I l candidato socialista alle presidenziali francesi del 23 aprile, Benoît Hamon, viene spesso paragonato a Jeremy Corbyn e Bernie Sanders. Le somiglianze vanno dai probabili magri esiti in termini elettorali alla capacità di attrarre giovani con un messaggio ritenuto fino a pochi anni fa troppo radicale fa per un centro-sinistra a vocazione maggioritaria. Uno sguardo al cursus honorum e ai riferimenti politici di Hamon suggerisce infatti che la sua nomination alle presidenziali abbia rotto dei tabù inviolabili del centro-sinistra francese. Probabilmente per sempre.
Se la vittoria di Corbyn alle primarie inglesi era stata una sorpresa per gli addetti ai lavori, quella di Hamon era ancora più inattesa. A differenza della Gran Bretagna, in Francia lo spazio politico a sinistra è particolarmente affollato. Le rivendicazioni più radicali, specie nella sfera dell’ecologia e della protezione dei lavoratori, sono solitamente patrimonio dei verdi e dell’estrema sinistra di Jean-Luc Mélenchon. Ma Hamon è riuscito a imporsi proprio su una piattaforma di “sinistra totale”: reddito universale, tassazione dei robot, settimana lavorativa a trentadue ore e legalizzazione della cannabis. Anche le sue posizioni riguardo il futuro dell’Unione Europea spiccano per radicalità. Il candidato socialista propone la socializzazione del debito dei paesi UE e l’istituzione di un esercito comune, nell’ottica di un graduale affrancamento dalla NATO.
Classe ’91, Barzin Bonyadi è vice-sindaco a Charbourg, città della Normandia dove il primo cittadino fino al 2012 era l’attuale premier Bernard Cazeneuve. Attivista del movimento giovanile socialista dal 2007, Barzin spiega come il successo di Benoît Hamon tra i giovani venga da lontano: “Per noi attivisti della prima ora, Hamon è sempre stato un modello. Quando venne eletto segretario del movimento giovanile al congresso di Avignone nel 1993, subito negoziò l’autonomia della sezione giovanile dal partito senior. Da quel momento i giovani socialisti iniziarono a operare come un attore autonomo, spesso trattando alla pari con i rappresentanti eletti e criticandone apertamente le scelte.” Per un’ironia della storia, a chiamare Hamon alla guida del movimento giovanile, lanciandolo sulla scena politica nazionale, fu l’allora segretario nazionale alla comunicazione del partito socialista, l’ex primo ministro Manuel Valls battuto da Hamon alle primarie di gennaio.
Hamon è riuscito a imporsi su una piattaforma di ‘sinistra totale’: reddito universale, tassazione dei robot, settimana lavorativa a trentadue ore e legalizzazione della cannabis.
Bonyadi sottolinea anche come, nonostante il basso consenso verso l’attuale esecutivo socialista di François Hollande, sui cinque candidati in corsa tre siano ex ministri socialisti (Mélenchon ricoprì per due anni la carica di ministro della Formazione Professionale nel governo Jospin). “In base agli ultimi sondaggi – continua Bonyadi – Hamon, Macron e Mélenchon raccolgono insieme i voti di circa la metà dell’elettorato. Negli aspetti socio-culturali le loro posizioni hanno molte convergenze. Nessuno di loro, per esempio, accusa la comunità islamica in toto per gli atti terroristici compiuti da singoli, di cui danno una spiegazione sociologica, non culturalista.”
Pur considerando le ampie differenze tra i tre ex-ministri, specialmente in ambito economico, ciò significa che le posizioni del Front National sono lontane dall’essere egemoniche nella società francese. Le ricette di Marine Le Pen convincono meno di un terzo dell’elettorato. Un dato fondamentale per capire perché, pur essendo stimato al 97% l’approdo del Front National al secondo turno, la sua vittoria è decisamente improbabile. Chiunque sia lo sfidante, i voti degli altri tre candidati convergerebbero su di lui, riproducendo il cordon sanitaire già visto alle scorse regionali: tutti contro il Front National. Non è un caso che in uno degli ultimi video promozionali una Marine Le Pen in versione Giovanna d’Arco sia andata all’attacco, definendo la votazione di aprile come “una scelta di cultura”. Una scelta non meramente politica, bensì lo scontro tra due universi valoriali, due “culture” appunto, inconciliabili.
Le proteste dell’anno scorso contro la loi travail, il cosiddetto movimento Nuit Debout, dal marcato carattere gauchista, confermano come nella società francese istanze radicali di segno opposto stiano acquisendo sempre più popolarità. Nella logica dei posizionamenti da campagna elettorale, l’elezione di Hamon ha accelerato questa polarizzazione. Addirittura Emmanuel Macron, considerato il candidato più moderato tra i cinque in lizza (e quello della gauche caviar secondo i più maligni), si è lasciato andare ad affermazioni spregiudicate, poi goffamente ridimensionate. In una visita ufficiale in Algeria, Macron, che contende all’ex compagno di partito una buona fetta dell’elettorato, ha definito il colonialismo francese un “crimine contro l’umanità”, usando toni particolarmente veementi. “C’è un detto che mi pare adatto,” ha affermato Macron, “la Francia portò qui i diritti umani, ma si dimenticò di rispettarli.” In un paese che non ha mai ufficialmente chiesto scusa per i 132 anni di dominazione coloniale, un’affermazione del genere non poteva che suscitare gli strali del segmento conservatore della popolazione, Front National in testa.
A fomentare questa divisione crescente contribuiscono anche vicende extra-politiche. In un copione già visto con Donald Trump, sia Francois Fillon che Marine Le Pen sono in guerra aperta con stampa e magistratura, entrambi accusati di condurre una caccia alle streghe contro di loro per ostacolarne la marcia verso l’Élysée. Il Penelopegate che ha travolto Fillon, assieme ad altri scandali pubblicati soprattutto dallo storico settimanale satirico Le Canard enchaîné, aveva fatto ventilare l’ipotesi di un ritiro della sua candidatura. Le Pen, il cui nome era già spuntato nella pubblicazione dei Panama Papers dell’anno scorso, è ora alle prese con le accuse di aver utilizzato fondi UE in maniera illecita. Avrebbe retribuito i suoi assistenti parlamentari più del dovuto, mentre questi svolgevano in realtà altre mansioni. Tuttavia, per entrambi i candidati della parte destra dell’agone politico la querelle giudiziaria non pare avere ricadute negative sul consenso elettorale.
In Francia stanno acquisendo sempre più popolarità istanze radicali: nella logica dei posizionamenti da campagna elettorale, l’elezione di Hamon ha accelerato questa polarizzazione.
Tratteggiato il quadro politico, si può meglio comprendere la rottura portata da Benoît Hamon. Le sue proposte più radical hanno un padre nobile, finora mai troppo citato dalle parti di Rue de Solférino. Già nella campagna per le primarie, alcuni osservatori avevano notato connessioni tra le proposte di Hamon ed il pensiero di André Gorz, nato Gerhart Hirsch in Austria nel 1923 e in seguito naturalizzato francese. Gorz, oltre a essere considerato tra i primi studiosi ad aver scritto di capitalismo cognitivo, è ricordato come il principale animatore dell’ecologia politica. Un’etica della liberazione sviluppata a partire dai primi anni Sessanta in vari saggi e interventi su riviste della gauche francese (Les Temps Modernes, Le Nouvel Observateur e, dal 1973, Le Sauvage). Uno dei punti cardine era la riduzione della settimana lavorativa, accompagnata all’introduzione del reddito di cittadinanza, proprio due dei cavalli di battaglia di Hamon. Benché non si riferisse direttamente alle istituzioni europee, l’ecologia politica di Gorz rifiutava qualsiasi approccio tecnico, nel senso di una pretesa di apoliticità o di neutralità. Lo definiva pétainismo verde, un approccio tecnocratico non focalizzato sul benessere dell’individuo.
La società utopica preconizzata da Gorz prevedeva la riduzione dell’importanza del lavoro per il soggetto: “la carenza di posti di lavoro non è una maledizione, ma la forma perversa di una benedizione potenziale”. Secondo il filosofo, la scomparsa di posti di lavoro, traducendosi nell’impossibilità oggettiva di perseguire il pieno impiego per tutta la popolazione occupabile, avrebbe significato una quantità senza precedenti di tempo libero potenzialmente a disposizione. Sarebbero saliti alla ribalta valori sociali extra-economici come cooperazione, relazione, condivisione del tempo e sostituzione di servizi a pagamento (cura di anziani e bambini) con attività di mutuo aiuto. Quando nel programma di Hamon si leggono frasi come “dobbiamo pensare al ruolo che vogliamo dare al lavoro nella nostra vita”, “non possiamo più accettare che migliaia di francesi siano costretti a sacrificare sanità mentale e fisica per dei lavori precari e massacranti” o “investiremo il tempo sottratto al lavoro nello studio, nell’educazione dei bambini, nella cura dei parenti,” sembra davvero di leggere il Gorz di Écologie et liberté. Se il filosofo si distaccò presto da sindacati e sinistra francesi (Adieux au Prolétariat è del 1980), venendo gradualmente marginalizzato dalla nomenklatura socialista, con Hamon è la prima volta che rivendicazioni così strutturali vengono fatte proprie dal centro-sinistra francese. Uno dei più importanti economisti leftist al mondo, Thomas Piketty, autore del best-seller Il capitale nel XXI secolo, ha già accettato di entrare nel suo staff.
Anche se, dopo il niet dell’estrema sinistra verso la prospettiva di alleanza, la débâcle elettorale di Hamon sembra definitiva, la sua candidatura marca il probabile inizio di un rimescolamento degli equilibri politici del sistema francese. Lo scenario post-elettorale più probabile è quello di un sistema tripolare con Le Pen a destra, Fillon e Macron al centro, Hamon e Mélenchon a sinistra. Considerata la centralità della Francia nel bilanciamento della Germania nella cabina di regia dell’UE, questo terremoto promette ripercussioni anche sul futuro dell’Unione.