villani ridacchia della mia ingenuità. “Il problema è che non è facile dire che cosa sia matematica pura e che cosa sia matematica applicata. L’intelligenza artificiale è un problema di matematica pura, anche se non ancora ben formalizzato. Quando ci si chiede quali sono i problemi importanti, questo dipende anche da che cosa chiamiamo importante”, sottolinea nella più perfetta coerenza matematica, “ma l’intelligenza artificiale è un mix di fondamenti e applicazioni, di temi che riguardano la società, la sanità pubblica, l’economia, e anche molta curiosità. Ormai sappiamo così tanto di fisica, cioè del modo in cui è fatto il mondo, che ci viene voglia di sapere qualcosa in più su noi stessi. E quando pensiamo a noi stessi, pensiamo alla biologia e all’intelligenza.”
Che Villani non snobbi, come fanno molti suoi colleghi illustri, la matematica applicata, lo dimostra un’altra delle sue molte imprese di mediatore tra ricerca e società: il progetto di aprire un museo della matematica all’Institut Henri Poincaré, il centro di ricerca che dirige a Parigi. Lì infatti i visitatori potranno assistere all’incontro tra matematica e altre discipline: matematica e fisica, matematica e biologia, matematica e medicina, tra ricostruzioni storiche, laboratori e installazioni di realtà aumentata. In barba alla matematica pura.
E poi Villani sogna un museo all’interno di un istituto dove già si faccia ricerca. Lasciar intuire la vita quotidiana del matematico, far intravedere gli ingredienti della sua giornata, mostrarne gli aspetti banali e quelli eccezionali. Esporre il pubblico alla scienza dei numeri, come se ognuno di noi avesse un cugino matematico, senza la pretesa di indottrinare nessuno. È un modo di raccontarsi implicito, eppure reale, più efficace di tante spiegazioni, se l’obiettivo è reintegrare la figura del matematico tra gli altri possibili profili culturali. La stessa strategia che ricorre in Les coulisses de la création, non ancora tradotto in italiano: un dialogo tra Villani e il musicista Karol Beffa, in cui il lettore non fa che spiare una conversazione tra i due autori, vecchi amici le cui professioni condividono un aspetto maieutico. Assiste così al racconto di atmosfere, consuetudini, modus vivendi; e, quasi senza accorgersene, coglie l’essenza dei loro mestieri.
È proprio questo lo spirito di Il teorema vivente, in cui pagine “normali” si alternano a pagine che il lettore non è chiamato a leggere, ma a guardare come si guarda un paesaggio: pagine piene di formule. Le vere formule che il protagonista si è trovato a maneggiare e che sette anni fa gli hanno aperto le porte dell’olimpo dei matematici, quando ha ricevuto la Medaglia Fields. La chiamano tutti “il Nobel per la matematica”, che come definizione, dice Villani, non è male, però trascura due differenze importanti: una è che per ricevere la medaglia Fields c’è un limite d’età a 40 anni, e l’altra è che ad assegnarla non è un’accademia, ma una comunità di matematici. È il più alto riconoscimento che un matematico possa desiderare, insieme forse al premio Abel.
Ci sono aree della matematica sulle quali oggi si scommette di più: il sodalizio tra biologia e matematica e tutto quel che concerne l’intelligenza artificiale.
Chissà se, giunto a queste altezze, Villani si sarà mai trovato a pensare: e adesso? Come faccio ad andare oltre? La sua risposta è il momento che più mi sorprende del nostro incontro. Sembra improvvisamente gravato da un peso enorme. Le sue spalle si curvano in avanti, tace per un momento, e poi riprende con la voce di un uomo sfinito. “C’est dur repondre a cette question”, sono le sue prime, lente parole. “Perché credo di non aver mai lavorato tanto come dopo la medaglia Fields. Le aspettative di tutti erano tali… a quel punto bisognava parlare di scienze, ma anche imparare il resto, almeno informarsi sui grandi dibattiti scientifici globali. L’energia, il clima, la cooperazione tra diverse discipline, tutto, tutto, tutto… è stato un compito enorme”.
Rimpiange quindi la sua vita di prima? “Era più facile, in un certo senso. Ma bisogna prendere coscienza di una cosa: è sì importante essere scienziati, ma il mondo ha bisogno di scienziati che partecipino attivamente alla realtà. Il mondo è in pericolo”, continua preoccupato “basta guardare i risultati della politica globale, la crisi mondiale, la crisi climatica, la guerra ovunque. C’è la politica francese, la politica inglese, la politica italiana”, le elenca tutte come se fosse direttamente chiamato a tenere in armonia ognuno di questi paesi, “la politica polacca, la politica ungherese, la politica coreana, ovviamente la politica americana. La situazione è allarmante: bisogna prendere atto che gli scienziati hanno anche loro dei doveri. Hanno un ruolo da giocare, che richiede di essere al corrente delle grandi questioni scientifiche globali della società, e capire come, attraverso il dialogo e la discussione, attaccare questi problemi.”
Prima di salutarci abbiamo ancora qualche minuto. Villani può concedersi un momento di pausa al bar, e la prospettiva di un tè sembra sollevarlo dalle sue molte responsabilità – una parola che ha pronunciato varie volte nel corso della nostra conversazione. Alla fine opta per un bel pezzo di pizza col salame e un cappuccino. Tra un boccone e l’altro mi rivela la sua passione per Gianna Nannini, e mi regala un consiglio musicale scribacchiato su un tovagliolo di carta: “Kate Tempest, Let them eat chaos”. Molto appropriato per uno che studia la matematica dell’entropia, cioè il disordine fisico.
Villani è a Roma per partecipare a un convegno all’Accademia Pontificia delle Scienze, e appena ieri discuteva con altri eminenti studiosi di sviluppo sostenibile. “Sul tavolo c’erano molte questioni, dalla crisi energetica alla crisi ambientale, e il Papa ha fatto un intervento per spiegare quant’è importante rimettersi al parere degli scienziati e ascoltarli, in un mondo in cui gli interessi politici ed economici sono troppo spesso dominati da obiettivi a breve termine. E io penso che, sì: il nostro ruolo sia quello di lavorare per poter consigliare i governi.” Poco dopo riparte per partecipare alla sessione pomeridiana del convegno. “Ah, dovreste intervistarlo, questo Papa”, suggerisce allegramente, salutandomi con la mano.